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Il Papa a Quito: la evangelizzazione è dono di sé stessi

Il Papa incensa l'altare a Quito  |  | @Osservatore Romano
Il Papa incensa l'altare a Quito | | @Osservatore Romano
La messa a Quito  |  | Alan Holdren/CNA
La messa a Quito | | Alan Holdren/CNA
L'altare  |  | Alan Holdren/CNA
L'altare | | Alan Holdren/CNA

Unità e libertà per la sfida della evangelizzazione che significa “darsi” nella comunione della salvezza di cui la Chiesa è sacramento. Papa Francesco celebra la seconda messa in Ecuador e lo fa pensando a quella indipendenza che da il nome al parco dove sono riunite centinaia di migliaia di persone. E la gente applaude sentendo questo parallelo tra la preghiera per l’unità e la voglia di libertà. Ma senza la passione per l’altro, per la libertà che porta Cristo, per la evangelizzazione, non si ottiene la fine dei conflitti.

Canti e musica in stile inca, costumi che ricordano la storia del paese, il sole nonostante le nuvole, e la festa degli ecuadoregni. Il Papa usa il pastorale di legno d’ulivo, l’altare è decorato con centinaia di migliaia di rose, e la casula è decorata con i disegni tipici di un poncho.

Gesù, la preghiera per la unità e invia i discepoli, ma in quel momento “il Signore sperimenta nella propria carne il peggio di questo mondo, che ama comunque alla follia: intrighi, sfiducia, tradimento, però non si nasconde, non si lamenta.” Un esperienza che gli uomini fanno ogni giorno. Ma guerre e violenza, divisione e odio “sono manifestazioni di quel “diffuso individualismo” che ci separa e ci pone l’uno contro l’altro  frutto della ferita del peccato nel cuore delle persone, le cui conseguenze si riversano anche sulla società e su tutto il creato.”

Ecco il mondo al quale siamo inviati: “la nostra risposta non è fare finta di niente, sostenere che non abbiamo mezzi o che la realtà ci supera. La nostra risposta riecheggia il grido di Gesù e accetta la grazia e il compito dell’unità.”

Ritorna al grido della indipendenza il Papa “decisivo solo quando lasciò da parte i personalismi, l’aspirazione ad un’unica autorità, la mancanza di comprensione per altri processi di liberazione con caratteristiche diverse, ma non per questo antagoniste.”

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L’evangelizzazione è veicolo di unità “di sensibilità, di sogni e persino di certe utopie” spiega il Papa e sottolinea “la necessità di agire per l’inclusione a tutti i livelli, evitando egoismi, promuovendo la comunicazione e il dialogo.”

Francesco ripete che “è impensabile che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica.”

La Chiesa che è sacramento di salvezza “è coerente con la sua identità di Popolo in cammino, con la vocazione di incorporare nel suo sviluppo tutte le nazioni della terra.”

Francesco cita Giovanni Paolo II e il documento di Aparecida per ricordare che la missione è comunione: “non si tratta solo di un’azione verso l’esterno; noi siamo missionari verso l’interno e verso l’esterno”.  Ecco perchè “Gesù ci consacra per suscitare un incontro personale con Lui, che alimenta l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione evangelizzatrice.”

Dio, come si legge nell’ Apocalisse, sta alla porta e bussa, nn forza la serratura dice il Papa, ma ha pazienza e ci attende.

Il Papa ricorda la ricchezza della diversità “ il molteplice che raggiunge l’unità” e che “ ci allontana dalla tentazione di proposte più simili a dittature, ideologie o settarismi.” Non si tratta di avere gli stessi gusti ma di essere uniti dallo stesso destino: essere amati da Gesù.

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Di questo i cristiani devono essere testimoni: “che bello sarebbe che tutti potessero ammirare come noi ci prendiamo cura gli uni degli altri, come ci diamo mutuamente conforto e come ci accompagniamo! Il dono di sé è quello che stabilisce la relazione interpersonale che non si genera dando “cose”, ma dando sé stessi.”

É solo dando tutto sé stesso, conclude il Papa che l’uomo “si incontra nuovamente con sé stesso, con la sua vera identità di figlio di Dio, somigliante al Padre e, in comunione con Lui, datore di vita, fratello di Gesù, del quale rende testimonianza. Questo significa evangelizzare, questa è la nostra rivoluzione – perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria – questo è il nostro più profondo e costante grido.” E la evangelizzazione non è proselitismo che ne è solo una caricatura, aggiunge il Papa, ma attrazione verso Dio. Perché la salvezza che annuncia la Chiesa è far parte di un “noi” che è parte del “noi “ divino.

 

Quando nel 1985 Giovanni Paolo II incontrò, gli indios, rimasero nella storia le lacrime di un giovane con la “pentola vuota” in mano. Rimase nella storia l’immagine del Papa con il poncho, e che nella messa davanti ad un milione di persone nel parco “ La Carolina” dice: “respingo ogni forma di sfruttamento dell’ uomo”. Papa Francesco, uomo latinoamericano, trent’anni dopo torna con lo stesso messaggio e con la proposta più intimista del “prendersi cura gli uni degli altri”. Non mette l’accento sui problemi solo degli indios che dal 2008 vedono riconosciuti molti dei loro diritti compreso l’uso delle lingue native, ma di tutta la gente, dei poveri che continuano a vivere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Nel suo saluto finale l’arcivescovo di Quito ha detto che la gente dell’Ecuador “ha fame di Dio” ha bisogno di speranza e di riunire gli sforzi come è stato fatto per questa visita del Papa.

Il Parco, un’area vastissima, si è riempito fin dalle prime ore del mattino. Il Papa al suo arrivo si è riunito con i vescovi dell’ Ecuador in una delle sale del complesso congressuale del Parco. L’incontro è stato strettamente privato.