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Intelligenza artificiale, cardinale Eijk: “La Chiesa evangelizzi le chatbots"

L’arcivescovo di Utrecht ne è convinto: c’è molto da riflettere riguardo le possibilità date dall’intelligenza artificiale. Dal rischio del transumanesimo a quello della fine delle relazioni

Cardinale Eijk | Cardinale Wilhelm Eijk, arcivescovo di Utrecht | Archivio CNA Cardinale Eijk | Cardinale Wilhelm Eijk, arcivescovo di Utrecht | Archivio CNA

Ci sarà da riflettere, e molto, sull’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sulle nostre vite. E lo dovrà fare prima di tutto la Chiesa, chiamata però allo stesso tempo a cominciare ad evangelizzare quei luoghi “virtuali” che sono le chatbot, perché in un mondo in cui il virtuale è reale, molto dipende ormai dalla riposta che viene data in quei nuovi luoghi di interazione. Ne è convinto il Cardinale Wilhelm Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht, che ha cominciato a riflettere sulla questione. Un tema venuto fuori anche nel dibattito sull’insegnamento della morale sessuale e matrimoniale della Chiesa suscitato da una relazione del Cardinale all’ultimo incontro dei responsabili famiglia e vita delle Conferenze Episcopali di Europa, che si è tenuto a Bucarest dal 6 al 10 maggio.

Quale è l’impatto che l’intelligenza artificiale può avere sulle nostre vite?

È difficile avere una visione di insieme di tutto ciò che l’intelligenza artificiale può fare per noi,  perché è un campo ancora poco conosciuto. Penso però che le tecnologie di intelligenza artificiale, come le chat bot abbiano anche la possibilità di dire qualcosa sulle questioni religiose. Per esempio, durante una predicazione, avevo fatto un esempio che avevo letto in un libro e che riferivo a Tommaso d’Aquino. Un diacono della nostra arcidiocesi, professore di dogmatica alla nostra facoltà di Teologia ad Utrecht, non ricordava di aver mai sentito questo racconto su Tommaso d’Aquino. Allora un giovane prete ha chiesto a una chat bot, e questa ha risposto che l’esempio era di Sant’Alberto Magno, e non di San Tommaso d’Aquino. Quale è dunque la verità? La risposta della chat bot è il frutto di un calcolo della intelligenza artificiale. Questo però implica anche che, se aggiungiamo alle chat bot molta informazione sul piano religioso, possiamo avere una influenza nelle risposte. Per questo, dobbiamo tentare di essere presenti nel campo delle intelligenze artificiali.

È un compito di evangelizzazione, prima di tutto?

La Chiesa è sempre prudente quando affronta un nuovo campo. Ma se aspetteremo troppo a lungo, altri avranno inserito altre informazioni, e questo andrà a determinare le risposte. Per questo, non dobbiamo aspettare a lungo di essere attivi in questo campo. Non conosciamo le conseguenze dell’uso diffuso dei software di chat bots, ma possiamo già prevedere un certo scenario. Adesso si dice che questi software fanno degli sbagli, ma come saranno tra 10, 20, o anche 5 anni? Ci saranno altri tipi di intelligenza artificiale, calcolatori molto più forti, in grado di dare risposte molto più precise. È adesso che possiamo influire sulle risposte.

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Non c’è timore?

È comprensibile avere paura degli sviluppi, perché l’intelligenza artificiale può anche avere conseguenze molto negative sulla nostra società. Per esempio, l’intelligenza artificiale è un passo verso la robotizzazione della nostra società, che potrebbe portare ad una perdita di molti posti di lavoro, soprattutto di persone che non hanno fatto degli studi specifici. Il robot, alla fine, è un tipo di personale che non chiede aumento del reddito, lavora 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, senza stancarsi. Questo può cambiare radicalmente la nostra società, e ho l’impressione che né nella Chiesa né nella società la gente si renda conto dei cambiamenti molto profondi che ci aspettano nei prossimi anni.

Lei pensa che l’intelligenza artificiale porti con sé il rischio di un cosiddetto “transumanesimo 2.0?

È un rischio possibile. Noi abbiamo già case di cura in cui ci sono robot che distribuiscono il cibo. La distribuzione del cibo ai malati era anche il momento di un contatto umano con i pazienti, e già quello si perde. Ma quando non solo decidiamo di distribuire il cibo con un robot, ma utilizziamo anche un robot per spostare un paziente dal letto e metterlo sotto la doccia, allora c’è un rischio di perdere il contatto umano del tutto. Anche perché magari il robot all’inizio è programmato male, prende il paziente alle 3 del mattino e gli fa una doccia fredda, ma con un software migliorato, e con errori diminuiti al minimo, allora nulla vieta di fare questo passaggio in maniera massima. Sono cambiamenti e sviluppi che stanno avvenendo in un tempo molto rapido. Non è un caso che anche personaggi dell’hi-tech come Elon Musk abbiamo chiesto una moratoria sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Abbiamo bisogno di studiare meglio le ripercussioni future di queste tecnologie nella società.

Viene da pensare che anche la decisione di una eventuale eutanasia possa essere più facile, se è un robot a valutare i dati. Perché non c’è più umanità, e gli esseri umani vengono percepite come macchine. Se non vale la pena tenerli in funzione, vengono spenti.

Le cure sono molto costose, e i governi spendono la maggior parte dei soldi che ricevono dalle tasse per la cura delle persone, ma in un certo momento sarà difficilmente sostenibile. A quel punto, ci sarà una pressione sociale per introdurre questi robot, macchine automatiche guidate da software molto sofisticati in grado di dare la cura necessaria. Ci sono molti temi da affrontare. Per esempio, le persone verranno curate in casa, e magari vivono in case isolate, in solitudine. Perderanno, così, ogni contatto umano, e questo porta altre ripercussioni. È anche questo un tema di grande importanza. Per questo, dobbiamo pensare bene prima di introdurre tutte queste macchine nella nostra vita. Fermo restando che queste macchine possono avere un impatto molto positivo sulle cure, ma abbiamo bisogno di trovare un equilibrio tra l’elemento umano e l’elemento meccanico.

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In un mondo così, c’è ancora posto per la Civiltà dell’Amore predicata dal Cattolicesimo?

Sì, anche perché nella Chiesa non sarà possibile automatizzare tutto. Per esempio, un prete deve sempre celebrare la liturgia, deve sempre ascoltare le confessioni. Si tratta di attività che non possono essere sostituite con l’intelligenza artificiale. Possiamo, è vero, immaginare catechesi date da un robot. Ma il verbo catechezein, in greco, implica il contatto personale nel modo in cui si trasmette la fede di Cristo. La fede di Cristo si condivide con altri e non c’è altro modo. Io credo che la Chiesa sarà uno dei luoghi in cui nel futuro rimarrà l’elemento umano, nonostante tutto.

Lei ha più volte chiesto una enciclica o un documento papale sulla questione del gender. Crede che sia necessario anche un documento che spieghi come abitare questi nuovi luoghi dell’intelligenza artificiale?

Ci vorrà un documento, ma va pensato bene. La Chiesa ha sempre avuto bisogno di un certo tempo per riflettere sulle nuove tecniche e sui loro sviluppi. A volte, questo tempo di riflessione ha preso molti anni. Per esempio, il primo bambino concepito con la fecondazione in vitro è nato nel 1978, l’istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede sulla questione, la Fidei Donum, è venuta solo nel 1987, nove anni dopo. Il magistero della Chiesa aveva già le risposte di Pio XII sulla questione dell’inseminazione artificiale negli anni Cinquanta, però era rimasto un dibattito. Per questo, adesso è presto per chiedere un tale documento.

Importante aspettare ed evangelizzare?

Evangelizzare, ma anche discutere tra teologi su questa tematica, facendo in modo che la gente diventi consapevole delle nuove tecniche. Ci vorrà del tempo.