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Iraq, arcivescovo Nona: “Sono stato vescovo di una diocesi che non c’è più”

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Non esiste più la diocesi di Mosul, spazzata via da quando l’autoproclamato Stato Islamico ha seminato il terrore nella piana di Ninive. Ma questa diocesi tornerà, e così si spera anche le persone, sottolinea l’arcivescovo Amel Shamon Nona, che ora è vescovo dell’eparchia caldea di San Tommaso Apostolo in Australia, ma che a Mosul è arrivato nel 2008, succedendo al vescovo Paulos Rahho, ucciso in circostanze ancora non del tutto chiarite.

L’arcivescovo Nona parla con ACI Stampa durante un incontro organizzato da Aiuto alla Chiesa che Soffre. La fondazione di diritto pontificio tornerà in Kurdistan dal 20 al 23 settembre. E uno dei motivi del viaggio sarà portare un macchinario per tagliare pietre e marmo, del peso di quattro quintali. Il vescovo di Carpi, Francesco Cavina, ha volute fare questo dono dopo il viaggio che ha già fatto in Iraq ad aprile. Nel suo diario di viaggio di quei giorni, scrive: “Abbiamo trovato un gruppo di donne di Mosul in un container che si sono unite e hanno iniziato una attività lavorativa. Sono giunte a realizzare opere in mosaico. Hanno voluto precisare, il loro non è un laboratorio, ma un centro per aiutare la donna a vivere con dignità la propria condizione di profuga. Come segno della nostra vicinanza abbiamo promesso di inviare una macchina per tagliare in cubetti le steli di marmo”.

Si tratta di un piccolo segno di speranza, in una situazione che l’arcivescovo Nona descrive invece con più ombre che luci. “E’ molto difficile che i cristiani tornino a Mosul – dice – perché non c’è più fiducia nella città, nelle persone che vivono in città. Tutto è cambiato da quando l’ISIS ha conquistato la città, le persone sono cambiate, e dopo il 2014 molti di loro hanno cercato una altra opzione per la loro vita. Forse rimarranno nel Nord dell’Ira, in Kurdistan.”

Dall’occidente, l’arcivescovo Nona si aspetta di essere liberati dall’ISIS, mentre sente forte la vicinanza del Papa: sarà anche lui in Georgia, insieme ad altri sette vescovi del Sinodo caldeo e al patriarca di Babilionia, quando per la prima volta un Papa entrerà in una Chiesa assiro caldea. “Credo sia un segno di speranza per I nostril cristiani in Iraq, il fatto che tutta la Chiesa, rappresentanta dal Santo Padre, è con loro”.

Papa Francesco, dicendo Messa per padre Jacques Hamel (il sacerdote francese ucciso al termine della Messa lo scorso 26 luglio) ha detto che uccidere in nome di Dio è satanico. L’arcivescovo Nona sottolinea che il problema è che “tutto quello che succede, succede in nome di Dio. L’ISIS rappresenta un pensiero fondamentale dell’Islam, e la base di questo pensiero è nei versetti che si trovano nel Corano e anche in altre interpretazioni del Corano. È molto difficile separare questo pensiero da questi versetti. Sono versetti che provocano i fedeli a fare o ad avere un atteggiamento aggressivo contro gli altri infedeli. È una crisi anche nell’Islam stesso. l’Islam deve affrontare questo pensiero. Non è facile, quando qualcuno trova un versetto che gli dica chiaramente che l’altra persona diversa da te è un progetto ed è lecito di ucciderlo. Per questo quello che ha detto il Santo Padre è vero, è molto difficile affrontare”.

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Difficile anche parlare di dialogo, o perlomeno non nel senso di dialogo interreligioso, per l’arcivescovo Nona. “Se – dice - il dialogo ha l’obiettivo di fare arrivare le persone a vivere insieme, sì, c’è la possibilità di un dialogo. Ma se il dialogo intende trovare qualcosa in comune dentro le religioni, penso che questo sia molto difficile se non impossibile. Il dialogo rimane a livello delle cose comuni umane, si può, perché ci sono tante persone musulmane buone. Il problema è l’interpretazione della religione”.

Il futuro dell’Iraq, per l’arcivescovo Nona, ha diverse incognite. “Penso – spiega - che l’Iraq sarà non diviso come Stati, ma diviso come parti. Dove ci sono sunniti non possono vivere sciiti, e viceversa. Per questo, l’Iraq avrà uno Stato debole, diviso dall’interno. Il problema è la persona irachena: la violenza del 2003 ha cambiato la gente, ora non c’è più quella convivenza tra le persone che c’era prima, quel rispetto del diverso. Oggi tutto è cambiato”.

Ma ci sono anche i lati positivi, dice l’arcivescovo Nona. Il primo è che “i nostri cristiani sono rimasti, non si sono convertiti all’Islam, non hanno ceduto”. E il secondo è che “in questa situazione abbiamo sentito la comunione degli altri cristiani, soprattutto delle chiese di Europa, America e Australia. Era molto importante per noi non solo l’aiuto materiale, ma di sentire che ci sono altri cristiani vicini. L’aiuto materiale ha fatto capire che c’è una Chiesa forte”.