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KIRCHE IN NOT, dalla Germania un sostegno alla vita di fede dei cristiani nel mondo

Un colloquio con il direttore Florian Ripka

Florian Ripka con Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo della Chiesa greco-cattolica ucraina |  | KIN
Florian Ripka con Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo della Chiesa greco-cattolica ucraina | | KIN
Preghiera in un rifugio in Ucraina |  | KIN
Preghiera in un rifugio in Ucraina | | KIN

«Vi ringrazio per il vostro aiuto nella cura pastorale. Il corpo non è più importante dell'anima. Continuate a lavorare bene!». Nelle espressioni di complimento dei suoi benefattori, c’è già tutta la filosofia dell’Opera Pontificia KIRCHE IN NOT (Aiuto alla Chiesa che Soffre di Germania, ndr). L’idea cioè, come spiega il suo direttore Florian Ripka, che «l'anima umana sia importante almeno quanto il corpo» e che, dunque, il lavoro pastorale sia almeno tanto importante dell’intervento umanitario. Del resto, come aggiunge ancora Ripka, «la cura pastorale è proprio la specialità della Chiesa».

Direttore, ci racconti brevemente quando, come e perché è nata KIRCHE IN NOT.

«A mio avviso, la nascita di KIRCHE IN NOT può essere intesa come un "miracolo di riconciliazione". Non c'è altro modo per spiegare il successo di un giovane prete premostratense, Werenfried van Straaten, che iniziò a raccogliere collette in favore dei tedeschi nelle Fiandre, subito dopo la seconda Guerra Mondiale. Dopo tutto, il Paese aveva sofferto enormemente sotto la Germania nazista. Ma la carità e la volontà di riconciliazione dei contadini fiamminghi erano più forti del desiderio di vendetta per gli innumerevoli padri, fratelli e figli uccisi. Mi limito ad un solo esempio. Dopo la guerra, il Vaticano era preoccupato per i numerosi rifugiati nella Germania del dopoguerra e temeva addirittura che scoppiasse una guerra civile, se non si fosse intervenuti. Il giovane Padre van Straaten fu inviato dal suo monastero nei bunker delle città bombardate per avere una visione d'insieme ed elaborare le possibilità di aiuto. È così che è nata KIRCHE IN NOT. Un pilastro portante è sempre stato costituito da sacerdoti e religiosi, attraverso i quali venivano coordinati gli aiuti. Questo è vero ancora oggi, in tutto il mondo».

Il lavoro di KIRCHE IN NOT si concentra soprattutto sui cristiani in condizioni di difficoltà o perseguitati in tutto il mondo. Quali sono i Paesi in cui i cristiani soffrono di più e perché?

«Fin dall'inizio, i cristiani perseguitati sono stati la preoccupazione più sentita di KIRCHE IN NOT. La persecuzione dei cristiani è sempre legata a violazioni della libertà religiosa. Tuttavia, quantificare la persecuzione dei cristiani è difficile e spesso porta a conclusioni sbagliate. Il nostro approccio è leggermente diverso».

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E cioè?

«Il rapporto sulla "Libertà religiosa nel mondo", redatto da KIRCHE IN NOT, identifica tre ragioni principali per cui le persone sono oppresse nella pratica della loro fede. In 43 Paesi sono al potere governi autoritari che non consentono la libertà religiosa. L'esempio più noto è probabilmente quello della Corea del Nord. Qui molti cristiani scompaiono per sempre in barbari campi di prigionia. In 26 Paesi il terrore islamico mette in pericolo i cristiani. La situazione è particolarmente grave in Africa, ad esempio in Mozambico, Burkina Faso o in alcune zone della Nigeria, dove imperversa la setta terroristica Boko Haram. Il rapporto individua nei governi ultranazionalisti il terzo pericolo per la libertà religiosa. L'India è un caso emblematico. In parole povere: se non si è indù, non si è veri cittadini indiani. Questo va di pari passo con la limitazione dei diritti civili». 

In che modo KIRCHE IN NOT sta aiutando i cristiani in Ucraina dall'inizio della guerra?

«Sin dalle prime ore dell'invasione, KIRCHE IN NOT è in costante contatto con la Chiesa in Ucraina. Il vescovo di Odessa, Stanislaw Shyrokoradjuk OFM, ha confermato che KIRCHE IN NOT è stata la prima organizzazione a chiamarlo e a chiedergli: "Come possiamo aiutare?". È stato rapidamente avviato un ampio pacchetto di aiuti per l'intera Ucraina. Era chiaro che la Chiesa sarebbe rimasta lì con la gente. Il nostro compito è quello di metterli in condizione di farlo. In primo luogo, la Chiesa fornisce assistenza pastorale e molte persone traumatizzate ne hanno un gran bisogno. Ma ci sono anche le mense per i poveri, le case per i rifugiati, gli asili, ecc. che sono gestiti dalla Chiesa e che noi sosteniamo. Spesso ci sono solo i sacerdoti a recarsi con i loro veicoli nei villaggi più remoti per portare aiuto».

Del resto tra voi e l’Ucraina c’è sempre stato un rapporto particolare. Non a caso, all’inizio, la vostra organizzazione si chiamava “Ostpriesterhilfe”. Giusto?

«Esattamente. L'Ucraina è stata uno dei più importanti Paesi del progetto KIRCHE IN NOT fin dagli anni Cinquanta. Soprattutto durante l'era sovietica, il nostro lavoro ha garantito la sopravvivenza della Chiesa nelle catacombe. Dopo la Caduta del Muro, l'attenzione si è concentrata sulla ricostruzione e sulla formazione di sacerdoti e laici. Praticamente ogni sacerdote cattolico in Ucraina è stato sostenuto dalla KIRCHE IN NOT».

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La sopravvivenza del cristianesimo in Europa non può più essere data per scontata: ogni paese europeo ha bisogno di una Nuova Evangelizzazione. Qual è il contributo di KIRCHE IN NOT alla nuova evangelizzazione in Germania?

«In Germania, la nuova evangelizzazione è un grande tema. Molte persone sono battezzate, ma non hanno più un rapporto con Dio e con la Chiesa. Eppure la fede può essere un solido sostegno, soprattutto nei momenti di crisi, come ad esempio la pandemia di Covid-19 o la guerra in Ucraina. Cerchiamo di diffondere le testimonianze e la conoscenza della fede attraverso mass media come la TV, la radio e internet».