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La Chiesa martire di Sarajevo, un piccolo gregge da incoraggiare

La visita di Giovanni Paolo II alla Cattedrale di Sarajevo | La visita di Giovanni Paolo II alla Cattedrale di Sarajevo | http://www.papa.ba La visita di Giovanni Paolo II alla Cattedrale di Sarajevo | La visita di Giovanni Paolo II alla Cattedrale di Sarajevo | http://www.papa.ba

Papa Francesco il 6 giugno sarà a Sarajevo. Tra gli appuntamenti della visita la grande messa nello stadio Koševo ma anche l’incontro con i religiosi nella cattedrale e con i vescovi in nunziatura. La Chiesa in Bosnia Erzegovina ovviamente ha risentito in modo gravissimo della guerra. E non solo per la violenza degli atti, ma anche per il contrasto feroce tra cristiani e con gli islamici. Il senso del viaggio di Francesco è anche quello di aiutare una rinascita del dialogo tra le fedi. E per questo l’incontro ecumenico e interreligioso nel centro Francescano di Sarajevo sarà una delle tappe più significative.

La Chiesa dopo la guerra ha iniziato subito la ricostruzione delle sue strutture a cominciare  dai seminari. Oggi ci sono una quarantina di seminaristi molti nel Seminario francescano a Nedjarici, una delle aree della capitale più devastate dalla guerra. Lo scorso anno purtroppo molte delle ricostruzioni sono state danneggiate dalle alluvioni.

Ma l’opera di ricostruzione più difficile è quella della riconciliazione. Nel suo discorso ai vescovi del paese ricevuti il 16 marzo in visita ad Limina, il Papa ha messo in luce proprio questo problema. Una situazione che, insieme alla difficoltà di trovare lavoro, mette in fuga molti giovani. “Quella dell’emigrazione- disse il Papa-  è giustamente una delle realtà sociali che vi stanno molto a cuore. Essa evoca la difficoltà del ritorno di tanti vostri concittadini, la scarsità di fonti di lavoro, l’instabilità delle famiglie, la lacerazione affettiva e sociale di intere comunità, la precarietà operativa di diverse parrocchie, le memorie ancora vive del conflitto, sia a livello personale che comunitario, con le ferite degli animi ancora doloranti.”

E’ questa la sfida. Per affrontarla ci sono anche le scuole inter-etniche, le “Scuole per l’Europa”, per educare i giovani ai valori della tolleranza e alla convivenza pacifica. Nel 1997 è stato fondato il Consiglio interreligioso dove siedono i rappresentanti della comunità serba, cattolica, musulmana ed ebrea.  L’idea è dimostrare che il conflitto non era una guerra “religiosa”, ma politica. Qualche risultato è arrivato, i leader religiosi hanno ottenuto l’inserimento dell’insegnamento della religione nelle scuole statali, prima escluso.

Con ortodossi e musulmani, la Chiesa cattolica sta preparando un progetto di collaborazione, indirizzato ai giovani, alle donne e ai bambini per creare un clima di fiducia reciproca tra le varie comunità. Ora sul tavolo del Consiglio interreligioso c’è il tema della difesa dei luoghi di culto spesso colpiti da preoccupanti atti vandalici. Il terreno più fertile di dialogo è quello della vita quotidiana dei fedeli delle diverse religioni, è questo dialogo dal basso che potrà permettere l’affermarsi nel Paese di una società davvero multiculturale.

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Certo i numeri parlano da soli prima della guerra c’erano circa 820 mila cattolici, oggi ne sono rimasti poco più di 450 mila su una popolazione di quasi 4 milioni di abitanti in maggioranza musulmana. Nel

1991 la diocesi di Sarajevo contava 528.000 cattolici, mentre oggi sono circa 190.000. Nella diocesi di Banja Luka, che oggi fa parte della Repubblica Serba di Bosnia (Srpska), erano 60.000, oggi sono appena 5.000. Solo nella diocesi di Mostar, città spaccata in due, croati a Occidente, bosgnacchi islamici a Oriente, i cattolici sono come prima della guerra, circa 200.000. Molti cattolici bosniaci sono fuggiti in Croazia, o hanno raggiunto il Nord-America,  o l’Australia e l’emigrazione continua.

I cattolici sono una minoranza discriminata anche sei le relaziono sono migliorate negli ultimi 20 anni come ricorda l’arcivescovo di Sarajevo, card. Vinko Puljic. Fu lui a ricevere Giovanni Paolo II ed ora è lui che riceve Papa Francesco. Costruire una chiesa oggi è molto più difficile che costruire una moschea e richiede una lunga trafila burocratica. Le mosche invece si sono moltiplicate insieme ai centri islamici. Discriminati anche i programmi scolastici come ricorda Aiuto alla Chiesa che nel Rapporto 2012 sulla libertà religiosa nel mondo afferma che  “l'identificazione etnia-religione genera discriminazioni sociali e amministrative verso le minoranze e in particolare verso i cattolici che vivono in zone a forte presenza islamica (Federazione croato-musulmana), o a maggioranza serbo-ortodossa (Repubblica Srpska)”.

La più grande preoccupazione è che si sta diffondendo il fondamentalismo islamico wahabita grazie a fondi stranieri. Sui media di tutto il mondo si legge spesso che in Bosnia ci sarebbero i campi di addestramento per terroristi più importanti d’ Europa.

L’islam bosniaco, storicamente moderato, avrebbe cambiato faccia facendo proseliti soprattutto tra i giovani che poi partono per Siria e Iraq. Il capo della comunità islamica di Bosnia-Erzegovina, il Gran Muftì Husein Kavazović, ha esplicitamente condannato i jihadisti, affermando che non rappresentano la fede islamica e chiedendone la revoca della cittadinanza bosniaca.

Nella fine del secolo scorso l’ Islam in Bosnia - Erzegovina fece il grande passaggio dal dominio ottomano al dominio austroungarico, un cambiamento che spinse gli ulama e gli intellettuali a un grande lavoro di reinterpretazione  e adattamento.

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Ne nacque un modello originale di coesistenza tra istituzioni islamiche ed europee basata sull’idea di Stato laico, inteso come neutrale, ma rispettoso delle religioni.

Il comunismo abolì i tribunali islamici e si arrivò ad un nuovo modo di percepire la legge islamica, vissuta come un insieme di norme religiose ed etiche volte al bene di chi si riconosce musulmano e non più come un’imposizione dello Stato.

Dal 2012 il capo della comunità islamica di Bosnia-Erzegovina Husein Kavazović. Studente della prestigiosa Università Al-Azhar al Cairo, ha vissuto a Tuzla, dove ha guidato come mufti la comunità locale. Attento più alla cura religiosa che alla politica succede a Mustafa Cerić, oggi candidato alle elezioni presidenziali che si svolgeranno nel prossimo ottobre in Bosnia-Erzegovina.

Lo scenario del viaggio del Papa è dunque complicato e ricco di insidie politiche. Ma il Papa va a visitare la piccola comunità cattolica e a parlare di pace ad una Chiesa che è stata e che per molti aspetti è ancora martire come ricordò Giovanni Paolo II nel suo viaggio: “Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, la tua storia, le tue sofferenze, le esperienze dei trascorsi anni di guerra, che speriamo non tornino mai più, hanno un avvocato presso Dio: Gesù Cristo, il solo Giusto. In Lui, hanno un avvocato presso Dio i tanti morti, le cui tombe si sono moltiplicate su questa terra; coloro che sono rimpianti dalle madri, dalle vedove, dai figli rimasti orfani. Chi altro può essere, presso Dio, avvocato di tutte queste sofferenze e di tutte queste prove? Chi altro può leggere fino in fondo questa pagina della tua storia, Sarajevo? Chi può leggere fino in fondo questa pagina della vostra storia, nazioni balcaniche, e della tua storia, Europa?”