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La famiglia non è un punto di arrivo, ma di partenza. Lo dice la FAFCE (e il Papa approva)

Intervista a Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle Associazioni Famigliari Cattoliche in Europa. Dalle politiche per la famiglia al futuro dell’associazionismo famigliare

Vincenzo Bassi, FAFCE | Vincenzo Bassi, presidente della FAFCE, rivolge il suo saluto a Papa Francesco all'inizio dell'incontro della federazione con il Papa, Sala Clemetina, 10 giugno 2022 | Vatican Media / ACI Group Vincenzo Bassi, FAFCE | Vincenzo Bassi, presidente della FAFCE, rivolge il suo saluto a Papa Francesco all'inizio dell'incontro della federazione con il Papa, Sala Clemetina, 10 giugno 2022 | Vatican Media / ACI Group

Le famiglie non sono un punto di arrivo, sono un punto di partenza. Non sono solo beneficiarie delle politiche economiche, esse sono l’asse portante dello sviluppo. La politica per la famiglia è politica per il bene comune. Per questo, le politiche per la famiglia sono per il bene comune. Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle Associazioni Famigliari Cattoliche in Europa, è reduce dal giubileo dell’organizzazione di cui è presidente dal 2019. Da 25 anni, la FAFCE unisce le associazioni famigliari in Europa, facendo a Bruxelles e Strasburgo un lavoro prezioso e oscuro in difesa della famiglia da tutti i punti di vista.

Il 10 giugno, i membri della FAFCE hanno avuto una udienza con Papa Francesco, che ha tenuto un discorso ampio, toccando tutte le grandi sfide di oggi: dal no alla maternità surrogata alla difesa della vita, dalla condanna della pornografia alla necessità delle politiche familiari. Un discorso quasi provvidenziale, alla viglia dell’Incontro Mondiale delle Famiglie che si celebra a Roma dal 22 al 27 giugno.

Cosa ha colpito del testo del Papa?

Il discorso di Papa Francesco è un testo unico nel suo genere, perché ha affrontato molti degli aspetti sia politici che ecclesiali che morali che riguardano la famiglia. Ma, al di là di quello che ha fatto giustamente titolo, a me hanno colpito due aspetti. Il primo è il tema ambientale: il Papa ha sottolineato che lo sviluppo sostenibile senza famiglia è impossibile, perché avere figli non deve mai essere considerato una mancanza di responsabilità nei confronti del creato o delle sue risorse naturali. Il secondo: il fatto che il Papa abbia detto che la famiglia è un bene comune da premiare.

Il primo tema aiuta a introdurre il principio della natalità nelle grandi discussioni, a tutti i livelli. Il secondo aspetto aiuta a difendere questo tema dagli attacchi. Addirittura, una delle opposizioni alle politiche demografiche nasce dall’argomentazioni che anche i totalitarismi erano promotori di politiche demografiche. Ma è qui che entrano in gioco le associazioni familiari, perché sono loro che rappresentano le famiglie, che mostrano concretamente cosa è la famiglia e che mostrano come le politiche familiari sono nell’interesse delle famiglie stesse, non strumentali agli interessi dello stato. Le associazioni familiari devono poter avere un ruolo istituzionale. E siamo grati al Papa per aver introdotto questi temi nel discorso.

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Quale è il ruolo della FAFCE in tutto questo?

La FAFCE si muove su due binari. Il primo binario è l’attività di rappresentanza delle associazioni familiari davanti le istituzioni europee, sia l’Unione Europee che al Consiglio d’Europa. Il secondo binario riguarda lo sviluppare il più possibile la comunione tra le conferenze episcopali e l’associazionismo famigliare cattolico.

Da un punto di vista più politico, il nostro obiettivo è quello di incrementare questo tipo di rappresentanza concentrandoci su questioni più urgenti rispetto ad altre, come quella della questione demografica.

Perché la demografia è un tema così importante?

Perché la scelta di chi vuole generare e non può va protetta. E i motivi per cui non si può generare sono tanti. Riteniamo che il tema demografico debba diventare un tema più europeo. La nostra esperienza ci insegna che è necessario coinvolgere e mettere insieme su questo argomento gli Stati nazionali, facendo poi diventare la generazione di famiglie un punto centrale per l’agenda europea. Invece, vediamo che anche nel PNR italiano non si pensa alle politiche per la natalità. Ci si deve invece ricordare che le famiglie iniziano i processi, non sono i destinatari dei processi. La famiglia dà motore, in termini demografici e in termini di mutualità. La visione comune è l’opposto, cioè che la famiglia beneficia del funzionamento della società. Noi riteniamo che sia vero piuttosto il contrario.

Si parlava di scelta di generare. Ma allo stesso tempo si parla di una scelta di non generare. C’è, in realtà una spinta verso il diritto a questa scelta molto forte, che ha visto nel corso degli anni l’introduzione dei famigerati diritti sessuali e riproduttivi. In che modo la scelta di generare o non generare sono diverse?

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Generare figli non è mai un diritto per nessuno, neanche per chi questi figli li ha o li vuole avere. L’esperienza e la storia dell’uomo ci insegna che i figli vengono. Non c’è un automatismo, e preservare questa assenza di automatismo ci aiuta, sulla base della realtà, a spiegare che un figlio non è mai un diritto, ma è soprattutto una gioiosa responsabilità che il padre e la madre accolgono.

Che cosa invece significa creare un automatismo alla generazione dei figli?

Determina il fatto che la nascita è parte di una finzione. Non si può rischiare di snaturare la generazione di nuova vita, e invece gli strumenti che lo permettono vanno effettivamente a snaturare. E dirlo non significa difendere un privilegio o uno status quo, ma piuttosto scendere in campo per difendere l’essere umano.

Perché le famiglie non vogliono generare figli?

Tutto nasce dalla solitudine. Il rischio più grande, la malattia più grande della famiglia è la solitudine, che ti fa sentire inadeguato e non ti incoraggia ad assumerti questa gioiosa responsabilità. La famiglia per troppo tempo è stato considerata un dato un fatto, che semplicemente esiste e non implica una scelta vocazionale precisa. La famiglia è invece un donum, un atto di generosità che deve essere sostenuto, e non può essere sostenuto nella solitudine. Per questo parliamo di reti di famiglie. Una volta, c’erano i villaggi che contenevano una idea di famiglia, la sostenevano, la accettavano. Nessuno, in fondo, è preparato a formare una famiglia, perché questa non nasce da un interesse proprio, ma dall’interesse per l’altro. Se non è così, la famiglia nasce male.

C’è bisogno di una nuova cultura della famiglia?

I contenuti sono tutti importanti, e serviranno alle Chiese locali per portare avanti le varie iniziative. Io mi auguro che in un momento del genere, anche grazie all’imminente incontro mondiale delle famiglie, si comprenda il ruolo della famiglia come atto di generosità. Si deve recuperare questo aspetto, contenuto in tutti i documenti della Chiesa: la famiglia è un dono che deve essere sostenuto. Da lì ci deve essere una riflessione su come deve essere sostenuta la famiglia. Mettere in evidenza la famiglia in un periodo sinodale come quello nostro attuale ci aiuterebbe a far capire meglio che la Chiesa, in sé, è una comunità di famiglie.