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La rivista fondata da Padre Kolbe in Giappone tocca quota mille numeri

Lo scorso anno, Seibo no Kishi ha festeggiato i 90 anni dalla fondazione. È ancora la rivista cattolica più influente nel Paese del Sol Levante

Padre Massimiliano Kolbe | Padre Massimiliano Kolbe | pd Padre Massimiliano Kolbe | Padre Massimiliano Kolbe | pd

La rivista giapponese Seibo no Kishi è arrivata a quota mille numeri. Ed è un fatto notare perché non è una rivista qualunque: fu fondata da padre Massimiliano Kolbe, negli anni in cui era missionario in Giappone. Anzi, si può dire che era proprio quello il primo scopo della sua missione: fondare l’equivalente giapponese de “Il Cavaliere dell’Immacolata”, la rivista che aveva fondato in Polonia.

La storia di padre Kolbe è molto conosciuta. il sacerdote morì nel 1941 ad Auschwitz dove donò la sua vita per salvare quella di un altro prigioniero. Ma questa parte eroica della sua vita spesso fa dimenticare che padre Kolbe fu prima di tutto un francescano animato da uno straordinario zelo missionario. Usava i media per diffondere il Vangelo, e soprattutto la devozione alla Immacolata, era un appassionato radioamatore (tanto che è il patrono dei radioamatori), ma era anche un giornalista e uno straordinario organizzatore. Fondò “Il Cavaliere dell’Immacolata” nel 1922 per diffondere l’amore per la Madre di Dio, nel 1927 diede vita alla prima “Cittadella dell’Immacolata” (Niepokalanów in polacco) che divenne uno straordinario centro di vocazioni, e nel 1930 partì alla volta del Giappone con l’intenzione di pubblicare una rivista analoga in lingua giapponese. Ebbe il permesso di pubblicarla dal vescovo di Nagasaki, Hayasaka, che in cambio gli chiese di insegnare teologia nel seminario. Il primo numero esce nel 1930 (l’anno scorso è stato il novantennale) e quest’anno si è raggiunto il numero 1000, uscito proprio in questo mese di maggio.

Seibo No Kishi significa “Cavaliere della Madre di Dio”, un piccolo cambiamento di nome rispetto a “Cavaliere dell’Immacolata” per renderlo più comprensibile ai giapponesi.

Nel primo numero, pubblicato ad appena un mese dall’arrivo di padre Kokbe a Nagasaki, c’era un articolo sull’Immacolata Vergine Maria e la medaglia miracolosa e su Santa Teresa del Bambino Gesù, patrona dei missionari. La storia della rivista è stata ripercorsa in questo numero 1000 da padre Luka Shinichiro Tanizaki, provinciale dei francescani conventuali in Giappone.

Scriveva padre Kolbe in una delle prime lettere dopo la pubblicazione del Cavaliere in Giapponese: “Ora abbiamo una tiratura di 20.000 copie, e per dicembre ne abbiamo stampate 25.000, perché è il mese dell'Immacolata Concezione. Per quanto riguarda i piani per il futuro, penso, andando verso l'obiettivo del Cavalierato dell'Immacolata, vale a dire conquistare il mondo intero per l'Immacolata, sviluppando il più possibile l'avamposto locale, in modo che il ‘Cavaliere’ visiti ogni casa giapponese il prima possibile”.

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Perché fosse diffuso, il Cavaliere veniva allegato al giornale diocesano di Nagasaki, e poi diffuso gratuitamente. La diffusione, in quella che era la città con più cattolici del Giappone e dove il cattolicesimo era sopravvissuto anche nei drammatici tempi del “silenzio” e della persecuzione recentemente raccontati da Martin Scorsese, fu subito ampia.

Nel 1937, il Cavaliere giapponese raggiunse la tiratura di 60 mila copie, attirando lettori non solo cattolici, ma anche protestanti e buddhisti, e diventando così la più popolare rivista cattolica nel Paese. E tutti contribuivano alla rivista, anche protestanti che traducevano in giapponese gli articoli di padre Kolbe, che scriveva ini italiano o latino.

Un anno dopo il suo arrivo, padre Kolbe cominciò a chiedere donazioni per costruire un monastero a Nagasaki, che avrebbe dovuto funzionare come quartier generale della casa editrice asiatica del Cavaliere, con il piano di pubblicare anche per i cinesi e per l’India. Quel convento fu chiamato Mugenzai no Sono, il Giardino dell’Immacolata. Fu costruito alle falde del monte Hikosan, nonostante il parere contrario di molti, e fu questo il fattore decisivo che permise al convento di rimanere intatto nonostante la tremenda esplosione dell’atomica il 9 agosto 1945.

Nel numero 1000 sono stati celebrati anche dei numeri speciali che si sono succeduti nel corso degli anni, come il numero 72 del maggio 1936, che salutava padre Kolbe in partenza dal Giappone per sempre o il numero 126 del novembre 1940, l’ultimo numero prima dell’attacco del Giappone agli Stati Uniti che portò alla sospensione delle pubblicazioni decretata dal governo. Solo nel 1946, il Cavaliere tornerà ad essere distribuito, e dal 1970 gli editori sono sacerdoti giapponesi.

Per una ironia del destino, il numero 1000 è coinciso con la morte di Padre Tomeia Ozaki, uno dei giornalisti, un sopravvisuto della atomica di Nagasaki che lo lasciò orfano. Francescato conventuale dal Secondo dopoguerra, ha scritto moltissimo di padre Kolbe (che non aveva mai incontrato), ha visitato la Polonia 12 volte, ha incontrato per due volte Franciszek Gajowniczek, l’uomo per cui padre Kolbe aveva dato la vita. Aveva 93 anni.