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L'arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki racconta le persecuzioni in Ucraina

A Lugano alla Red Week di Aiuto alla Chiesa che soffre il presule racconta la difficile vita dei cattolici latini tra passato e presente

L’arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki |  | ACS
L’arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki | | ACS
L’arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki e il vescovo Alain de Raemy, |  | ACS
L’arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki e il vescovo Alain de Raemy, | | ACS
La Cattedrale di Lugano illuminata in rosso  |  | ACS
La Cattedrale di Lugano illuminata in rosso | | ACS

In occasione della “Red Week”, la settimana commemorativa e di preghiera per i cristiani discriminati e perseguitati in tutto il mondo, ha fatto visita a Lugano l’arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki: è stato nel cantone Ticino due giorni, sabato 12 e domenica 13 novembre. Durante i suoi incontri in programma a Lugano ha parlato delle persecuzioni dei cristiani in Ucraina durante il comunismo, dell’attuale guerra e le sue conseguenze per la Chiesa.

Sabato mattina l’arcivescovo Mokrzycki è stato ospite alla Facoltà di Teologia dell’Università della Svizzera italiana dove ha pronunciato una conferenza su “Fede, persecuzione, martirio”. All’inizio del suo discorso il Monsignore ha spiegato che “la persecuzione dei cristiani si inserisce nel contesto più ampio della spirale di violenza e aggressività che vediamo nel mondo che ci circonda. Lo stupro e la violenza si verificano quando, violando la dignità di una persona, si cerca di imporle un tipo di comportamento, un sistema sociale o religioso oppure di costringerla a rinunciare a ciò che le spetta di diritto”. Mons. Mokrzycki si è limitato ad analizzare le persecuzioni della Chiesa nei regimi comunisti cominciando con l’analisi dell’ideologia comunista, “l’ideologia, che si è diffusa in tutta l’Europa centrale e orientale in un arco di tempo non tanto breve: dallo scoppio della Rivoluzione bolscevica, fino al periodo successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, poi su larghissima scala dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’istituzione di una nuova divisione amministrativa dell’Europa. In quel periodo, molti Paesi si trovarono sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e fu in questi Paesi che la Chiesa subì alcune delle sue maggiori persecuzioni. Naturalmente, tra questi Paesi c’era anche il territorio dell’attuale Ucraina”.

Per illustrare la drammatica situazione della Chiesa mons. Mokrzycki ha citato una lettera dei sacerdoti cattolici, scritta nel 1930, inviata all’arcivescovo di Varsavia, primate della Polonia, il Cardinale Aleksander Kakowski, e indirettamente indirizzata anche al Papa. In essa vengono descritte le persecuzioni in atto nei territori incorporati nell’Unione Sovietica: “Agli ecclesiastici è vietato entrare negli ospedali, e i malati muoiono senza potersi confessare. Coloro che battezzano i bambini o si sposano in chiesa o passano alla Chiesa cattolica, vengono licenziati dal lavoro, espulsi dalle associazioni, e vengono persino privati degli oneri sociali. Alle chiese e ai sacerdoti non vengono imposte solo le tasse, ma sono costretti a pagare anche i diversi contributi. Le chiese vengono chiuse con la forza o con la menzogna e l’inganno, o per il mancato pagamento delle tasse”. La lettera parla dei cimiteri profanati, le croci spezzate, le tombe distrutte; del maltrattamento e delle derisioni dei bambini cattolici a scuola, dei sacerdoti costretti ad abbandonare lo stato clericale o a diventare agenti comunisti; dei contadini più ricchi che vengono saccheggiati, tormentati, costretti a dichiarare per iscritto che se ne vanno volontariamente”. La lettera finisce con le frasi drammatiche: “Il nostro destino è terribile. Siamo condannati ad essere banditi o a morire da martiri”.

Come ha sottolineato l’arcivescovo Mokrzycki “questa testimonianza straziante ci dà un quadro della persecuzione e dell’enormità dell’odio con cui i comunisti trattavano la Chiesa cattolica”. Purtroppo le persecuzioni non finirono nel periodo postrivoluzionario: la seconda ondata seguì alla fine della Seconda guerra mondiale cioè il periodo compreso tra il 1945 e il 1991. Già nelle prime settimane dopo la fine della guerra, alcune parrocchie e comunità religiose furono chiuse, i loro beni confiscati dal regime. “In questo modo – ha spiegato mons. Mokrzycki - sono state chiuse tante scuole, asili, asili nido, orfanotrofi, unità sanitarie, case di cura, ricoveri per senzatetto e ospedali gestiti dalle comunità religiose”.

In quel periodo, la lotta contro la Chiesa fu condotta apertamente, ricorrendo a “intimidazioni, arresti e persecuzioni del clero”. Tanti sacerdoti e religiosi furono deportati in Siberia. Quelli sacerdoti potevano rientrare nelle loro parrocchie soltanto dopo la morte di Stalin nel 1953. Apparentemente, la situazione migliorò ma in verità le autorità comuniste “con i metodi di lotta occulta, persuasero il clero, con ogni mezzo possibile, a collaborare col regime o a lasciare le parrocchie e fuggire in Polonia”. I sacerdoti rimasti in queste terre “sono considerati gli eroi di quei tempi ed araldi della fede” e per molti di loro “sono iniziati i processi di beatificazione”.

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Mons. Mokrzycki ha sottolineato un ruolo fondamentale delle congregazioni religiose femminili che “continuarono a operare, anche se in forma limitata, nel territorio dell’arcidiocesi di Leopoli”, su richieste insistenti della popolazione locale. La situazione cambiò decisamente soltanto nella seconda metà degli anni Ottanta con la “perestrojka”: “A partire dal 1987 hanno avuto inizio le restituzioni delle chiese e dei monasteri chiusi”. Ma il momento cruciale nella storia della Chiesa cattolica, latina in Ucraina fu il 16 gennaio 1991, quando “Giovanni Paolo II nominò in qualità di arcivescovo di Lwòw, il Cardinale Marian Jaworski, il primo dopo la guerra, al quale nel 2008 sono succeduto io, in quanto arcivescovo di Leopoli”.

Purtroppo, mons. Mokrzycki con il rammarico ha costatato che “ancora oggi la nostra Chiesa cattolica romana in Ucraina continua ad incontrare ostilità e alcune forme di discriminazione da parte delle autorità statali. Soprattutto riguardo al recupero delle chiese, dei monasteri e degli altri edifici sacri che un tempo appartenevano alla Chiesa, ma che sono stati sequestrati e depredati durante l’era comunista. Questo atteggiamento è molto difficile da accettare per noi, doloroso, sconvolgente e incomprensibile”.

Ovviamente la situazione di tutti in Ucraina è cambiata radicalmente con l’invasione del Paese da parte della Russia. La guerra ha enormi conseguenze per la Chiesa, particolarmente evidenti nell’Ucraina orientale, nelle diocesi di Kharkiv-Zaporizhia e Odessa-Symferopol. Come ha spiegato mons. Mokrzycki “lì decine e decine di città e villaggi sono stati distrutti e rasi al suolo. È lì che decine di chiese sono state rese al suolo dai bombardamenti. Rimangono ancora oggi migliaia di ettari dei terreni agricoli minati”. Ma ancora più dolorose sono le perdite umane: i civili morti, tra cui bambini e giovani innocenti, si contano in decina di migliaia se non ancora di più. “Purtroppo – ha sottolineato l’Arcivescovo - non tutte le vittime del conflitto sono state ritrovate e molti corpi rimangono sepolti tra le macerie di Mariupol, Bucza, Irpin o altre città e villaggi. A ciò si aggiunge l’elevato numero di soldati uccisi durante i combattimenti in difesa della propria patria”.

Alla fine del suo discorso mons. Mokrzycki si è soffermato sulle sfide organizzative che la Chiesa ha dovuto affrontare per distribuire degli aiuti umanitari, arrivati da tutto il mondo, ma soprattutto dall’Europa. “Si tratta – ha detto il Monsignore - di una grande impresa logistica che coinvolge clero, religiosi, Caritas e centinaia di volontari. Ad oggi, più di mille camion sono già passati dal punto umanitario gestito dalla nostra Arcidiocesi a Leopoli, che sono stati scaricati e il loro contenuto inviato nelle zone di guerra. Si tratta perciò di organizzare il trasporto e quindi di trovare i fondi per pagare, ad esempio, il carburante”.

Ma l’Arcivescovo ha parlato di un’altra grande sfida: “la cura dei rifugiati, che in migliaia si sono stabiliti nell’arcidiocesi di Leopoli. “Ci chiedono aiuto e devono essere aiutati, non possiamo lasciarli senza il nostro sostegno – ha detto mons. Mietek. Come Chiesa, non siamo in grado di sostenere questo peso da soli. Veniamo aiutati da persone provenienti da tutto il mondo, compresa la Svizzera, alla quale siamo molto grati”.

In questo contesto va sottolineata la grande opera caritativa di “Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)”, che sostiene la Chiesa nelle sue azioni di soccorso in tutta l’Ucraina e contribuisce a garantire il sostentamento di sacerdoti e di religiosi, che continuano a stare con le persone e a fornire loro sostegno spirituale. L’ACN si è impegnata che appena la guerra finirà, darà il suo contributo nella ricostruzione di strutture ecclesiastiche distrutte, come chiese, orfanotrofi e case per anziani.

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Per l’Arcivescovo questa attitudine “è immagine veramente viva del Vangelo e della solidarietà di cui il Signore Gesù ci parla: ‘Portate i pesi gli uni gli altri’”.