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L’arcivescovo di Nagasaki: “Vi racconto il Giappone che attende Papa Francesco”

Papa Francesco e l'arcivescovo Takami | Papa Francesco saluta l'arcivescovo Takami di Nagasaki al termine dell'udienza ai presuli del Giappone del 17 dicembre scorso  | Vatican News Papa Francesco e l'arcivescovo Takami | Papa Francesco saluta l'arcivescovo Takami di Nagasaki al termine dell'udienza ai presuli del Giappone del 17 dicembre scorso | Vatican News

Ancora non è ufficiale il viaggio, né il programma. Ma Papa Francesco ha già annunciato informalmente che andrà in Giappone, ed è quasi certo che sarà a Nagasaki. E lì, sottolinea con ACI Stampa l’arcivescovo Joseph Mitsuaki Takami, troverà ad attenderlo “una storia di cristianesimo ininterrotta da quattrocento anni”. Una storia di martiri, di testimonianza, di quella che è la città con la tradizione più cattolica del Giappone.

Dunque, Papa Francesco sarà in Giappone. Quanto è attesa la visita?

Già nel 2013 avevo scritto a Papa Francesco una lettera di invito, e così ho fatto almeno altre quattro volte. Non ho mai ricevuto risposta. Il 17 dicembre 2018, nel giorno del compleanno del Papa, il Cardinale Thomas Maeda, arcivescovo di Osaka, aveva una udienza con Papa Francesco. Ho approfittato di questa occasione, e gli ho chiesto di accompagnarlo. Con noi è venuto anche l’arcivescovo Tarcisio Isao Kikuchi di Tokyo, e quindi il vescovo Josep Maria Abella, ausiliare di Osaka, che è Clarettiano spagnolo e che faceva una traduzione. E Papa Francesco ha detto: verrò a novembre del prossimo anno. E poi ha aggiunto: verrò a Tokyo, dove incontrerò le autorità, e poi a Nagasaki farò un forte messaggio sull’immoralità delle armi nucleari.

Nagasaki è un posto importante per il cattolicesimo in Giappone. Durante il periodo del “silenzio”, quando essere cristiani portava il rischio della vita, i cattolici si concentrarono lì. Perché?

Vero, da quando il cristianesimo fu dichiarato una Legge malvagia nel 1614, i cristiani che vivevano in quasi tutto il Paese avevano uno dopo l’altro abbandonato la fede a causa della persecuzione sistematica, eccetto in Nagasaki. E questo è un mistero. Ma la fede veniva tramandata in maniera segreta di famiglia e in famiglia, e in molti avevano la responsabilità di battezzare i bambini, di notte, di nascosto. La legge imponeva a tutti di affiliarsi a un tempio buddista. Lo fecero anche i cristiani, per salvare le apparenze, ma nel cuore mantennero viva la fiamma della fede. E riuscirono a rimanere fedeli anche quando il governo organizzò, più volte, retate improvvise per catturare i cristiani.

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Fino a quando dura questa condizione di clandestinità?

Fino a XIX secolo, quando l’ammiraglio Perry entra in Giappone e il Giappone si apre. Il governo, allora, fa un accordo commerciale con Russia, Inghilterra, Francia, Olanda e Stati Uniti, che definisce le città di influenza, dove possono anche costruire luoghi di culto. E viene costruita anche una chiesa a Nagasaki. È in quel momento che si scopre che la fede cattolica è viva.

Nella grande storia missionaria di Nagasaki, c’è anche la presenza di Padre Massimiliano Kolbe. Cosa si ricorda ancora di lui?

Padre Kolbe ha fondato un convento dove oggi si conserva la sua stanza originale, e c’è un piccolo museo per ricordarne la presenza in Giappone. San Giovanni Paolo II lo visitò. Non credo però che Papa Francesco avrà tempo, durante il viaggio.

Ma Papa Francesco avrà modo di parlare della bomba atomica, che, in pochi lo ricordano, colpi anche Nagasaki, dopo Hiroshima. Quanto è presente la distruzione della bomba nei ricordi delle persone, oggi?

A Nagasaki, tutto è stato restaurato, ma si coltiva la memoria. C’è un parco che ricorda dove è esplosa la bomba, il Parco della Pace, c’è il Museo della bomba, ci sono tanti monumenti per le vittime e a Nagasaki, nelle scuole elementari, c‘è un programma di educazione alla pace.

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Ci sono ancora dei sopravvissuti?

Sì, ci sono ancora. Io stesso lo sono, perché ero nel grembo di mia madre quando è esplosa la bomba. E, nell’esplosione, mia madre ha perso la sua mamma e due sorelle. La mia famiglia viveva un po’ fuori città, dietro la montagna, eppure ha sentito il vento fortissimo causato dall’esplosione, ha visto la luce dello scoppio. Mia madre ne parlava poco.

La sua famiglia è sempre stata cattolica?

Siamo cattolici da quattrocento anni. Siamo appunto parte di quella storia di martiri e di nascosti di cui parlavano.

Ma quale è lo stato del cattolicesimo in Giappone?

I numeri dei cattolici sono quasi fermi. Non ci sono tante conversioni, malgrado i nostri sforzi. Dopo la guerra, ci furono molte conversioni, perché la fede era una risposta alle situazioni che si viveva. Ma oggi le persone sono più ricche, vivono situazioni più comode, il materialismo ostacola lo sviluppo della fede. Ci sono molti giapponesi che non credono nell’aldilà. Ma sono fiduciosi, perché, in fondo al cuore, continuano ad avere sete di Dio, anche se apparentemente sono quasi atei.

Spera che la visita di Papa Francesco faccia suscitare nuova fede?

Sì, speriamo che ci sia un risveglio con la visita del Papa. Ma anche che il cristianesimo si liberi dal pregiudizio negativo, che è rimasto dal fatto che, quando il cristianesimo era perseguitato, la nostra fede era descritta come una religione malvagia, e si chiedeva la denuncia dei cristiani in cambio di una ricompensa.

Come superate questo pregiudizio?

Lo testimoniamo vivendo l’amore di Cristo, vivendo da cristiani

Il cristianesimo ha impatto nella società in Giappone?

Ci sono simposi in cui i cristiani sono chiamati a parlare, ma raramente nel dibattito pubblico. L’interesse dei media per i cattolici viene solo quando ci sono situazioni per le quali attaccare la Chiesa, come i casi di abusi. Eppure, i cattolici sono molto considerati: ci sono ospedali, scuole, università cattoliche di cui è universalmente riconosciuto il valore.

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E però la notizia della visita di Papa Francesco si è diffusa subito?

Sì. Sin da quando lo scorso settembre padre Renzo De Luca, provinciale dei Gesuiti del Giappone che era nel noviziato sotto Papa Francesco in Argentina, ha visitato il Papa con un gruppo di non cattolici, e il Papa ha detto loro del suo desiderio di venire.

Come sarà il viaggio? Come vi state preparando?

Il comitato permanente della Conferenza Episcopale è composto da sette vescovi, e ora è stato incaricato comitato preparatore della visita. Si sa che il Papa andrà a Tokyo e Nagasaki. Sarà un viaggio breve. Ma anche quando San Giovanni Paolo II venne in Giappone, fu un viaggio di quattro giorni in tutto, con un Messa a Tokyo, uno ad Hiroshima, e l’arrivo a Nagasaki la sera. Si è parlato anche di fare andare Papa Francesco a Fukushima, ma non sarà possibile. I rappresentanti di Fukushima potranno però vedere il Santo Padre a Tokyo.

Ma cosa può dare la Chiesa del Giappone alla Chiesa universale?

Siamo una piccolissima Chiesa, con 470 anni di evangelizzazione, iniziata con l’arrivo di San Francesco Saverio. Eppure, sebbene più antica di Chiese come quella statunitense o quella canadese, la Chiesa del Giappone è stata come staccata dal resto del mondo, e per questo non abbiamo una tradizione profonda. Ma possiamo essere una testimonianza di martiri. I cristiani hanno trasmesso per secoli la loro fede a costo della vita. E questa loro vita cristiana può essere esempio, incoraggiare altri cristiani.