Il “partire nell’attesa della promessa compiuta e questo vivere quotidiano nell’ascesi, dolce e drammatica, dell’essere in comunità, non è forse la base dell’orizzonte monastico che la Regula Benedicti sintetizza e usa fin nei dettagli? Fu questo monachesimo, questa comunità dell’utopia fondata sulla santità possibile, che ci transitò indenni alla caduta di Roma nel balzo verso un futuro altrimenti forse di annichilamento o di baratro, ma che di fatto, proprio per la sua sapiente pedagogia, ci fece giungere fino all’oggi laddove tutto sembrava anticipare l’apocalisse”. Lo ha detto l’Arcivescovo Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, nell’omelia pronunciata ieri nell’Abbazia di Sant’Anselmo, a Roma, in occasione della Solennità di San Benedetto.

Rivolgendosi ai monaci benedettini, il Prefetto ha chiesto di tornare “a dare forma credibile e fascino irresistibile alla semplicità della vostra regola, non parlandone, ma vivendola. A voi, sotto la guida dello Spirito, il mandato di ascoltare e conoscere i trasalimenti del cuore umano come oggi si esprime e di farlo incontrare con il volto eterno di Dio: l’amore smisurato”.

In conclusione – citando San Giovanni Paolo II – l’Arcivescovo Gugerotti ha auspicato: “lasciateci nella persuasione che anche queste terre usciranno dalla sterilità mortale cui si sono condannate, solo quando il monachesimo rifiorirà. Questo per voi il segno, parafrasando il Vangelo. Chiediamo al Signore, per intercessione del nostro santo padre Benedetto, che ciò avvenga e presto, perché siamo stanchi, perché abbiamo bisogno di una nuova ecologia come luogo dove preghi e lavori questa umanità”.