Cominciamo dalla fine. Ossia dalla certezza che Giulio Andreotti non ha mai realmente avuto contatti, e meno che mai, rapporti, con la mafia.
Una certezza che si fonda anche sulle parole che lo stesso Andreotti scrisse poco prima di morire, in una lettera:"Desidero dichiarare davanti a Dio che nulla ho mai avuto a che fare con la mia è con l'omicidio Pecorelli".
 
Queste parole sono state lette da monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della  Casa Pontificia, qualche sera fa, in occasione della presentazione del libro a Roma, scritto proprio da Sapienza e da Roberto Rotondo, "I miei santi in Paradiso. L'amicizia di Giulio Andreotti con le figure più note del Cattolicesimo del  Novecento", edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Alla presentazione,  organizzata dall'Associazione Giovane Europa presieduta da Angelo Chiovazzo, nella prestigiosa sala Zuccari del Senato, insieme  agli autori, c'erano il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, e Gianni Letta, nella sua veste di presidente del Comitato Centenario di Giulio Andreotti.
Dicevamo di voler cominciare dalla fine, perché le parole di Andreotti, lette con commozione e con altrettanta commozione applaudite, hanno inteso spazzare i dubbi, dissipare le ombre che da sempre accompagnato l'operato di Andreotti, soprattutto negli ultimi decenni della sua vita e nelle riflessioni diffuse dopo la sua morte.
Monsignor Sapienza, infatti, ha spiegato che un uomo alla fine della propria vita non può permettersi di mentire causa questioni così importanti. Era inevitabile che ombre e dubbi ricomparissero anche in occasione della ricorrenza dei cento anni della nascita dello statista,   avvenuta il 14 gennaio 1919. Molte saranno le iniziative messe in campo per questo anniversario, e sono molte anche le pubblicazioni previste, che già hanno fatto versare fiumi di inchiostro e hanno "invaso" molti degli spazi televisivi.
 
Il libro pubblicato dalla Lev, però,  offre un particolare punto di vista sulla vita ricchissima di Andreotti,  ossia il suo stretto rapporto con il mondo cattolico e con le grandi personalità che ha avuto la fortuna di incontrare, dai Papi a Madre Teresa di Calcutta, da Giorgio La Pira a don Gnocchi, attraverso carteggi inediti, racconti, documenti di eccezionale valore storico, incluse le testimonianze rese da Andreotti per i processi di beatificazione e canonizzazione.
 
Ecco allora emergere un mondo variegato e complesso intrecciato di rapporti, di incontri, di amicizie, di aiuti, a partire dai tempi della Fuci,  quando il giovane Andreotti incontra Moro, Mazzolari, Montini,  La Pira, Pacelli.  Tempi fecondi, di energie messe in campo,  grandi ideali e progetti,  che resistono alla terribile bufera della dittatura e della guerra, e si rinvigoriscono nei giorni difficili ma entusiasmanti del dopoguerra e della ricostruzione.  
 
In fondo, attraverso questo libro, si può fare l'esperienza di sfogliare un album dei ricordi di un tempo che, nonostante tutto, appare felice e pieno di speranza. E insieme ritrovare, con la  tutta la forza di una documentazione storica e puntuale, la profondità delle radici del mondo cattolico italiano, che non sono certo  andate perdute,  ma forse risultano appannate, offuscate.
 
Insomma, è un modo per riscoprire quel mondo come un'eredità da recuperare,  e da far fruttare. Come scrive Letta nell'introduzione al saggio:" La caratteristica di Andreotti è sempre stata quella di farsi sottile,  quasi inesistente,  può tramite operativo di sapienza cristiana più alta, secondo gli imperscrutabile disegni della Provvidenza".
 
Del resto, basterebbe leggere le pagine dedicate ai rapporti di Andreotti, quando era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e l'aiuto concreto reso a sacerdoti come don Zeno Saltini e don Carlo Gnocchi,  per capire le motivazioni più profonde dell'agire politico dello statista. Ma attenzione: come ha avvertito uno degli autori, Roberto Rotondo, il libro non intende costituire una difesa d'ufficio della figura di Andreotti dalle pesantissime accuse che gli caddero addosso, usando santi, beati, religiosi dalla potente personalità.  
 
Quelle accuse, ricorda  Rotondo, sono già state archiviate dalle sentenze della Cassazione,  anche ci sono sempre degli "irriducibili" che si ostinano a non riconoscerle.  E che le tireranno fuori anche in questa occasione di celebrazione. Quel che emerge, invece, è il ritratto di un uomo che ha vissuto fino in fondo la sua esperienza umana e politica,  quindi senza evitare errori e cedimenti,  ma sempre nell'incrollabile certezza di voler costruire una nuova Italia. E nella certezza di camminare "nelle orme indelebili", come le definiva lui stesso, dei protagonisti del cattolicesimo del Novecento. 
 
Tra i tanti episodi e ricordi, colpisce l'amicizia nata tra Andreotti con  madre Teresa di Calcutta.  C'è una data precisa di inizio di questa amicizia: il 3 novembre del 1984, quando lo statista è in partenza per New Delhi per partecipare ai funerali di Indira Gandhi.  Madre Teresa ha perso il suo volo e Andreotti le offre di ospitarla su quello di Stato. Comincia così un'amicizia vera, lunga, intensa, con tanto sostegno reciproco.
E Andreotti annota meticolosamente ogni particolare di quel giorno,  fino a ricordare che la futura santa,  arrivata nei locali dell'ambasciata italiana, ad un certo punto tira fuori il rosario e prega. "E' stato un momento di paradiso", scrive, commuovendosi, Giulio Andreotti. Lui, definito il Divo, Belzebu', il Grande tessitore, lo scaltro e subdolo politico. Proprio lui, scrive di aver trovato il Paradiso guardando una minuscola suora che recita il rosario.