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Letture, quando il Covid ci allontanato dai nostri cari, ma non da Dio

La testimonianza di un sacerdote nell'ospedale di Schiavonia

La copertina del libro |  | Messaggero di Padova La copertina del libro | | Messaggero di Padova

E’ una sera come tante, da quando su Padova, sull’Italia, sul mondo è calata l’ombra scura della pandemia, l’ennesima della storia, che oggi ha il nome di Covid. Da qualche settimana si vive rinchiusi, in preda ad una paura che non ha ancora un volto preciso. Si può morire, questo è certo, e la morte è terribile, perché avviene in solitudine, in quei reparti costituiti in tutta fretta per l’emergenza.

Don Marco Galante è nella sua canonica, in una solitudine che spaventa, perché non è stata scelta, ma è imposta. Una telefonata: è il vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, che gli chiede una cosa, ossia di andare in ospedale, a Schiavonia, dove c’è stato uno dei  primi, pericolosi focolai, dove, per l’esattezza, dove si registrò il 21 febbraio 2020 il primo decesso in Italia per Sars-CoV-2. E don Marco, nonostante la naturale paura, risponde a questa chiamata, in cui sente risuonare la voce più forte della sua originaria vocazione. Il giorno dopo si presenta in ospedale, si sottopone alla complessa “vestizione” per affrontare l’isolamento, comincia a conoscere i pazienti  che vivono ore, giorni di angoscia, completamente isolati. Comincia per lui, e per loro, un periodo di prova, terribile, che per decine di loro si conclude tragicamente, ma anche la possibilità di vivere rapporti profondi, sotto il segno pesante del dolore e anche della fede, quella che cambia davvero, fino in fondo, alla presenza di un Mistero. Sofferenza e sollievo, paura e fiducia, distacchi e incontri. Presenza e vicinanza – grazie  al Vangelo – in un momento in cui la solitudine, il dolore, l’angoscia possono perfino togliere il respiro.

L’esperienza di questo sacerdote è raccontata in un libro, “Io sono con te”,  scritto insieme alla giornalista Sara Melchiori,  “Ho accompagnato alla morte oltre duecento persone, per loro ero la carezza di quei familiari che non potevano vedere”, ha spiegato don Marco, nel presentare il libro, insieme a Sara Melchiori, qualche giorno fa a Padova. Quella di don Marco è stata – in corsia – una presenza di ascolto, conforto e preghiera non solo per i tanti malati, ma anche per il personale ospedaliero. Di pazienti , di medici, di questo sacerdote che , in seguito, vivrà per un mese, di giorno e di notte, in ospedale, si vedono a malapena gli occhi, le voce escono flebili da sotto mascherine e maschere per l’ossigeno, ma nonostante tutto gli sguardi si incrociano, le voci mormorano preghiere e richieste di aiuto, di  fare da messaggero per i  familiari che non possono vedere. Incontri che riescono ad accendere speranze e amicizie. Una mano da stringere per affrontare l’ultimo viaggio… Sara Melchiori ha ascoltato a lungo il suo amico don Marco raccontare quel che ha vissuto in questi giorni così diversi e a distanza di quattro anni, lasciando in qualche modo sedimentare ogni cosa, ha rimesso insieme i frammenti di quelle storie, e di quelle che lei stessa ha conosciuto, di  vite stravolte dal Covid-19,  storie di sofferenze, interrogativi, ma anche di dono, presenza, ascolto.

Del resto, è  successo anche a lei di vivere alcuni dei tanti “dolori” che il virus ha portato con sé: l’isolamento  in ospedale; la morte (complice il Covid) di un proprio caro anziano, senza poterlo vedere, confortare e nemmeno “salutare” per l’ultima volta.  Qualcosa di tremendo, a cui nessuno ha mai pensato e che improvvisamente si materializza, uno degli incubi peggiori, quello di trovarsi da soli di fronte al dolore, alla paura, alla morte, come hanno sottolineato  i due autori.

Perché scrivere oggi un libro sul Covid? Perché non deve essere dimenticato quanto è successo, anche se sembra che in generale ci sia un desiderio di lasciarsi tutto alle spalle, una frenesia generale nel correre in giro nella paura che si possa essere rinchiusi ancora. Invece bisogna ricordare, ricostruire anche quell’intensità di rapporti che, nonostante tutto, in molti casi si è potuto ricostruire, com’è successo ai due autori.  Come ha scritto nella prefazione del volume monsignor Pierantonio Pavanello, vescovo di Adria-Rovigo: "Sono passati solo quattro anni da quel febbraio del 2020 quando tutto è cominciato: un tempo non eccessivamente lungo ma sufficiente per dimenticare. Se da un lato è bene che la vita continui e che guardiamo avanti, d’altra parte è un peccato perdere la memoria di quanto è avvenuto, soprattutto del bene che la pandemia ci ha permesso di fare e di ricevere. In particolare è una grande perdita non tenere viva la memoria degli insegnamenti che ci ha dato. Come ci ha ammonito papa Francesco, “peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla” e a distanza di quattro anni ci sono molti segni da cui capiamo che abbiamo sprecato l’occasione di conversione che l’esperienza della pandemia portava con sé". Il libro “Io sono con te” aiuta a riflettere sulla necessità di impedire che questo accada, che quel capitolo della storia intrecciato a infinite storie personali non si chiuda con la semplice parola “Fine”.

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Sara Melchiori, Marco Galante, Io sono con te. Un prete in corsia, Edizioni Messaggero Padova,  pp.152, euro 16