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Migrantes, il terrorismo non può fermare l'accoglienza

L'attentato all'aereoporto |  | TW- PD L'attentato all'aereoporto | | TW- PD

“Il dolore e la rabbia degli attentati di Bruxelles non possono fermare la tutela e la protezione internazionale di chi è in fuga dalla guerra e dalla persecuzione. La sicurezza oggi non è a rischio  per l’arrivo di persone che hanno visto le loro case e la loro vita distrutta da bombardamenti e da violenze, ma da un terrorismo irrazionale anche nato e cresciuto dentro le nostre città europee” - commenta mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes dopo gli attentati di questa mattina.

“La nuova strage di Bruxelles non può diventare una ragione in più per innescare un percorso  doppio di sofferenza per i migranti: costretti a lasciare il loro Paese, fermati e rifiutati ai confini dell’Europa”, conclude Mons. Perego.

Paure e perplessità sulle scelte europee in tema di protezione internazionale sono state espresse anche dai diversi rappresentanti della Commissione europea integrazione della COMECE (Commissione degli Episcopati della comunità Europea) il 16 marzo a Bruxelles all’incontro del COMECE, a cui ha partecipato per l' Italia la Fondazione Migrantes, prima dell’accordo del 18 marzo tra Unione Europea e Turchia, intesa di cui sino ad oggi non è stato possibile accedere al testo integrale. Come Fondazione Migrantes non possiamo che chiederci se la mancanza del testo integrale non sia la diretta conseguenza di un patto “impresentabile”. È vergognoso che il Continente al momento più ricco al mondo, quale è l’Europa, di fronte alla crisi maggiore di rifugiati dopo la Seconda Guerra Mondiale, non riesca a fare di meglio che chiudere le proprie frontiere. Ricordiamo che nel 2015 le domande d’asilo presentate in tutti i 28 paesi che compongono l’Unione Europea sono state poco più di un milione a fronte di più di 550 milioni di abitanti totali. Le domande d’asilo complessive non possono rimanere tutte a carico solo dei primi Paesi di approdo (Italia, Grecia, e Malta) o di chi non ha chiuso le proprie frontiere (Germania, Svezia e pochi altri). La decisione di chiudere le proprie frontiere – l’Ungheria è stata la prima seguita a ruota da Austria, Slovenia e Croazia – non può essere una pratica accettata in Europa, quella stessa Unione Europea che proclama che la solidarietà è alla base dei propri principi costituivi e fondativi.

Troviamo inquietante che chi sta arrivando in Grecia da lunedì 21 marzo venga considerato “irregolare”, e se almeno per 71.000 siriani sembra rimanere la possibilità di entrare regolarmente dalla Turchia scambiati con altre persone arrivate irregolarmente in Grecia nel corso del 2016, ci chiediamo quale destino attenda invece le altre persone che altrettanto dal nostro punto di vista hanno diritto di fare domanda d’asilo scappando da Paesi dove la situazione è tutt’altro che tranquilla.

Che fine faranno gli iracheni, gli afgani, i pakistani e le persone in fuga dal Bangladesh e quelli che scappano da Etiopia, Eritrea, Somalia e numerosi altri Paesi del Centro e del Sud dell’Africa dove a loro volta alcuni gruppi di estremisti stanno mettendo a dura prova la popolazione quali, Libia, Tunisia, Nigeria, Mali?

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Le persone che sono disperate e non hanno alternative non le fermeremo né con muri né con frontiere armate, ma le obbligheremo così facendo a percorrere vie piene di ostacoli e a stare ancora più a lungo in mano ai trafficanti umani. Se non riscopriremo presto che quello che potrà salvare loro è anche quello che può salvare noi ci renderemo conto che chiudendo le frontiere, violando i trattati internazionali e respingendo le persone che fuggono o provando a farle entrare con il contagocce chi sta perdendo di più in realtà siamo noi, cioè l’Unione Europea che non sembra sapere più che i diritti umani fondamentali non bisogna solo saperli scriverle sulla carta, ma metterli alla base delle proprie azioni. La sicurezza, anche dopo gli attentati di queste ore a Bruxelles, non può nascere dalla chiusura, ma dal riconoscimento delle persone che va oltre l'identificazione,  una relazione nuova con le persone, da percorsi di inclusione sociale: tutto ciò che esclude alimenta contrapposizione e conflittualità sociale.  O l'Europa ritorna sui passi della solidarietà o non avrà futuro!