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Pakistan, l’arcivescovo Coutts: “Non solo i cristiani sono rischio”

Arcivescovo Joseph Coutts | L'arcivescovo Coutts nell'Aula Caduti di Nassiriya del Senato, 29 febbraio 2016  | ACI Stampa Arcivescovo Joseph Coutts | L'arcivescovo Coutts nell'Aula Caduti di Nassiriya del Senato, 29 febbraio 2016 | ACI Stampa

Non sono solo i cristiani, ad essere messi nel mirino. Perché in Pakistan è a rischio chiunque si opponga alla creazione di uno Stato Islamico. Lo ha spiegato l’arcivescovo Joseph Coutts di Karachi, intervenendo il 29 febbraio in un convegno al Senato organizzato da Aiuto alla Chiesa che Soffre. E forse lo avrà raccontato anche a Papa Francesco, con il quale ha celebrato Messa questa mattina.

L’arcivescovo Coutts è in Italia per un “tour” che lo porterà a Genova, Milano, Torino. Parla del Pakistan, della sua storia, della difficile situazione che si vive in un posto dove formalmente c’è la libertà religiosa, ma dove in pratica c’è una legge della blasfemia che mette tutti in pericoli. Cattolici e musulmani. La sua presenza in Italia marca il quinto anniversario dell’assassinio di Shahbaz Bhatti, il ministro pakistano per le Minoranze Religiose che fu ucciso il 2 marzo 2011. Cinque anni dopo, l’arcidiocesi di Karachi ha chiesto alla Santa Sede di avviare il processo di canonizzazione. Perché Shahbaz Bhatti è un martire della fede.

“Non posso fare speculazioni, ma credo che tutti i cristiani, e non solo i cattolici, possano essere felici di una beatificazione per Shahbaz Bhatti. Era un uomo buono, avrebbe potuto allontanarsi dal Pakistan. Invece rimase, criticò la legge contro la blasfemia, pur sapendo la fine che avrebbe fatto”, racconta l’arcivescovo Coutts a margine della presentazione. E parla anche di Asia Bibi, la giovane pakistana condannata a morte per blasfemia, per la quale si batté Shahbaz Bhatti: “Il caso di Asia Bibi è conosciuto perché è stato politicizzato. Ma ci sono moltissime Asia Bibi in Pakistan”. 

È la fotografia di una nazione che, nel corso degli anni, ha ceduto all’Islam più radicale. Dal 1986 è in vigore la legge sulla blasfemia, che punisce chiunque, anche indirettamente, reca offesa al Corano. Che significa che seppure inavvertitamente viene calpestato un foglio di carta su cui sono trascritti dei versetti del Corano, si è passabili di denuncia. Ovvio che questo ha creato una situazione di terrore, perché è facile sviluppare accuse, e liberarsi di avversari o nemici. Secondo i dati del Comitato Nazionale per la Giustizia e per la Pace (un organo della Chiesa pakistana), tra il 198 e il 2009 almeno 964 persone sono state accusate di blasfemia: 479 musulmani, 119 cristiano, 340 ahmadi, 14 hindu e 10 di fede sconosciuta.

Ed è anche per questo che non sono solo i cristiani ad essere in pericolo. Racconta l’arcivescovo Coutts: “Il Pakistan fu creato nel 1947 come stato indipendente, separato dall’India, nel momento in cui la Gran Bretagna garantì l’indipendenza all’India. La separazione del Pakistan dall’India avvenne sulla base di voler creare una terra per i musulmani del sub-continente, così che potessero essere liberi di praticare la loro religione senza essere minacciati o dominati dalla maggioranza hindu”.

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Ali Jinnah, padre fondatore del Pakistan, era “un musulmano moderato ed illuminato”, che voleva fare del Pakistan “uno Stato moderno e democratico”. “Secondo la nostra costituzione – dice l’arcivescovo Coutts - la libertà di religione è riconosciuta. Ed è vero: è per questo che noi abbiamo molte chiese, scuole e istituzioni cristiane. Nonostante le alte cariche dello Stato non siano accessibili alle minoranze religiose del Pakistan”.

Ma le cose cambiano. La legge sulla blasfemia viene anticipata dalle decisioni della giunta militare nel 1977, che – di nascosto – elimina dalla Costituzione la possibilità di “diffondere” ognuno la propria religione. E quindi la legge sulla blasfemia, che ha portato anche a veri e propri massacri (come quello di Gorja nel 2009) e all’uccisione di Shahbaz Bhatti, il quale “non aveva commesso blasfemia”, ma “voleva soltanto impedire che la norma fosse utilizzata in modo improprio come spesso accade, ma per i fanatici anche solo il criticare la legge significa commettere blasfemia”.

Ma la legge sulla blasfemia è solo una delle cause di sofferenza. C’è la discriminazione contro i non musulmani, che fanno più fatica a trovare lavoro oppure a ottenere promozioni, e i cui figli si trovano emarginati a scuola. C’è il fenomeno dei “rapimenti e delle conversioni forzate all’Islam di ragazze cristiane e indù che sono poi costrette a sposare i loro rapitori”, un tema – dice l’arcivescovo Coutts – sul quale non ci sono dati ufficiali, ma che coinvolge approssimativamente un migliaio di ragazze l’anno”, soprattutto “nei villaggi e nelle piccole città”, dove è molto difficile “fare qualcosa contro gli aggressori che commettono questo crimine”, perché quando viene denunciato il rapimento, si obbligano le giovani a testimoniare che si sono convertite spontaneamente, con la minaccia di far del male alle loro famiglie.

E poi, gli animi si sono esasperati con la guerra in Afghanistan del 1979. Perché erano in Pakistan i campi di addestramento dei giovani musulmani che poi andavano in Afghanistan a combattere per la libertà, con l’appoggio delle forze Nato. Ma poi questi stessi giovani si rivoltarono contro le forze Nato, anch’esse infedeli. Insomma, la lotta all’Unione Sovietica “ha dato origine a una nuova forma di Islam che predica e promuove la Jihad o Guerra Santa contro i non-musulmani. Questa forma fanatica e militante dell’Islam promuove il terrorismo e le uccisioni. E’ un tipo di Islam che noi non avevamo prima in Pakistan. E’ un prodotto dell’Islam wahabita appartenente all’Arabia Saudita e all’Afghanistan, e che ha guadagnato forza in Pakistan. Questa forma estremista di Islam non crede nella democrazia, che è vista come concetto occidentale”.

E' qui che sta il pericolo maggiore, per tutti. “Loro vogliono che il Pakistan diventi uno Stato puramente islamico” e “non esitano ad usare attentatori suicidi per attaccare ed uccidere chiunque essi vogliano”. La guerra in Afghanistan nel 2001 ha poi creato ulteriori difficoltà, perché “la presenza delle forze NATO in Afghanistan fu percepita come un attacco Cristiano ad un paese musulmano. Alcuni imam cominciarono a diffondere l’idea che i Cristiani (cioè l’Occidente) stavano portando avanti le Crociate con lo scopo di dominare e umiliare i musulmani del mondo. Di conseguenza, i Cristiani in Pakistan furono ritenuti essere agenti dell’Occidente cristiano e quindi nemici dell’Islam”.

Da qui, tra le altre cose, viene l’attentato nella Chiesa di Peshawar nel 2013, che ha portato alla morte di più di 100 cristiani. Era la prima volta che un attentato suicida veniva mosso contro una Chiesa. Poi, gli attentati alle chiese si sono fermati per due anni. Ma il 15 marzo 2015 – racconta l’arcivescovo Coutts - “due chiese del quartiere cristiano di Youhanabad a Lahore sono state attaccate durante la Messa domenicale. Fortunatamente il numero delle vittime non è stato così alto come a Peshawar nel 2013, perché gli attentatori suicidi sono stati fermati prima che potessero entrare in Chiesa”.

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Eppure ci sono segni di speranza. “Noi siamo una piccola minoranza, ma non siamo una Chiesa nascosta o silenziosa. I musulmani di buona volontà, come la HRCP (Human Rights Commission of Pakistan = Commissione Pachistana per i Diritti Umani) e altri, si fanno avanti per sostenerci nelle difficoltà. Noi possiamo tuttora uscire nelle strade per protestare contro le ingiustizie e la violenza”. E tra l’altro La Corte Suprema ha affermato che criticare la legge sulla blasfemia non significa commettere blasfemia. “Questo rappresenta un passo positivo che apre la strada ad un discorso pubblico sul come modificare la legge sulla blasfemia e impedirne un uso improprio”. E poi, il governo ha “dichiarato che i discorsi intolleranti e offensivi contro un’altra religione, che incitano alla violenza, sono illegali e puniti dalla legge”.

C’è una chiesa viva in Pakistan, si costruiscono sempre nuove chiese (e all’apertura di una di queste si è presentato persino un rappresentante delle forze armate), le strutture cattoliche lavorano fianco a fianco con le altre fedi, e danno testimonianza di amore. E c’è anche uno Stato che sembra muoversi, considerando che è stata eseguita la condanna a morte di Mumtaz Qadri l’assassino di Salman Taseer, il governatore del Punjab che pure aveva chiesto una revisione della legge sulla blasfemia.

Infine, c’è un esempio positivo, raccontato da Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Questo esempio ha il nome di suor Daniela Baronchelli, una suora paolina di 84 anni che a Saddar, in uno dei quartieri più caotici di Karachi, ha un piccolo negozio di libri e oggetti religiosi. Rischia la vita, ma è una testimonianza viva. Come era una testimonianza viva di fede Shahbaz Bhatti. Che ora potrebbe persino diventare beato.