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Papa Francesco: “Il prete? Vicino alla gente, non rigido, legato alle sue radici”

Il Papa riceve i partecipanti al Convegno |  | Osservatore Romano Il Papa riceve i partecipanti al Convegno | | Osservatore Romano

La sua “magna charta” per essere un buon sacerdote, Papa Francesco la ripete davanti ai partecipanti a una conferenza organizzata dalla Congregazione per il Clero. Il prete deve essere vicino alla gente, deve risiedere in diocese, perché “il decreto di residenza di Trento” non è ancora stato abrogato, e perché il suo compito è quello di essere presente, di non lasciare mai nessuno senza sacramenti. Il prete deve essere gioioso, e non rigido. Il prete deve essere parte della sua famiglia.

La conferenza parla dei due decreti conciliari “Optatas Totius” e “Presbyterorum ordinis”, e Papa Francesco coglie ancora una volta l’occasione per ribadire che il sacerdote deve essere “pieno di gioia”, che si è sacerdoti “per servire” e che il sacerdote “non è un funzionario”. Con un occhio particolare alla formazione dei sacerdoti, perché – afferma – “il cammino di santità di un prete inizia in seminario”.

Tutto nasce, per Papa Francesco, dal rapporto tra i preti e le persone, perché in fondo il sacerdote “nasce in un certo contesto umano”, dal quale “apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni”, e questa storia pregressa è un dato di cui tenere conto, in modo che la formazione “sia personalizzata”.

Si deve tenere sempre in considerazione – dice il Papa – quel “centro di pastorale vocazionale” che è “la famiglia, chiesa domestica, primo e fondamentale luogo di formazione umana,” dove può germinare “il desiderio di una vita concepita come cammino vocazionale” e dove si impara a stare in relazione, come anche “negli altri contesti comunitari.”

E qui Papa Francesco aggiunge un aneddoto, a braccio. Racconta “Nella Compagnia c’era un prete bravo, bravo, giovane, due anni di prete. E’ entrato in confusione, ha parlato col padre spirituale, con i suoi superiori, con i medici e ha detto: ‘Io me ne vado, non ne posso più, me ne vado’. E pensando a queste cose - io conoscevo la mamma, gente umile - gli ho detto: ‘Perché non vai dalla tua mamma e le parli di questo?’. E’ andato, ha passato tutta la giornata con la mamma, è tornato cambiato. Gli ha mamma gli dato due ‘schiaffi’ spirituali, gli ha detto tre o quattro verità, lo ha messo a posto, ed è andato avanti.”

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Tutto questo è stato possibile perché questo gesuita “è andato alla radice. Per questo è importante non togliere la radice da dove veniamo. In seminario devi fare la preghiera mentale... Sì, certo, questo si deve fare, imparare... Ma prima di tutto prega come ti ha insegnato tua mamma, e poi vai avanti. Ma sempre la radice è lì, la radice della famiglia, come hai imparato a pregare da bambino, anche con le stesse parole, incomincia a pregare così. Poi andrai avanti nella preghiera.”

Riprende il Papa. Un buon prete è “prima di tutto un uomo con la sua umanità”, e la formazione umana serve affinché i preti “imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti”. “Non è normale – afferma Papa Francesco – che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere: non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo”.

Afferma il Papa: “Ma se tu hai una malattia, sei nevrotico, vai dal medico! Dal medico spirituale e dal medico clinico: ti daranno pastiglie che ti faranno bene, ambedue! Ma per favore che i fedeli non paghino la nevrosi dei preti! Non bastonare i fedeli; vicinanza di cuore con loro.”

I sacerdoti sono “apostoli della gioia”, che possono “favorire o ostacolare l’incontro tra il Vangelo e le persone”. Per questo si devono mantenere le sue radici, perché “resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno generato: le nostre radici ci aiutano a ricordare chi siamo e dove Cristo ci ha chiamati”.

Soprattutto, un sacerdote è chiamato “per servire”, come Gesù che è “Sommo Sacerdote”, ma anche “Servo che lava i piedi e si fa prossimo ai più deboli” e “Buon Pastore che sempre ha come fine la cura del suo gregge”.Per questo, la santificazione del sacerdote è “strettamente legata a quella del nostro popolo”.

Formazione umana, intellettuale e spirituale “confluiscono naturalmente in quella pastorale”, e dall’armonia da tutte le dimensioni viene la buona missione del prete.

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“Vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amorevole: con questa testimonianza di vita possiamo evangelizzare, far sperimentare la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo e l’amore di Dio che si fa concreto anche attraverso i suoi ministri”, afferma il Papa.

E il Papa aggiunge il tema della vicinanza dei vescovi ai sacerdoti. “Quante volte sentiamo le lamentele dei preti: ‘Mah, ho chiamato il vescovo perché ho un problema... Il segretario, la segretaria, mi ha detto che è molto occupato, che è in giro, che non può ricevermi prima di tre mesi...’”.

A questo proposito, il Papa prima ricorda che “un vescovo sempre è occupato, grazie a Dio, ma se tu vescovo ricevi una chiamata di un prete e non puoi riceverlo perché hai tanto lavoro, almeno prendi il telefono e chiamalo e digli: ‘E’ urgente? non è urgente? quando, vieni quel giorno...’, così si sente vicino. Ci sono vescovi che sembrano allontanarsi dai preti...” E poi racconta di quei vescovi che rispondono: “No, ho una conferenza in tale città e poi devo fare un viaggio in America, e poi...”. “Ma, senti, - dice il Papa - il decreto di residenza di Trento ancora è vigente! E se tu non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti, e gira il mondo facendo un altro apostolato molto buono. Ma se tu sei vescovo di quella diocesi, residenza.”

La vicinanza si esprime anche nel mostrare “l’amore di Dio che si fa concreto anche attraverso i suoi ministri,” afferma il Papa, riferendosi alla Confessione. A questo proposito, afferma: “Alcune volte non si può assolvere. Ci sono preti che dicono: ‘No, da questo non ti posso assolvere, vattene via’. Questa non è la strada. Se tu non puoi dare l’assoluzione, spiega e di’: ‘Dio ti ama tanto, Dio ti vuole bene. Per arrivare a Dio ci sono tante vie. Io non ti posso dare l’assoluzione, ti do la benedizione. Ma torna, torna sempre qui, che ogni volta che tu torni ti darò la benedizione come segno che Dio ti ama’. E quell’uomo o quella donna se ne va pieno di gioia perché ha trovato l’icona del Padre, che non rifiuta mai; in una maniera o nell’altra lo ha abbracciato.”

Papa Francesco sottolinea anche che “un prete non può avere uno spazio privato, perché è sempre o col Signore o col popolo. Io penso a quei preti che ho conosciuto nella mia città, quando non c’era la segreteria telefonica, ma dormivano con il telefono sul comodino, e a qualunque ora chiamasse la gente, loro si alzavano a dare l’unzione: non moriva nessuno senza i sacramenti! Neppure nel riposo avevano uno spazio privato. Questo è zelo apostolico.”

 

Infine, il Papa aggiunge un altro aneddoto sul discernimento vocazionale. “Una volta, appena nominato maestro dei novizi, anno ’72, sono andato a portare alla psicologa gli esiti del test di personalità, un test semplice che si faceva come uno degli elementi del discernimento. Era una brava donna, e anche bravo medico.” Questa donna a volte lasciava sconcertato padre Bergoglio, e una volta la psicologa gli diede una risposta che il Papa non ha “dimenticato mai”. “Padre, Lei non ha mai pensato perché ci sono tanti poliziotti torturatori? Entrano giovani, sembrano sani ma quando si sentono sicuri, la malattia incomincia ad uscire. Quelle sono le istituzioni forti che cercano questi ammalati incoscienti: la polizia, l’esercito, il clero... E poi tante malattie che tutti noi conosciamo che vengono fuori”.

 

Per questo, dice il Papa, “quando mi accorgo che un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa. Ma quando si sente sicuro... “ E conclude: “Occhi aperti sulla missione nei seminari. Occhi aperti”.