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Papa Francesco in Marocco, “per dare forza a una Chiesa che è periferia”

Padre Manuel Corullon | Padre Corullon, custode dei Francescani del Marocco | Gianluca Teseo / ACI Group Padre Manuel Corullon | Padre Corullon, custode dei Francescani del Marocco | Gianluca Teseo / ACI Group

“Noi siamo la periferia. Siamo la periferia del dialogo interreligioso. Siamo la periferia degli studenti e dei lavoratori che vengono a Rabat.” Padre Manuel Corullon Fernandez, spagnolo, è il custode dei Francescani del Marocco. Sta preparando la liturgia per la Messa che Papa Francesco terrà nello stadio di Rabat, e sul tavolo c’è una icona dell’incontro di San Francesco e il Sultano. “La metteremo in sacrestia”, racconta. Perché quello che Papa Francesco farà in Marocco il 30 e 31 marzo è “particolarmente significativo per noi”.

Perché è così significativo per voi francescani?

Stiamo celebrando l’ottavo centenario dell’arrivo dei Francescani in Marocco ma anche gli ottocento anni dell’incontro di San Francesco con il sultano a Damietta. Noi celebriamo questo speciale modo di essere in dialogo con i musulami, che San Francesco mostrò incontrando il sultano. Non ci si incontra contro la guerra e le armi, ma con il dialogo e l’incontro. Ma stiamo celebrando anche gli 800 anni di presenza francescana in Marocco. Ottocento anni di incontro con la popolazione del Marocco. Per noi, è molto importante che tutto questo coincida con la visita del Papa. E siamo pieni di emozione, perché l’incontro tra Papa Francesco e il re Mohammad ci ricorderà dell’incontro tra San Francesco e il sultano.

I francescani festeggiano ottocento anni di presenza, ma quando arrivarono subirono il martirio. Quanto è significativo il loro martirio?

È necessario comprendere il momento, la spiritualità del maririo che in quel secolo era sentito. Il martirio dei francescani è stato un momento molto importante. Perché da lì si è riconosciuto che si poteva lavorare in un modo differente, sull’esempio del dialogo di Francesco con il sultano. Dopo il martirio, i francescani continuarono il lavoro sul dialogo.

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Dopo i primi martiri del Marocco non ci sono stati più problemi. Perché?

I francescani hanno sempre servito la popolazione in questi secoli, specialmente i più bisognosi, in particolare i prigionieri nelle regioni di Mekhne e Fez. E poi hanno sempre cercato di comprendere la cultura, conoscendo la lingua del posto e rimanendo in dialogo con molte persone.

Lei si occupa anche della preparazione liturgica della Messa che Papa Francesco celebrerà a Rabat. Quali sono le particolarità?

Vogliamo mostrare la cultura del Marocco. La croce è quella dei monaci di TIbherine, che è a Midelt, in Marocco, dove vive padre Jean Piere, l’ultimo sopravvissuto. L’altare è quello della nostra chiesa di San Francesco.

Cosa vi aspettate da questa visita?

Dico a quanti mi stanno aiutando nella preparazione che non è importante la visita, ma il dopo. Papa Francesco ama parlare di una Chiesa in movimento che va nelle periferie. Noi siamo alle periferie. Le periferie del dialogo interreligioso, le periferie degli studenti, delle persone giovani, dei lavoratori che sono qui per lavorare studiare ma vivono la loro fede cercando di entrare giorno dopo giorno nel dialogo interreligioso

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