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Papa Francesco in Romania, il vescovo Fratila: “Troverà una nazione divisa”

Vescovo Mihai Fratila | Il vescovo greco cattolico di Bucarest Mihai Fratila | Gianluca Teseo / ACI Group Vescovo Mihai Fratila | Il vescovo greco cattolico di Bucarest Mihai Fratila | Gianluca Teseo / ACI Group

Una nazione divisa, a causa dell’emigrazione e a causa della perdita del senso religioso, che allontana le persone dalla coscienza personale e dalla coscienza di Dio. È questo il ritratto della Romania fatto dal vescovo Mihai Fratila, che guida i greco-cattolici di Bucarest e che è nel comitato organizzatore del viaggio di Papa Francesco.

Come avete preparato questo viaggio?

A parte le questioni amministrative e logistiche, cerchiamo di vivere al massimo la gioia di accogliere il successore di Pietro nella nostra terra. Soprattutto, siamo felici che la visita di Papa Francesco dia soddisfazione alle varie comunità regionali, perché San Giovanni Paolo II, venti anni fa, per varie ragioni poté rimanere solo a Bucarest. Uno dei nostri obiettivi è di dare un filo conduttore a questo viaggio, che vedrà Papa Francesco toccare Bucarest, Iasi, Sumuleu Ciuc, Blaj.

Lei ha la cura pastorale dei greco-cattolici di Bucarest, ed è una posizione relativamente recente. Quali sono le sfide per i greco-cattolici nella capitale?

La diocesi greco-cattolica di Bucarest è stata eretta nel 2014. La diocesi di Bucarest insiste su una antica regione storica chiamata Valacchia, che ha delle sue particolarità. In più, Bucarest è la capitale, vive la realtà nazionale. Per questo, era diventato difficile mantenere il legame con la diocesi di origine, quella di Alba Iulia con sede a Blaj. La Chiesa Greco Cattolica, quando la Transilvania fu unita alla Romania 100 anni fa, aveva cinque diocesi in Transilvania, ma nessuna a Bucarest. Abbiamo fatto così lo sforzo di erigere una diocesi proprio nella capitale. Prima della soppressione comunista, la Chiesa Greco Cattolica ha potuto sviluppare una presenza nazionale, anche perché a quel tempo tutti i vescovi greco-cattolici erano membri di diritto del Senato e potevano così lavorare sui diritti di Dio nella vita pubblica del Paese. Quando nel 1990 abbiamo recuperato la libertà, ci siamo forse un po’ concentrati troppo sulla provincia, dimenticando l’importanza di avere un posto dove dialogare con la realtà nazionale.

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Lei ha parlato del ritrovamento della libertà. Che impatto ha avuto sulla Chiesa Greco Cattolica Rumena?

Il ritrovamento della libertà è indimenticabile, specialmente per una Chiesa clandestina che vive con forza il tema della memoria vivente – un tema che Papa Francesco ha molto a cuore. La memoria vivente non è solo una consolazione passeggere: esprime la missione di una Chiesa che si era sempre messa al servizio del gregge. La liberazione alla fine del 1989 ha dato il senso della grazia di Dio: ho visto sacerdoti venerabili che hanno aspettato a lungo di v edere l’alba della libertà, ma non hanno mai pensato che questo sarebbe potuto arrivare così, in maniera miracolosa. Tuttavia, la libertà della parola di manifestarsi non porta necessariamente con sé un riconoscimento pubblico di quella società che deve affrontare prima di tutto una battaglia spirituale con la sua coscienza pubblica.

Cosa intende?

Abbiamo ritrovato la libertà, abbiamo ritrovato il diritto di costituirci come Chiesa pubblica, ma il dialogo con le autorità stato molto difficile, perché hanno rifiutato di fare giustizia e fare ritornare alle autorità della Chiesa le proprietà, gli edifici di culto, le chiese che danno il senso dell’apostolato della Chiesa e l’autonomia per compiere il ministero e il servizio.

Come avete vissuto l’oppressione comunista?

Le cose sono finite completamente nel 1948, quando il Partito Comunista ha messo in scena una soppressione in base ad una finta raccolta firme per costringere la Chiesa Greco Cattolica e passare sotto la Chiesa ortodossa. Quella generazione di martiri ha così vissuto il paradosso di un regime ateo che va contro la fede, ma lo fa con teologi al proprio servizio. Questo ha creato una grande divisione, che si è perpetuata non soltanto durante i quaranta anni di regime, ma anche al momento del ritrovamento della libertà.

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Quale sarà dunque la Romania che troverà Papa Francesco?

Penso che troverà una Romania molto divisa. Molti romeni sono all’estero per cercare un lavoro degno ed avere una via, e molti giovani vanno all’università all’estero. Si tratta di un vero dramma, perché è una situazione che divide le famiglie. Questa divisione crea separazione dalla nazione. Così, a trenta anni dalla liberazione, le persone si allontanano dalle responsabilità allontanandosi anche dalla loro coscienza di fede e dalla coscienza di Dio. È più facile innalzare mura e creare luoghi di preghiera, mettendo da parte però il senso di unità e anche la volontà di sacrificarsi per il bene dell’altro. Noi aspettiamo che il Papa dica la sua parola autorevole di figlio di emigrati, perché la situazione che viviamo è una grande provocazione per noi.

Cosa sperate, alla fine, che dirà Papa Francesco?

Papa Francesco non viene per dare soddisfazione solo ai cattolici, sicuramente molto meno numerosi della maggioranza. Viene per poter esprimere un senso di compassione fraterna e riaffermare il nostro statuto di figli di Dio al di là delle nostre confessioni religiose. È chiamato a sottolineare cosa vuol dire rispettare l’altro, mettersi al servizio dei bisogni degli altri, perché questa è la forza del Vangelo. È, in fondo, la forza del buon samaritano, che non guarda alla confessione, ma opera la carità al servizio di tutti. È una lezione che noi romeni dobbiamo ancora imparare, nonostante quello che abbiamo vissuto durante la persecuzione in odio alla fede.