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Papa Francesco in Sud Sudan: "Vescovi e sacerdoti siano docili e intercessori"

Il Papa ha ricordato che "la nostra opera viene da Dio: Lui è il Signore e noi siamo chiamati a essere docili strumenti nelle sue mani"

Il Papa nella Cattedrale di S. Teresa di Giuba |  | Vatican media
Il Papa nella Cattedrale di S. Teresa di Giuba | | Vatican media
Sacerdoti e religiosi nella Cattedrale di S. Teresa di Giuba |  | Elias Turk ACI MENA
Sacerdoti e religiosi nella Cattedrale di S. Teresa di Giuba | | Elias Turk ACI MENA

Il primo incontro della seconda giornata nel Sudan del Sud il Papa lo riserva ai vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi e seminaristi.

“Abbiamo anzitutto bisogno di questo: di accogliere Gesù, nostra pace e nostra speranza”, le acque del Nilo “raccolgono i gemiti sofferenti delle vostre comunità, il grido di dolore di tante vite spezzate, il dramma di un popolo in fuga, l’afflizione del cuore delle donne e la paura impressa negli occhi dei bambini. Allo stesso tempo, però, le acque del grande fiume ci riportano alla storia di Mosè e, perciò, sono segno di liberazione e di salvezza: da quelle acque, infatti, Mosè è stato salvato e, conducendo i suoi in mezzo al Mar Rosso, è diventato strumento di liberazione, icona del soccorso di Dio che vede l’afflizione dei suoi figli, ascolta il loro grido e scende a liberarli”.

Francesco spiega come essere “ministri di Dio in una storia attraversata dalla guerra, dall’odio, dalla violenza, dalla povertà” e lo fa guardando a Mosè che ha dimostrato “docilità e intercessione”.

“La prima cosa che colpisce della storia di Mosè – ha sottolineato - è la sua docilità all’iniziativa di Dio. Non dobbiamo pensare che sia sempre stato così”. Nel deserto “sperimentò una sorta di deserto interiore. A volte qualcosa di simile può capitare anche nella nostra vita di sacerdoti, diaconi, religiosi e seminaristi: sotto sotto pensiamo di essere noi il centro, di poterci affidare, se non in teoria almeno in pratica, quasi esclusivamente alla nostra bravura; o, come Chiesa, di trovare la risposta alle sofferenze e ai bisogni del popolo attraverso strumenti umani, come il denaro, la furbizia, il potere. Invece, la nostra opera viene da Dio: Lui è il Signore e noi siamo chiamati a essere docili strumenti nelle sue mani”.

“Mosè – ha aggiunto - apprende questo” al roveto ardente. “Si mette nell’atteggiamento della docilità. Ecco la docilità che serve al nostro ministero: avvicinarci a Dio con stupore e umiltà, lasciarci attrarre e orientare da Lui; il primato non a noi, ma a Dio. È questo lasciarci plasmare docilmente che ci fa vivere in modo rinnovato il ministero. Facciamo allora come Mosè al cospetto di Dio: togliamoci i sandali con umile rispetto, accostiamoci ogni giorno al mistero di Dio, perché bruci le sterpaglie del nostro orgoglio e delle nostre ambizioni smodate e ci renda umili compagni di viaggio di quanti ci sono affidati”.

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La docilità verso Dio lo rende capace di intercedere per i fratelli.  Ecco – ha detto ancora il Papa - l’intercessione. Così fa Mosè: intercedere è quindi scendere per mettersi in mezzo al popolo, farsi ponti che lo collegano a Dio. Ai Pastori è richiesto di sviluppare proprio quest’arte di camminare in mezzo”.

Le mani protese di Mosè – ha osservato Papa Francesco proseguendo il suo discorso – “indicano la vicinanza di Dio che è all’opera e accompagna il suo popolo. Mosè non si è ritirato: sempre vicino a Dio, non si è mai allontanato dai suoi. Anche noi abbiamo questo compito: tendere le mani, rialzare i fratelli, ricordare loro che Dio è fedele alle sue promesse, esortarli ad andare avanti. Le nostre mani sono state unte di Spirito non solo per i sacri riti, ma per incoraggiare, aiutare, accompagnare le persone ad uscire da ciò che le paralizza, le chiude, le rende timorose”.

Mosè – ha concluso Papa Francesco – “si schiera dalla parte del popolo fino alla fine, alza la mano in suo favore. Non pensa a salvarsi da solo, non vende il popolo per i propri interessi! Intercede, lotta con Dio. Sostenere con la preghiera davanti a Dio le lotte del popolo, attirare il perdono, amministrare la riconciliazione come canali della misericordia di Dio che rimette i peccati: è il nostro compito di intercessori! Tanti sacerdoti, religiose e religiosi sono rimasti vittime di violenze e attentati in cui hanno perso la vita. L’esistenza l’hanno offerta per la causa del Vangelo e la loro vicinanza ai fratelli e alle sorelle è una testimonianza meravigliosa che ci lasciano e che ci invita a portare avanti il loro cammino. Il missionario dev’essere disposto a tutto per Cristo e per il Vangelo, e che c’è bisogno di anime ardite e generose che sappiano patire e morire per l’Africa”.