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Pedofilia. Cosa ha fatto la Chiesa

Basilica di San Pietro | Una veduta della basilica di San Pietro  | Archivio CNA Basilica di San Pietro | Una veduta della basilica di San Pietro | Archivio CNA

L’ultimo caso, quello che ha coinvolto il Cardinal Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, può far venire il dubbio che è pronta un’altra offensiva contro la Chiesa sul tema pedofilia. Il penultimo caso, quello del Cardinal George Pell, chiamato a difendersi davanti alla Royal Commission in una serie di audizioni, ha lasciato comunque il sospetto che la tesi da dimostrare è che la Chiesa sia abituata da sempre a coprire. Un sospetto che resta, se si guarda il film “Spotlight,” vincitore del premio Oscar come miglior film. Non un film contro la Chiesa, e neppure un monito alla Chiesa. Ma di certo un film che, quando parla della Chiesa, ne vuole mettere in luce i problemi, più che esaltare il lavoro fatto nel corso degli anni. Che è tantissimo.

Gli ultimi sviluppi

Gli ultimi sviluppi sono stati portati avanti da Papa Francesco: ha stabilito una Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori; ha installato un Collegio Speciale per l’Esame degli appelli alla sessione ordinaria della Congregazione della Dottrina della Fede, con l’obiettivo di prendersi cura di quei casi di chierici di alto rango che sono accusati dei cosiddetti “delicta graviora”; ha accettato anche di studiare la possibilità di istituire il crimine di “abuso di ufficio episcopale. Ma si tratta solo degli ultimi sviluppi di un percorso lungo. Un percorso di consapevolezza e riforma. Che – come tutti i percorsi – ha risentito

I delicta graviora

Tra i cosiddetti delicta graviora ci sono: l’abuso sessuale di un minore da parte un chierico, o l’acquisizione, il possesso o la distribuzione di pedopornografia da parte di un chierico.

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Hanno una storia. La cui parte recente comincia con il Pontificato di Benedetto XV. Nel 1917, viene promulgato un nuovo Codice di Diritto Canonico, che include una serie di crimini riservati al Sant’Uffizio (l’attuale Congregazione della Dottrina della Fede). E il Sant’Uffizio, nel 1922, pubblica l’istruzione “Crimen Sollicitationis”, che dava istruzioni dettagliate a diocesi e tribunali diocesani su come comportarsi di fronte al crimine dei preti che usavano il Sacramento della Penitenza per fare avance sessuali al penitente. Nell’istruzione, c’era anche una breve sezione riguardo il cosiddetto “Crimen Pessimum”, ovvero il comportamento omosessuale da parte di un chierico. E le norme sul “crimen pessimum” erano estese al crimine dell’abuso sessuale su minori.

Il post- Concilio

Dopo il Concilio Vaticano II, il dibattito porta però a mettere tutto in discussione. C’è una idea generale di decentralizzare, dando maggiori responsabilità ai vescovi. Anzi, valorizzando la capacità di discernere degli stessi vescovi locali. Qualcuno addirittura avanza l’idea che il processo canonico fosse “anacronistico”. Meglio – si diceva – un approccio pastorale.

Chiaramente, tutto va calato nel contesto di quegli anni. Non si tratta di un approccio che mira alla copertura dei casi. Ma la gestione dei casi a livello locale può portare a delle falle nel sistema.

Benedetto XVI spiegherà questo clima nella lettera pastorale ai Cattolici di Irlanda del 2010, una pietra miliare per comprendere il suo approccio.

Scriveva Benedetto XVI: “Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. È in questo contesto generale che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi, che ha contribuito in misura tutt’altro che piccola all’indebolimento della fede e alla perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti”.

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Questa analisi spiega – ma ovviamente non giustifica – quello che è accaduto negli anni degli scandali.

Dal 1962 al 2001, la “Crimen Sollicitationis” viene applicata solamente nei casi di abuso del sacramento della Confessione, e il Sant’Uffizio non è più considerato competente per i casi di abuso sessuale, ma solo per i casi che riguardano l’abuso della confessione. Per questo, durante questo periodo i casi di abuso da parte del clero presentati al Sant’Uffizio sono pochissimi.

Anche il nuovo codice di Diritto Canonico del 1983 non contribuisce a chiarire la questione. Anzi: il canone 1395 sottolinea che i processi per abuso devono avere luogo nelle diocesi. Le procedure diventano complicate. Il Cardinal Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, chiede chiarimenti al Cardinal José Rosalio Castillo Lara, presidente del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi. Chiede il Cardinal Ratzinger: come interpretare correttamente le norme? Le procedure della legge canonica – spiega – rendono difficoltoso laicizzare i preti che hanno abusato.

È il 1988. Nello stesso anno arriva la Pastor Bonus, la costituzione apostolica che regola funzioni e compiti degli uffici di Curia. Secondo la Pastor Bonus, la Congregazione per la Dottrina della Fede allarga lo spettro dei crimini sotto la sua giurisdizione, sebbene la Costituzione non fornisca una precisa lista di crimini. E così, sono sempre i vescovi ad essere incaricati di mettere sotto accusa i preti che hanno commesso abusi. In pratica, la congregazione per il Clero.

La svolta del 2001

È nel 2001 che arriva la svolta. Dopo lo scandalo pedofilia nell’arcidiocesi di Boston, Giovanni Paolo II promulga il motu proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela, che trasferisce l’autorità di investigare i casi di abuso dalla Congregazione del Clero alla Congregazione della Dottrina della Fede. L’istruzione “De delictis gravioribus” della Congregazione della Dottrina della Fede arriva subito dopo, nel 2002, voluta dal Cardinal Ratzinger per definire una procedura precisa per affrontare i casi di abusi. C’è bisogno di centralizzare, perché in buona parte dei casi i fallimenti sono dipesi dal fatto che le diocesi fallivano nel riportare i casi di abuso sessuale a Roma, e in molti casi hanno semplicemente trasferito i sacerdoti, invece di punirli.

Sempre il caso degli Stati Uniti spinge il Cardinal Giovan Battista Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi, a inviare una lettera al vescovo Wilton Daniel Gregory, allora presidente della Conferenza Episcopale USA, fornendo linee guida su come trattare i casi di abuso da parte del clero. Queste norme saranno sottoposte a una recognitio da parte della Santa Sede il 16 dicembre, 2002, e nel 2003 la Congregazione per la Dottrina della Fede adottò un regolamento interno con linee guida per trattare i casi di pedofilia.

È un percorso che Benedetto XVI porta avanti da Papa. A luglio 2010, la Congregazione della Dottrina della Fede presenta delle modifiche al Diritto Canonico che spiegano nel dettaglio il modo in cui il dicastero debba esaminare e punire i problemi dell’abuso sessuale su minori. Nello stesso anno, la Congregazione per la Dottrina della Fede chiede alle conferenze episcopali di tutto il mondo di adottare linee guida per combattere gli abusi a partire da maggio 2012. La lettera mette in luce cinque punti chiave: l’educazione dei futuri sacerdoti e religiosi; il supporto nei confronti dei preti colpevoli; la collaborazione con le autorità civili.

La Chiesa era stata davvero silenziosa?

Si sbaglierebbe, però, a pensare che la Chiesa fosse rimasta inerme prima. Negli Stati Uniti nel 1994 e poi in Irlanda nel 1996 vengono adottate delle deroghe alle norme di diritto canonico, con l’intenzione di rendere le pene per i colpevoli ancora più dure e per consentire processi più veloci, cercando così di evitare che i crimini andassero in prescrizione. Le deroghe – che poi saranno adottate nelle nuove norme – elevavano a 18 anni l’età in cui una persona abusata veniva considerata un minore, e calcolava la prescrizione a partire da quando la vittima compiva 18 anni.

Non solo: nel 1995, la Chiesa belga, scioccata dallo scandalo Dutroux (un uomo che aveva abusato e assassinato una decina di ragazzini) stabilì una commissione indipendente per affrontare la questione. La commissione si dimise nel 2010, e dopo quello la Conferenza Episcopale Belga si prese cura della questione. Nell’ultimo rapporto – presentato il 23 febbraio 2016 – si legge che ci sono state 1046 denunce di abusi tra il 2012 e il 2015, e che la Chiesa in Belgio ha pagato circa 1,4 milioni di euro di risarcimenti.

Sempre nel 1995, il Cardinal Hans Hermann Groer, allora arcivescovo di Vienna, viene accusato da un gruppo di vittime e da vari media di aver commesso abusi sessuali su un gruppo di giovani in un monastero durante gli anni 70. Il Cardinal Ratzinger chiede di investigare. Ma l’investigazione – rivelerà poi il Cardinal Cristoph Schoenborn in una intervista del 2010 – viene rallentata. Finché, nel 1998, il Cardinal Groer viene spinto a dimettersi. Morirà in Germania il 24 marzo, 2003.

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L’approccio di Benedetto XVI

Colpito dalla grande ondata di scandali di pedofilia – una campagna orchestrata in maniera raffinata e durissima – Benedetto XVI ha già però in mente l’approccio. Lo ha identificato quando era prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Due le parole d’ordine: giustizia e auto-consapevolezza degli errori fatti.

L’approccio della giustizia è provato da numeri, che la Congregazione della Dottrina della Fede ha recentemente fornito in occasione di una audizione della Santa Sede di fronte a un comitato ONU a gennaio 2014: tra il 2011 e il 2012, Benedetto XVI ha ridotto allo stato laicale circa 400 preti. Il dato testimonia anche una crescita significativa nell’affrontare i casi: nel 2009, erano stati rimossi 171 preti; nel 2010, ci sono 527 denunce alla Congregazione della Dottrina della Fede, ma non ci sono numeri sui sacerdoti ridotti allo stato laicale. Nel 2010, sono 260 i sacerdoti laicizzati su 404 casi riportati; nel 2012, ci sono 418 denunce, 124 sacerdoti ridotti allo Stato laicale.

I casi più importanti

Ecco alcuni dei casi più importanti: nel maggio 2005, Benedetto XVI ha ridotto allo stato laicale padre Gino Burresi, fondatore dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, perché aveva abusato sessualmente di alcuni dei suoi seguaci; il 19 agosto 2005, Benedetto XVI ha accettato le dimissioni immediate del vescovo Juan Carlos Maccarone, di Santiago del Estero (Argentina) perché colto in atteggiamento intimo con un giovane di 23 anni. Il 19 maggio 2006, Benedetto XVI ha condannato padre Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, a una vita riservata di preghiera e alla rinuncia a ogni incarico pubblico. Padre Maciel – che era stato sotto investigazione già sotto Pio XII – non subì un processo canonico solo a causa della sua età avanzata. Nel 2007, Benedetto XVI obbligò la “Communité des Beatitudes”, francese, a una rifondazione, dato che un gruppo dei suoi membri aveva commesso abusi su bambini: la comunità riconoscerà nel 2011 le colpe di un “ristretto numero” dei suoi membri, tra cui il loro fondatore. Nel 2011, la Congregazione per la Dottrina della Fede completa l’indagine su padre Fernando Karadima, un carismatico sacerdote cileno accusato di aver molestato bambini, nonostante l’indagine civile contro di lui fosse stata archiviata perché gli eventi erano avvenuti troppo lontani nel tempo. Karadima fu riconosciuto colpevole.

Il caso irlandese

Colpisce, per la vastità, il caso irlandese, che portò poi Benedetto XVI alla famosa lettera ai cattolici d’Irlanda. Tre rapporti vengono pubblicati nel corso di pochi anni: il rapporto Ryan parla degli abusi nella Chiesa di Irlanda, quello Murphy si concentra sugli abusi nella diocesi di Dublino, il rapporto Cloyne sulla diocesi di Cloyne. Per due volte i vescovi di Irlanda vengono a Roma, a parlare con Benedetto XVI.

E qui si vede l’approccio del Papa. Mette la Chiesa di Irlanda in penitenza, impone un esame di coscienza. Non rimuove i vescovi colpevoli, ma rende chiari i loro errori, ne accetta le dimissioni. Annuncia una visitazione apostolica, che provvederà i criteri per affrontare i casi di abuso. Sottolinea che i processi canonici non escludono la cooperazione con le autorità civili.

Perché la necessità non è solo di punire, ma è anche di far iniziare un cambio di mentalità. Il processo di maturazione è lento, ma deciso. E consiste anche in una decisione sorprendente: Charles J. Brown, della Congregazione della Dottrina della Fede, viene nominato nunzio in Irlanda. Non un diplomatico, ma un esperto di diritto canonico, di dottrina, che conosce il lavoro svolto e sa pastoralmente portarlo avanti.

Il documento finale della visitazione apostolica viene pubblicato il 20 marzo 2012. Ribadisce in pratica le linee guida per la prevenzione degli abusi, stilate nel documento del 2008 “Safeguarding Children”. Queste linee guida chiedono un ampio “coinvolgimento di fedeli e di corpi ecclesiali” nella “prevenzione e formazione” e ribadisce “l’apertura ad una ampia cooperazione con le autorità civili” nel riportare le accuse. Chiede anche a tutti i vescovi visitati di riportare le accuse di abusi sia alla Congregazione della Dottrina della Fede che alle autorità civili.

La cura delle vittime

Nel frattempo, Benedetto XVI mostra che l’approccio deve anche essere orientato alla cura delle vittime. Per cinque volte, si incontra con le vittime: nel 2008 negli Stati Uniti e in Australia, nel 2010 a Malta e nel Regno Unito, nel 2011 in Germania. Incontri che hanno riscontri: secondo un rapporto della National Catholic Safeguarding Commission dell’agosto 2011, le denunce di abuse sono triplicate nel Regno Unito dopo la visita di Benedetto XVI. Dopo la visita a Malta, viene accelerato il lavoro degli investigatori che portano alla sentenza penale per pedofilia nel confronti del sacerdote maltese Charles Pulis.

Nel frattempo, anche la Chiesa negli Stati Uniti ha avviato la ricostruzione. L’arcidiocesi di Boston ha dovuto pagare 1,5 miliardi di dollari di risarcimento alle vittime. Ma ha anche avviato il percorso di guarigione: il giovedì di ascensione del 2006, comincia un “pellegrinaggio di Penitenza e speranza” in nove comunità in cui ci sono stati casi di abuso, in modo da mostrare pubblicamente la tristezza e la contrizione delle comunità per la sofferenza delle vittime e delle loro famiglie e per invitare le persone a tornare nella Chiesa.

La guarigione e il rinnovamento

L’approccio di guarigione e rinnovamento diventa ufficiale con un simposio, organizzato all’università Gregoriana dal 6 al 9 febbraio 2011. Il simposio si chiama proprio “Verso la guarigione e il rinnovamento” ed è stato organizzato in modo da delineare una risposta allo scandalo degli abusi. Un anno dopo, l’Università Gregoriana ha lanciato il Centro per la Protezione dei Minori. Il centro (i cui uffici furono inizialmente stabilit a Monaco) era il frutto della collaborazione tra la Pontificia Università Gregoriana, l’arcidiocesi di Monaco e Frisinga e il dipartimento di Psichiatria e di Psicoterapia infantile dell’Università di Ulm. E funziona come una centro di e-learning, multilingue, che crea una competenza necessaria per affrontare e prevenire gli abusi sessuali sui minori.

L’impegno di Papa Francesco

Questo impegno è stato portato avanti da Papa Francesco. In primis, con l’Istituzione della Pontificia Commissione per la protezione dei minori. Secondo le parole del Cardinal Sean O’Malley – che ne ha proposto la costituzione – la commissione “studierà programmi attualmente in corso per la protezione dei bambini; farà suggerimenti per nuove iniziative sul tema da parte della Curia, in collaborazione con vescovi, conferenze episcopali, superiori religiosi e conferenze dei superiori degli ordini religiosi; identificherà persone qualificate per la sistematica implementazione di queste iniziative”. I membri della commissione sono tutti laici in qualche modo esperti, incluse due ex vittime.

Il 20 marzo 2015, poi, Papa Francesco ha accettato la decisione del Cardinal Keith O’Brien, della Scozia, di lasciare i suoi doveri ecclesiali. Il Cardinal O’Brien si era dimesso nel febbraio 2013, e per questo non aveva preso parte al Conclave 2013, a seguito di accuse di comportamento sessuale inappropriato nei confronti di 3 sacerdoti. Si era ritirato fuori dalla Scozia, dopo aver ammesso le sue colpe. La sua decisione di lasciare anche i doveri ecclesiali aveva fatto seguito all’inchiesta dell’arcivescovo Charles J. Scicluna, inviato speciale del Papa per il caso. E solo il Papa e l’arcivescovo Scicluna conoscono le conclusioni dell’inchiesta.

Poi c’è il caso di Jozef Wesolowski, l’ex nunzio in Repubblica Dominicana che è morto per cause naturali il 27 agosto 2015, mentre era agli arresti domiciliari ed era partito il processo penale nello Stato di Città del Vaticano contro di lui. Da nunzio era stato nel Paese caraibico dal 2008 al 2013, finché non si dimise a seguito delle accuse di aver pagato per fare del sesso con dei minori. Trasferito a Roma, fu messo sotto processo dalla Congregazione della Dottrina della Fede. Nel giugno 2014, la Congregazione lo riconobbe colpevole delle accuse, e fu deciso che l’ex nunzio sarebbe stato ridotto allo stato laicale, e che il nunzio avrebbe anche subito un processo penale da parte del Vaticano (il nuovo codice penale vaticano includeva tra l’altro il crimine di possesso di materiale pedopornografico).

Questo approccio ricalca quello portato avanti da Benedetto XVI, ovvero quello di giustizia e guarigione. Anche per questo Papa Francesco ha voluto incontrare alcuni rappresentanti delle vittime di abusi sessuali il 27 settembre 2015. Era il primo incontro di un Papa con sopravvissuti agli abusi avvenuto all’interno del Vaticano.

E racconta di un lavoro che va avanti, che non si è mai fermato. Al di là delle polemiche, la Chiesa è l’istituzione che ha fatto di più per combattere gli abusi. Tanto che nel libro “Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo” di Massimo Introvigne e Roberto Marchesini, gli autori arrivano alla conclusione che le istituzioni cattoliche sono le più sicure per i minori. Lo fanno incrociando dati che arrivano dal John Jay College e dalla City University di New York. Dati di cui tener conto, che però non arrivano ancora al grande pubblico. Ci sono ancora molte cose da fare. Ma si deve essere chiari: la lotta agli abusi sui minori è iniziata da tempo.