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Per Antonio Gianfico, presidente della San Vincenzo, vivere la missione è speranza

Noi volontari della Società di San Vincenzo De Paoli siamo tutti un po’ Marta ed un po’ Maria

Antonio Gianfico  |  | Società san Vincenzo Antonio Gianfico | | Società san Vincenzo

Nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, ‘Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato’, Papa Francesco ha invitato a vivere l’esperienza degli Apostoli: “L’amicizia con il Signore, vederlo curare i malati, mangiare con i peccatori, nutrire gli affamati, avvicinarsi agli esclusi, toccare gli impuri, identificarsi con i bisognosi, invitare alle beatitudini, insegnare in maniera nuova e piena di autorità, lascia un’impronta indelebile, capace di suscitare stupore e una gioia espansiva e gratuita che non si può contenere… L’amore è sempre in movimento e ci pone in movimento per condividere l’annuncio più bello e fonte di speranza”.

Per comprendere meglio l’essenza del messaggio papale abbiamo chiesto al presidente della Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Antonio Gianfico, di raccontare in quale modo è possibile raccontare ciò che si è visto: “Noi volontari della Società di San Vincenzo De Paoli siamo tutti un po’ Marta ed un po’ Maria. E, se le nostre due anime sono la contemplazione e l’azione, per noi, raccontare, può essere non solo parole, ma anche fatti. Composta da 2.300.000 volontari in 154 Paesi del mondo, la Società di San Vincenzo De Paoli è un’associazione di laici cattolici. Per meglio rispondere vorrei ricordare le parole di Gesù: ‘Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi’ (Mt 25, 35-36). 

In tutta Italia la Società di San Vincenzo De Paoli ha realizzato mense, dormitori, case di ospitalità per persone in difficoltà, centri per l’assistenza a bambini e ragazzi e per persone sole o anziane, strutture per l’accoglienza dei migranti, empori solidali. Poi c’è il carcere: povertà tra le povertà. I nostri volontari visitano i detenuti per portare loro un po’ di sapone, qualche vestito, ma anche ascolto e vicinanza alle loro famiglie. 

Pochi giorni fa, si è svolta la premiazione della XIV Edizione del Premio Carlo Castelli, concorso letterario riservato ai detenuti delle carceri italiane. Una bella opportunità, per chi ha sbagliato, di riflettere e migliorarsi attraverso la scrittura, ma anche una possibilità di riscatto, perché il premio che destiniamo ai vincitori, è sempre doppio: una parte viene assegnata all’autore del testo, un’altra parte viene destinata a finanziare un’opera nel sociale. Io sono fermamente convinto che il buon esempio, quello che tanti volontari della nostra Associazione danno, testimoniando con la propria vita i valori in cui credono, sia un buon modo per comunicare, proprio quei valori, a quella parte del mondo che, distratta dai troppi impegni ed affanni, rischia di cadere in preda ad egoismo ed individualismo”.

Allora in quale modo è possibile raccontare parole di speranza?

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“Il motto della nostra Associazione è ‘Serviens in spe’, al servizio nella speranza. Mi riallaccio alla risposta di prima, per aggiungere che, noi vincenziani, abbiamo una ‘missione’ che consiste nell’ascoltare, nel consigliare, nello stare vicino a chi soffre. Noi affianchiamo le persone e le famiglie in difficoltà accompagnandole in un percorso che non prevede solo la consegna di un pacco di alimenti e qualche soldo o qualche medicina, ma il prendersi cura dell’aspetto emotivo, alleviare la solitudine, aiutare chi si sente perduto a crescere, maturare, a riprendersi la propria dignità. A tornare ad essere una persona normale, con la voglia di rimettersi in gioco, di affrontare di nuovo con coraggio le sfide della vita. Quindi ci prendiamo cura della persona, e non solo della povertà”. 

In quale modo annunciare il Regno dei Cieli?

“E’ lo stesso Gesù a chiederci di non limitarci ad attendere il Regno dei Cieli, ma ci invita a costruirlo insieme a Lui. Il nostro servire nella speranza è il modo che abbiamo scelto per annunciarlo. E speriamo che molti altri volontari desiderino unirsi a noi per contribuire a realizzarlo”.

Come la Società di San Vincenzo De Paoli è missionaria?

“Le nostre attività in Italia e nel mondo, anche nei Paesi più disagiati, sono di fatto missione. Nel Terzo Mondo costruiamo aule scolastiche, scaviamo pozzi, ci prendiamo cura dei bambini soli. Ma la nostra missione non finisce qui, perché oltre a fare del bene al prossimo, rendiamo più bella e più piena la vita di chi, insieme a noi, aiuta le persone in difficoltà. Perché, come recita un altro nostro motto: ‘dare una mano colora la vita’. E la miglior testimonianza di questo è il sorriso dei nostri volontari”.

Allora in quale modo la Società di San Vincenzo de’ Paoli ha affrontato l’emergenza del Covid 19?

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“Le nostre mense hanno visto il quadruplicarsi degli accessi, i dormitori sono rimasti aperti non solo la notte, ma anche durante il giorno, per offrire a chi, una casa non ce l’ha, la possibilità di trascorrere la quarantena. I servizi essenziali sono stati potenziati. Questo ha richiesto un grandissimo sforzo di organizzazione, anche perché desideravamo proteggere le persone che affianchiamo, come pure i nostri volontari. 

Abbiamo così coinvolto un’università autorevole, il Politecnico di Torino che, insieme all’Ordine dei Medici, ha mappato tutte le nostre attività, suggerendoci, di volta in volta, le linee guida migliori per continuare ad erogare i servizi in sicurezza. Ne è nato un documento che abbiamo messo a disposizione non solo dei nostri volontari, ma di tutte le realtà del Terzo Settore che desideravano adottarlo. Anche questo è missione”.