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Protezione per i minori, una laurea aiuterà le riforme?

San Pietro | Statua di San Pietro sulla Basilica di San Pietro | Bohumil Petrik / ACI Group San Pietro | Statua di San Pietro sulla Basilica di San Pietro | Bohumil Petrik / ACI Group

L’apertura di un diploma in Safeguarding of Minors. An Interdisciplinary approach è stato annunciato la scorsa settimana all’annuale Anglophone Conference del Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana. Un annuncio che si combina con le recenti nuove linee guida della Pontificia Commissione per la Protezione per i Minori, che ha proposto anche di stabilire una sezione ad hoc della Congregazione della Dottrina della Fede per giudicare i vescovi che hanno eventualmente insabbiato gli abusi. E che racconta il nuovo corso della risposta della Chiesa alla pedofilia. Un corso ancora in via di definizione.

Quando si stabilì la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, sembrava evidente che avrebbe preso le mosse dal lavoro fatto dal Centre for Child Protection dell’Università Gregoriana. Lo dicevano buona parte dei suoi membri, provenienti proprio dal simposio “Verso la guarigione e il rinnovamento” che aveva dato vita al Centro. E lo diceva l’approccio, quasi tutto mutuato dall’arcidiocesi di Boston, come dimostra la nomina a presidente del Cardinal Sean O’Malley, arcivescovo della città USA da cui partì l’ondata degli scandali nel 2002, e il fatto che mons. Robert W. Oliver, un protagonista della stagione della lotta agli abusi di Boston, fosse stato prima chiamato in servizio a Roma come promotore di Giustizia della Congregazione della Dottrina della Fede, e poi spostato alla Segreteria della Pontificia Commissione per i Minori.

Il centro, intanto, sotto la direzione di Padre Hans Zollner – anche lui membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori – ha spostato i suoi lavori dalla Germania a Roma, e ha continuato a portare avanti il lavoro di “best practices” per affrontare gli abusi. La Anglophone conference di quest’anno per la prima volta è stata affrontata a partire dalla teologia sistematica. Un approccio teologico e spirituale – come recita il titolo di quest’anno - per comprendere cosa significhi parlare di redenzione a vittime di abuso, di possibile riconciliazione, di responsabilità e missione della Chiesa e della preghiera di fronte ai peccati e crimini commessi.

Alla conferenza, hanno preso parte rappresentanti di conferenze episcopali da 15 nazioni di lingua inglese, e in questa occasione è stato annunciato il diploma “Safeguarding of Minors. An Interdisciplinary Approach,” il cui corso inizierà nel febbraio 2016 e mira alla formazione dei futuri responsabili della protezione dei minori in istituzioni come diocesi e congregazioni religiose e consulenti e formatori nell’ambito della tutela dei minori (case di formazione, seminari, scuole…).

Il vescovo Edward Burns di Junea, Alaska, ha detto durante la conferenza che “è essenziale prima di tutto rivolgersi alle vittime e a quanti sono stati colpiti dalla crisi, e in secondo luogo di essere proattivi nel creare un ambiente sicuro all’interno della Chiesa.” E ha sottolineato che negli ultimi anni 2 milioni di adulti e 5 milioni di bambini hanno studiato procedure di salvaguardia.”

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A questo lavoro continuo alla base e a livello accademico di raccolta e proposte di “buone pratiche” si è affiancato il lavoro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori .Stabilita passo dopo passo, con una composizione dei membri che è cresciuta fino agli attuali 17 più il presidente con rappresentanza continentale, la commissione, con l’apporto tecnico di monsignor Robert Oliver, ha proposto diverse buone pratiche e modifiche alle procedure.

La parola d’ordine è quella di “accountability,” vale a dire “responsabilità.” Ma come definire la responsabilità?

La Santa Sede ha messo in campo una risposta agli abusi molto forte, i dati della Congregazione della Dottrina della Fede parlano di oltre 400 sacerdoti ridotti allo stato laicale tra il 2011 e il 2012 dopo essere stati trovati colpevoli di abusi. Allo stesso tempo, le difese ai processi – alcuni addirittura che volevano mettere il Papa sulla sbarra dei testimoni – si sono basate su un chiaro principio giuridico: la responsabilità degli abusi è personale, i sacerdoti non sono dipendenti dei vescovi, e non si può paragonare la Chiesa ad una organizzazione multinazionale, in cui Roma non poteva non sapere di quanto succedeva nel mondo.

Tra l’altro, le disposizioni della Congregazione della Dottrina della Fede, a partire dal 2001, hanno puntato proprio ad accentrare il controllo, perché buona parte delle coperture degli abusi erano avvenute a livello locale, senza che Roma ne sapesse nulla.

Un lavoro titanico, cui si è dedicato in particolare, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, il Cardinal Joseph Ratztinger, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Già nel 1988, in una lettera aveva mostrato come fosse difficile per i vescovi laicizzare i preti colpevoli di abuso con le procedure esistenti. Poi, con il motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela” nel 2001, San Giovanni Paolo II aveva trasferito l’autorità di investigare nei casi di abuso dalla Congregazione per il Clero alla Congregazione per la Dottrina della Fede, così che potessero andare avanti più speditamente. Infine, nel luglio del 2010, sotto Benedetto XVI, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva presentato modifiche alle leggi canoniche che avevano mostrato nel dettaglio come il dicastero avrebbe dovuto esaminare e punire i casi di abuso.

Lo sforzo di Papa Francesco si è inserito in questo filone, e quello su cui si lavora ora sono le linee guida. Le modifiche che si sono susseguite sono varie. Il 5 febbraio, il Papa ha inviato una lettera ai presidenti delle Conferenze Episcopali e ai presidenti degli Istituti di Vita Consacrata, sottolineando che “è responsabilità dei vescovi diocesani e dei superiori di accertarsi che la sicurezza dei minori e degli adulti vulnerabili sia assicurata nelle parrocchie e in altre istituzioni ecclesiastiche.

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Il 22 marzo, nel chirografo che stabiliva la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, si chiedeva un “profondo esame di coscienza per la Chiesa intera, e ci porta a chiedere perdono delle vittime e dalla nostra società per il danno causato”. E infine, l’istituzione di una sezione di tribunale speciale per discutere i casi dei vescovi che hanno fallito nel proteggere i bambini.

Al di là dell’impegno, la discussione resta aperta su alcune formule utilizzate. Ci saranno sicuramente ulteriori limature. Dovrà essere ben definito che i vescovi non sono direttamente responsabili delle azioni dei sacerdoti, un tema che torna sempre nella storia dei casi di abusi, in modo che anche le responsabilità siano definite in maniera chiara. Precisazioni doverose. Perché la Chiesa cattolica ha il coraggio di chiedere perdono degli errori dei suoi figli. Ma i processi devono anche essere portati avanti con giustizia.