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Quali le vere novità della nuova Legge fondamentale dello Stato di Città del Vaticano?

La professoressa Geraldina Boni affronta i nodi critici della nuova Legge fondamentale dello Stato di Città del Vaticano

Stato di Città del Vaticano | Una veduta dello Stato di Città del Vaticano | Vaticanstate.va Stato di Città del Vaticano | Una veduta dello Stato di Città del Vaticano | Vaticanstate.va

Non è facile entrare nei meandri della nuova Legge fondamentale dello Stato di Città del Vaticano, promulgata da Papa Francesco lo scorso 13 maggio. La terza Legge fondamentale ad essere promulgata dalla nascita dello Stato di Città del Vaticano ha diverse novità: dall’attribuzione dei poteri al solo Papa, mentre tutti gli altri uffici del Governatorato hanno funzioni; dall’ingresso di laici, uomini e donne, nella Commissione per lo Stato di Città del Vaticano, mentre Pio XII aveva voluto una commissione cardinalizia; fino ad una nuova concezione dello Stato.

Tutto davvero nuovo? Oppure si tratta solo di una riformulazione di alcuni principi, a volte problematica ma non necessariamente una novità? Geraldina Boni, professore ordinario di Diritto Canonico e Diritto Ecclesiastico presso l’Università di Bologna, consultore del Dicastero per i Testi Legislativi, affronta i nodi critici della legge.

Cosa c’è prima di tutto da osservare nella nuova Legge fondamentale?

Anzitutto suscita qualche perplessità teologica e ecclesiologica l’incipit della premessa della nuova Legge fondamentale, in cui si legge che il Papa è “chiamato ad esercitare in forza del munus petrino poteri sovrani anche sullo Stato della Città del Vaticano […]”. Ma è davvero così?

Direi di no: l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro e che deve essere trasmesso ai suoi successori implica l’essere capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo (che non è un “titolo storico”, come è stato denominato) e Pastore qui in terra della Chiesa universale (can. 331): nessun potere temporale.

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Si tratta allora di un ritorno alle impostazioni della Chiesa costantiniana?

Credo si tratti piuttosto di una incertezza redazionale. Il munus petrinum non “legittima” di per sé i poteri sovrani sullo Stato della Città del Vaticano, semmai la sua titolarità costituisce il “presupposto” per stabilire chi ha la pienezza della potestà di governo nello Stato. Esso è stato creato al servizio della sovranità e dell’indipendenza della Santa Sede, che – lo dico per i molti che non ce l’hanno ben chiaro – è il Romano Pontefice (can. 361), il quale ivi dispiega poteri sovrani.

A cosa si deve questa incertezza redazionale?

Forse né la Segreteria di Stato né il Dicastero per i Testi Legislativi hanno avuto modo di visionare la legge prima della promulgazione.

Il ruolo della Segreteria di Stato, tra l’altro, appare ridimensionato. Nella Legge fondamentale del 2000 veniva menzionata almeno 4 volte, una sola in questa legge.

Sì, il ruolo della Segreteria di Stato viene assai ridimensionato: scompare ad esempio l’art. 6 della precedente Legge fondamentale, secondo cui “nelle materie di maggiore importanza si procede di concerto con la Segreteria di Stato”. Non mi pare una scelta saggia, perché la Segreteria di Stato è una istituzione curiale in cui si assommano competenze cruciali nonché fondamentale nelle relazioni con la comunità internazionale.

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Quali altre criticità ravvede nel testo?

Anche la formulazione “Lo Stato e il suo ordinamento sono distinti dalla Curia romana e dalle altre Istituzioni della Santa Sede” non mi sembra felice. I termini del confronto, tecnicamente, non sono paragonabili: affermare che “l’ordinamento vaticano è distinto dalla Curia romana” non solo è superfluo, ma rischia di essere fuorviante perché i piani sono diversi. Se l’obiettivo fosse stato di eliminare i fraintendimenti, allora si sarebbe dovuto essere più precisi. Nel diritto i termini hanno e devono conservare un significato non equivoco.

Ci sono altri momenti del testo in cui ravvede questa “incertezza redazionale” come la ha definita?

L’articolo 5 sottolinea ad esempio: “Fanno parte della comunità dello Stato i cittadini, i residenti e quanti, ad altro titolo e con diverse funzioni e responsabilità, svolgono il loro servizio, con spirito ecclesiale, per lo Stato o per la Santa Sede”. Si tratta, a mio avviso, di un esempio di inappropriata tecnica giuridica.

Quella di “comunità dello Stato” è una quanto meno anomala nozione giuridica che rischia di confondere quella di cittadinanza: questa sì giuridicamente chiara e che tale dovrebbe rimanere per le sue plurime conseguenze altresì nel diritto internazionale. Ci si chiede, poi, chi e come si valuterà il menzionato (e necessario) “spirito ecclesiale”.

La Legge rischia di cambiare i rapporti internazionali?

Problemi nei rapporti con gli altri Stati ed in particolare con l’Italia potrebbe destare la previsione di cui al comma 2 dell’art. 4: “I suoi organi esercitano parimenti i poteri a essi attribuiti, oltre che sul territorio dello Stato, anche negli immobili e nelle aree dove operano istituzioni dello Stato o della Santa Sede, in cui vigono le garanzie e le immunità previste dal diritto internazionale”. La formulazione è claudicante, e forse sarebbe stato bene esplicitare che ci si stava riferendo, semmai, al potere esecutivo. Il testo è ambiguo, potrebbe far pensare che si intenda dilatare unilateralmente la giurisdizione dello Stato sul territorio italiano, e non credo sia il caso.

Lo Stato della Città del Vaticano sta vivendo oggi una stagione di processi. In che modo la nuova Legge fondamentale può impattare a livello processuale?

Il comma 3 dell’art. 21 sottolinea che “nell’applicare la legge, il giudice si ispira al principio di equità, opera per il ristabilimento della giustizia e favorisce la conciliazione tra le parti. Nelle cause penali, inoltre, il giudice commina la pena in funzione della riabilitazione del colpevole, del suo reinserimento e del ripristino dell’ordine giuridico violato”. Non sembra un testo soddisfacente.

Qualunque giurista sa che l’ordine in cui sono collocate le proposizioni nel testo delle norme è determinante: qui pare non esserci alcuna logica nella sequenza. Anzi porre il ristabilimento dell’ordine giuridico come ultimo fine non è comprensibile, ed è tra l’altro in netta controtendenza rispetto alla recente (elogiata sul punto) revisione del Libro VI del Codice di Diritto Canonico sul diritto penale.

Si è molto parlato del fatto che ormai gli organi vaticani hanno funzioni invece di un potere, riferito solo al Papa. Che cosa significa?

Si esalta questo uso linguistico per dire che in tal modo viene espressa la strumentalità dello Stato alla Santa Sede. Lasciando stare la coerenza nell’uso del termine (si veda l’appena citato comma 2 dell’art. 4), ci tengo a ricordare che la valorizzazione dei laici non è per niente rivoluzionaria, per quanto riguarda lo Stato della Città del Vaticano. Si tratta di un ordinamento statale, quindi l’innovazione solo del tutto indirettamente, per così dire, si correla con l’ecclesiologia del protagonismo dell’intero il Popolo di Dio da parte del Concilio Vaticano II, con il coinvolgimento del laicato nelle Istituzioni curiali da parte della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium.

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Si è fatto notare che il principio sia il medesimo che attribuisce ai laici in Curia la possibilità di guidare dicasteri, a partire dalla loro missione canonica…

Sono paragoni insidiosi, perché, ancora una volta, non si distinguono i piani. Certo l’ordinamento canonico è la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo: ma bisogna fare attenzione a non fare di ogni erba un fascio, specie dal punto di vista teologico e giuridico. Ma soprattutto la presenza di fedeli laici ai vertici dello Stato non è una vera novità.

Ci sono stati laici dunque alla guida dello Stato vaticano?

Per molti anni, dal 1929 al 1952, il marchese Camillo Serafini fu Governatore dello Stato della Città del Vaticano, anche se nel 1939 Pio XII delegò a una Commissione cardinalizia di presiedere, in suo nome e in sua vece, al Governatorato. In questo modo, Pio XII ridimensionò le competenze che la Legge fondamentale aveva inizialmente assegnato al Governatore, carica poi rimasta vacante e abrogata nel 2000.

Ci sono altri casi nello Stato vaticano in cui i principi storici, di accordo tra legge canonica e diritto, sono stati messi in discussione?

Io direi che va nel senso della tanto deplorata clericalizzazione (nessuno l’ha lamentato) la recente Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» di papa Francesco recante modifiche alla normativa penale e all’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 12 aprile 2023. In precedenza, l’appartenenza alla Segnatura Apostolica - Supremo Tribunale della Chiesa che provvede, tra l’altro, alla retta amministrazione della giustizia nella medesima - integrava il requisito soggettivo per essere nominati giudici della Cassazione vaticana. La Cassazione era infatti costituita dal prefetto della Segnatura, che assumeva le funzioni di presidente, da altri due cardinali membri del medesimo Tribunale, designati dal presidente per un triennio, nonché da due o più giudici applicati nominati per un triennio. E la ratio evidente e importantissima di tale composizione risiedeva nell’assicurare il raccordo - indissolubile e da presidiare accuratamente - con il diritto canonico del diritto vaticano, il quale a sua volta si radica nella strumentalità dello Stato all’indipendenza e sovranità della Santa Sede.

Cosa è cambiato?

Ora si è stabilito che la Corte di Cassazione sia costituita da quattro cardinali nominati per un quinquennio dal sommo pontefice, il quale designa tra essi il presidente, nonché da due o più giudici applicati nominati per un triennio. Va evidenziato (oltre ad una certa incongruità di un collegio con un numero pari di giudici, senza alcuna delucidazione di accompagnamento) che, se la ratio della presenza dei cardinali membri della Segnatura nella Cassazione vaticana era palese e dirimente, ora la nomina pontificia di porporati non mi sembra sostenuta da alcuna plausibile motivazione giuridica. Non si vede infatti perché i giudici dovrebbero essere insigniti della dignità cardinalizia, in sé non rilevante in subiecta materia.