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San Carlo da Sezze e la mistica francescana

Papa Giovanni XXIII il 12 aprile 1959 lo elevò all'onore degli altari

Il corpo di San Carlo da Sezze |  | pubblico dominio Il corpo di San Carlo da Sezze | | pubblico dominio

Entrando nella parrocchia romana di San Francesco a Ripa, a Trastevere, sulla navata di sinistra si vede la tomba di un piccolo fraticello, che dorme con in mano la Regola francescana ed un crocifisso. Dal suo volto traspare serenità e cosa sorprendente un allegro sorriso. Il suo nome è frate Carlo da Sezze.

Nato il 22 ottobre 1613 a Sezze, in una famiglia profondamente cattolica, fin da piccolo sentì la chiamata a seguire il Signore più da vicino. Uno zio sacerdote, don Francesco Maccione, lo voleva presbitero diocesano, ma lui scelse la vita religiosa e francescana.

Il 18 maggio 1635 lasciata la famiglia ed il piccolo paese nel quale era vissuto, vestì il saio dei Frati minori ed iniziò l'anno di noviziato nel convento di San Francesco in Nazzano.

In questo luogo, nei boschi della campagna romana, apprese la vita del religioso, fatta di austerità e preghiera, ma anche di tanta serenità.

In comunità, imparò a vivere da  fratello tra i fratelli, amando Dio, nelle varie incombenze affidate.

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Un anno dopo si consacrò, definitivamente, al Signore con la professione religiosa, assumendo il nome di fra Cosimo da Sezze che, per volere della madre, poté mutare in quello di Carlo, che già aveva.

La vocazione di fratello laico, lo portò a svolgere diversi lavori come quello di questuante, cuoco, sacrista e giardiniere. Oltre a ciò, per i doni speciali di cui era ricolmo, fu una eccellente guida spirituale per moltissime anime che si rivolgevano alla sua parola.

Umile, povero e gioviale contemplava Dio, nella propria anima e lo portava ai fratelli che incontrava sul suo cammino.

Era sollecito verso tutti, soprattutto, nei confronti dei poveri e degli indigenti. Nell'epidemia di peste, diffusa nel paese di Carpineto romano, si prodigò per i malati, esponendosi, personalmente, al rischio del contagio.

Dimorò in varie comunità dell'Ordine, tra cui Morlupo, Ponticelli Sabino (1637), Palestrina (1638), Piglio(1640), Carpineto romano (1641), San Pietro in Montorio a Roma (1646) nel quale rimase fino alla morte. Per due brevi periodi (1650 e 1652) fu anche in quella di San Francesco a Ripa.

Amando Dio ed i fratelli, spirò il 6 gennaio 1670 contemplando la gloria del Padre.

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La vicenda umana di questo santo, a leggere le Fonti storiche raccolte sulla sua vita, è seminata di lavoro, raccoglimento e preghiera, e pur nella sua ordinarietà è piena di straordinarietà, per i molti doni di cui fu arricchito, tra cui quello della transverberazione del cuore, ricevuta nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case in Roma.

Stigmatizzato, visse la vicinanza ai dolori della Passione del Redentore, in favore delle persone che si rivolgevano al suo cuore.

La sua esistenza fu piena di prove, difficoltà e tentazioni, ma su tutto, fece brillare la parola del Cristo che illumina il cammino: accettò ogni cosa, con umiltà e spirito di penitenza.

Oltre alle incombenze svolte, fu un fecondo scrittore ed i suoi testi brillano per amore e profondità. Le Grandezze della misericordia di Dio, il Trattato delle tre vie, il Cammino interno ed i Settenari sacri sono solo alcuni dei molti, circa una cinquantina, scritti dal religioso.

La sua mistica è unica e fedele alla tradizione francescana. L'incarnazione, l'umanità di Cristo e l'amore alla povertà, furono le mete del suo procedere, per il Regno dei cieli.

Il suo scrivere è piano, lineare e trasmette la presenza di Dio, nell'anima. Scritti profondi ed acuti che rivelano l'animo di quest'uomo, che parte dell'esperienza per arrivare all'essenza.

Poverissimo seguì ciò che San Francesco chiede, ai suoi figli, con quello slancio che fa del sacrificio un atto di amore.

Papa Giovanni XXIII il 12 aprile 1959 lo elevò all'onore degli altari, recando in tutto il mondo la luminosa testimonianza di questo religioso, che imitò il Cristo, seguendo quella via che conduce al Padre.