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Santa Sede su religioni in Europa: “Cittadini e credenti, non cittadini o credenti”

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Costruzione di comunità interreligiose, dialogo, educazione. La posizione della Santa Sede era già chiara due settimane fa. Quando, in un incontro organizzato dal Consiglio d’Europa, propose la sua analisi della situazione delle religioni sul suolo europeo. Spiegando con forza che è possibile essere “cittadini e credenti,” e non si deve scegliere tra “cittadini o credenti.”

Spiegava la Santa Sede: “I leader cristiani, ebrei e musulmani devono proporre il dialogo interreligioso e interculturale, denunciando con chiarezza lo sfruttamento della religione per giustificare la violenza.” In più, c’è “una cogente necessità di affrontare il terrorismo e incoraggiare il dialogo interreligioso attraverso l’educazione nelle scuole, ma anche in Internet e nei sermoni dei leader religiosi.” Infine, “le comunità islamiche, in particolare, devono assicurarsi di non diventare opportunità per un estremismo violento o una radicalizzazione.” Ma dall’altra parte, “le comunità occidentali devo mettere in guardia da parole e azioni che possono causare offesa o provocare persone di differenti convinzioni religiose.”

La Santa Sede metteva in luce questi temi in un incontro sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. Ma, visto oggi in retrospettiva, l’incontro “Building inclusive societies together” organizzato a Sarajevo lo scorso 2 e 3 novembre racconta anche di come si muova la Santa Sede sui temi del dialogo e dell’inclusione. Temi delicatissimi, come testimoniano gli attacchi di Parigi, ma anche la drammatica situazione dei profughi e degli immigrati. Temi che vanno a toccare il modo stesso in cui l’Europa sta cambiando volto. Temi sviluppati nel suo intervento all’incontro da padre Miguel Ayuso, segretario del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso. Il quale, tra le varie conclusioni, ha ribadito quella che è da sempre la posizione del Pontificio Consiglio di cui è segretario: tutte le religioni devono promuovere il dialogo e condannare la violenza.

Non è un concetto banale. Fu con una forte dichiarazione ad agosto 2014 che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso condannò duramente l’autoproclamato Califfato islamico che allora si stava espandendo fin quasi alla diga di Mosul e chiese alle controparti del dialogo un ferma condanna degli accadimenti. La ottenne. Qualche mese dopo stilò una dichiarazione spiegando perché, nel mezzo della crisi di oggi, è ancora importante dialogare con l’Islam.

E ci sono ancora questi concetti, sviluppati incessantemente dalla Santa Sede, nel contributo apportato da padre Ayuso. A rappresentare la Santa Sede all’incontro, c’era anche mons. Paolo Rudelli, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. E c’erano vari rappresentanti religiosi d’Europa, incluso il padrone di casa, il Cardinal Vinko Puljic.

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Ecco alcuni dei punti sviluppati dalla Santa Sede all’incontro. Prima di tutto, si afferma che non si può essere “cittadini o credenti,” ma “cittadini e credenti,” dato che “ i leader religiosi, a qualunque livello, possono dare un contributo importante ad approfondire la consapevolezza che la fraternità umana non può essere messa da parte per evitare la radicalizzazione e l’estremismo violento.”

La Santa Sede chiede “tenerezza e vicinanza” per quanti “sono obbligati a lasciare i loro Paesi,” che sono soggetti a soffrire di “violenze, abusi, distanza dall’amore familiare, eventi traumatici, lontananza da casa, incertezza riguardo il loro futuro.” Tutti temi “disumanizzanti” che devono creare una preoccupazione prima di tutto pratica.

La Santa Sede chiede così di ripartire dalla solidarietà, “un valore strutturale” delle società europee,” e questo è importante non solo per il mondo ma per il pianeta intero. Si deve “ripensare la solidarietà,” perché questa – anche in Europa – non deve “essere solo assistenza per i poveri,” ma piuttosto un qualcosa che vada di pari passo con “I diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.” Insomma, “la solidarietà non è un’attitudine addizionale,” ma “un valore sociale” che ci chiede cittadinanza.

Ma in quale contesto operano le religioni oggi? C’è innanzitutto la divisione tra l’idea occidentale di una religione come un credo, che è un “concetto occidentale moderno, seondo il quale la religione è primariamente concepita come un tema di coscienza e di scelta individuale,” e l’idea (più islamica) che la religione sia una “appartenenza.” Due dimensioni che ormai coesistono in Europa.

La Santa Sede sostiene che “nessuno può chiedere che la religione sia relegata alla vita personale, senza influenza nella vita societarie e nazionale,” senza che si possa avere “una preoccupazione per il modo in cui sono definite le istituzioni civili,” e senza “il diritto di offrire una opinione in eventi che riguardano la società,” perché “una fede autentica include sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare la terra in qualche modo migliore di come l’abbiamo trovata.”

Insomma, la religione “ha una importanza nella gestione dei governi,” in quanto suggerisce una etica, una moralità, uno stile di vita. Ma quali di questi valori “prevarranno nella presente Europa multipolare?”

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La previsione è che “temi riguardo la libertà religiosa emergeranno probabilmente in sempre più aree di vita sociale,” anche in contesti nuovi. E per questo – afferma la delegazione della Santa Sede – “la necessità di garantire la libertà di religione in una società pluralistica sarà la questione più impegnativa e allo stesso tempo problematica dei prossimi due decenni in Europa.”

La delegazione della Santa Sede guarda anche alla secolarizzazine, e sottolinea “il rischio di estremismo” che può provenire “da società occidentali secolarizzate,” le quali “sradicano dalla cultura tutte le espressioni religiose,” riducendo la loro legittimità “alla sfera privata,” di fatto marginalizzandole. È uno dei problemi che si affronta con il terrorismo nel cuore dell’Europa, diventato drammaticamente evidente in Francia nell’ultimo anno, ma già presente negli attentati di Londra all’inizio del decennio: i terroristi erano immigrati spesso perfettamente integrati.

Come rispondere a tutto questo? Non escludendo le religioni dal dibattito pubblico, perché “l’esclusione della religione dalla pubblica piazza impedisce un incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità,” mentre c’è il rischio “di ignorare i diritti umani dato che sono privati del loro fondamento trascendentale,” o semplicemente perché “la libertà individuale non è riconosciuta.”

La delegazione della Santa Sede si è pure soffermata sulle scuole cattoliche, e sulla libertà che è loro necessaria. Tanto più che oggi – sottolinea – “le scuole cattoliche vivono una sempre maggiore presenza di studenti di differenti nazionalità e credenze religiose, e sono testimonianza di un costante, personale network di relazioni, vissute tra i poli dell’identità personale e dell’alterità.”