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Una Galleria che racconta un intero pontificato

Alcune immagini della Galleria dei Candelabri |  | Musei Vaticani
Alcune immagini della Galleria dei Candelabri | | Musei Vaticani
Alcune immagini della Galleria dei Candelabri |  | Musei Vaticani
Alcune immagini della Galleria dei Candelabri | | Musei Vaticani
Alcune immagini della Galleria dei Candelabri |  | Musei Vaticani
Alcune immagini della Galleria dei Candelabri | | Musei Vaticani
Alcune immagini del restauro della Galleria dei Candelabri |  | Musei Vaticani
Alcune immagini del restauro della Galleria dei Candelabri | | Musei Vaticani
Alcune immagini del restauro della Galleria dei Candelabri |  | Musei Vaticani
Alcune immagini del restauro della Galleria dei Candelabri | | Musei Vaticani

Non è esattamente uno dei quei capolavori universali per i quali si fa la fila all’ingresso dei Musei Vaticani.  Ma la  Galleria dei Candelabri, la porzione del lungo corpo architettonico che collega i Palazzi Pontifici e la Cappella Sistina con il Museo Pio-Clementino, fino all’atrio dei Quattro Cancelli, un tempo ingresso principale dei Musei,  custodisce uno dei rari capolavori del classicismo romano.

A metà del ‘500 era una loggia aperta affacciata sulla parte più elevata del Cortile del Belvedere. Poi nel 1785 Papa Pio VI la volle trasformare in una Galleria chiusa.  Settanta metri in sei campate sostenute da coppie di colonne doriche e grandi Candelabri in marmo bianco, che diedero il nome, ancora oggi in uso, alla Galleria. Ma fu Leone XIII a fine ottocento a ridecorare completamente l’intero ambiente, per sviluppare le linee programmatiche del suo pontificato attraverso la pittura.

Anche il pavimento fu decorato con marmi e stemmi e per la parte pittorica vennero chiamati Annibale Angelini di Perugia, i romani Domenico Torti e  Ludovico Seitz. I tre artisti furono affiancati da una schiera di esperti artigiani: scalpellini, marmorari, stuccatori e doratori che avevano lavorato nei maggiori cantieri romani e vaticani degli ultimi anni del pontificato di Pio IX.

Una bella sfida quindi quella di restaurare e recuperare i segni del tempo in una struttura decorativa così complessa. Il Laboratorio Restauro Dipinti dei Musei Vaticani l’ha affrontata. Le decorazioni della Galleria sono il risultato dell’alternarsi di varie maestranze, che si sono avvicendate nella direzione dei lavori dal 1883 al 1888. Normali quindi le sovrapposizioni sia delle pitture che delle dorature.

Leone XIII, sceglie un programma decorativo che spieghi il compito che la Chiesa doveva svolgere nella società moderna, in rapida e costante trasformazione. A partire dall’enciclica Aeternis Patris (1879) articolata intorno al pensiero di San Tommaso d’Aquino, fino alla Rerum Novarum (1891), fondamento teorico della dottrina sociale cattolica, le pitture rendono evidentela posizione della Chiesa che non rinuncia ad affermare il proprio ruolo di guida nella scienza come nelle arti, nella giustizia sociale come nel progresso tecnico e industriale, grazie alla conduzione sicura della Fede.

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Così ecco la Religione che vigila sulle arti maggiori e minori, compresa la fotografia, la Verità sorella e compagna della Storia, la Teologia che governa l’“amorevole concordia” che unisce Fede e Scienza, Arte pagana e Arte cristiana, ed esalta il trionfo del Rosario, sullo sfondo della battaglia di Lepanto, e la fatica e l’impegno del Lavoro, fino alla celebrazione delle virtù individuate quali fondamento della società civile, come il Matrimonio.

Costumi, acconciature, colori raccontano quasi in forma teatrale il paesaggio di una Roma ideale, alle spalle delle due eleganti personificazioni dell’Arte pagana e dell’Arte cristiana, con il Colosseo e il Colle Palatino, la Basilica di San Pietro e San Giovanni in Laterano, fino al Cortile della Pigna dei Musei Vaticani.

Due anni di lavoro per il restauro che ora sarà pubblicato anche con la ricca ricerca archivistica e bibliografica svolta fin dalle fasi iniziali dell’intervento.