Non erano che rocce, o luoghi di cui si era dimenticata la storia, e ora sono di nuovo posti pieni di vita, dove si celebrano matrimoni, e dove la gente si riunisce. Sono 63 chiese del Libano, restaurate con un progetto che è iniziato nel 2018, finanziato dall’iniziativa Hungary Helps, e che ha visto la stretta collaborazione dell’Università Cattolica di Budapest Pázmány Péter e dell’Università dello Spirito Santo di Kaslik, in partenariato con la Direzione Generale delle Antichità del Ministero della Cultura del Libano.
Forse ci sarà anche lui, nell’incontro con i giovani che il Papa terrà questo pomeriggio alla Laszlo Papp Arena di Budapest. Di certo, il viaggio del vescovo Oliver Doeme in Ungheria era stato pianificato in anticipo, e la presenza del Papa è solo una fortunata circostanza. C’è la speranza che lui possa però portare al Papa la storia della visione che ebbe nel 2014, e che è stata cruciale secondo lui. Perché da due anni, la furia islamista non si è abbattuta con forza sulla diocesi di Maiduguri, dopo che in dieci anni gli attacchi continui alle chiese, i rapimenti, le sparatorie avevano portato allo sfollamento di 100 mila cattolici e alla uccisione di almeno un migliaio di loro.
E’ un impegno a tutto campo quello dell’Ungheria per i cristiani del Medio Oriente e per le popolazioni che in quella parte di mondo soffrono per la mancanza del necessario con un nome preciso: Hungary Helps. Siria, Egitto, Etiopia e Giordania sono i paesi dove l’Ungheria ha operato.