Roma, 11 July, 2025 / 4:00 PM
Dalle finestre spalancate per entrare la luce tenue dell’inverno e l’aria tersa e frizzante il sovrano può vedere il profilo biancheggiante del campanile e della mole monastica, tra boschi e prati, ecco aprirsi allo sguardo un paesaggio mite e solenne al tempo stesso: un ampio, piazzale, un convento, un giardino e in lontananza colline e vallate. Questo è Castagnavizza, qui sorge il santuario carmelitano dell'Annunciazione, fondato nel 1623 dal conte Mattia della Torre sulla collina del Rafut. Carlo X, re di Francia in fuga dal suo trono, ultimo della dinastia dei Borboni a prendere davvero possesso di quel trono che la sua casata ha reso grande, tragico, sanguinoso, perdente, nostalgico senza speranza.
Lui, ormai lontano da Parigi, dopo un girovagare per castelli e palazzi d’Europa, è approdato in questa quieta città di confine dell’impero austroungarico, Gorizia, famosa per la sua aria elegante e corroborante, insieme alla famiglia e al suo seguito. Qui per tutti è sempre re Carlo, anche se la corona nonc e l’ha più fa tempo. Dalla finestra del palazzo Coronini Cronberg, della famiglia che l’ha accolto con tanta gentilezza e affetto, come del resto l’intera città, Carlo vede dunque quel santuario e pensa che vorrebbe al più presto andarlo a visitare. Ci andrà di lì a poco, ma in una bara perché mororà di lì a poco, il 6 novembre 1836. Da allora la cripta del monastero custodisce le sepolture di sei membri della casa dei Borbone di Francia, giunti in esilio a Gorizia dopo la Rivoluzione di luglio del 1830. Qui dunque sono sepolti Carlo X di Francia, morto nel 1836, i tre delfini di Francia - Enrico Borbone, Luigi Antonio di Borbone, Maria Teresa - e poi Luisa Maria di Borbone e Maria Teresa d’Asburgo-Este. Silenzio, fiori impolverati, luci tremolanti, in questa cripta, in cui il tempo sembra scorrere a ritroso.
Un capitolo tutto da riscoprire quello della Gorizia legata alla casata dei Borbone di Francia, ricca di storia e di storie, di personaggi fuori dal comune, da romanzo ( e che ha ispirati) e insieme capace di suscitare riflessioni e meditazioni. Una mostra allestita proprio nel fascinoso palazzo Coronini-Cronberg a Gorizia, racconta proprio dei “Borboni di Francia a Gorizia. Ricordi e immagini dall’esilio”, che chiuderà i battenti il 25 gennaio del prossimo anno. Tra lettere, quadri, riproduzioni di illustrazioni, libri, gioielli, e altri documenti, è possibile ricostruire le personalità degli ultimi Borbone, sotto l’ombra cupa della fine tragica di Luigi XVI, che la Rivoluzione francese aveva condannato, insieme alla consorte Maria Antonietta, alla decapitazione.
Il destino della casata dei Borbone, un destino di sconfitta e di morte, è strettamente legato ad un altro ramo della illustre famiglia, quella degli Asburgo, anch’essa segnata dalla sconfitta e dal fallimento. Il legame suggerito anche grazie al libro di Marco Andreolli, “L’ultimo imperatore d’Occidente. Carlo d’Asburgo, il patrono dei perdenti”, edizioni San Paolo, (pp.172, euro 20).
Carlo, ultimo imperatore degli Asburgo e della fine dell’impero austro-ungarico, viene raccontato, in questo volume ben documentato e dal ritmo incalzante, nella sua parabola esistenziale intrecciata strettamente con anni cruciali per la storia mondiale.
Eppure quest’uomo al centro degli eventi porta impresso soprattutto il segno della incompletezza, poiché ha fallito in tutti i tentativi in cui si è impegnato: non è riuscito a vincere la grande guerra e neppure a raggiungere la pace, nonostante avesse provato in tutti i modi a concluderla; non è riuscito a riformare l'impero e a evitarne il dissolvimento; non è riuscito a mantenere la corona né a riprendersela nei due tentativi rocamboleschi compiuti per tornare sul trono. Il fallimento appare totale, perché Carlo perde tutte le sue proprietà e i suoi beni, ritrovandosi in povertà. Ha finito i suoi giorni nell'isola portoghese di Madera, tra vicissitudini e ristrettezze, morendo di polmonite a soli 35 anni, il primo aprile 1922.
I fantasmi di queste storie e di quel che è stata Gorizia, città-limite, frontiera, nostalgia, silenzio a si ritrovano ancora, percorrendo le vie del centro, nei giardini lussureggianti dei palazzi in cui si è consumata l’ultimo capitolo di una storia che si intreccia nei secoli e nel centro d’Europa. E si affacciano, a cercare nei tanti libri che li rievocano, anche nelle pagine che il grande poeta Biagio Marin ha dedicato proprio a Gorizia. Ecco come affiora il profilo del convento di Castagnovizze, che Carlo X guardava dalla sua finestra: “Scampanìo lamentoso di un convento. Cala con la nebbia, con la pioggia dei malinconici novembri, degli uggiosi dicembri sciroccali, con la pioggia tediosa delle primavere malate. Nenia d’esequie, che pare voglia eternare il vespero dei morti. Sotto la chiesa, le tombe di certi reali di Francia, quassù morti in esilio. Sarcofaghi funerei, pesanti come la disperazione di chi morì senza speranza”.
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