Carpi, 24 August, 2025 / 10:00 AM
Oggi la seconda lettura della Santa messa, tratta dalla Lettera agli Ebrei, ci porta a riflettere su uno dei misteri più difficili da accettare: il significato della prova, della correzione, della sofferenza. Il testo della Lettera agli Ebrei, al riguardo, non fa sconti: è chiaro e diretto. Dice: “Il Signore corregge colui che ama e percuote chi riconosce come figlio.” E ancora: “È per la vostra correzione che soffrite.”
Queste parole entrano in rotta di collisione con la mentalità odierna: ne sanno qualcosa gli educatori. In una cultura dove ogni richiamo è percepito come un’aggressione e ogni correzione come un’offesa, l’amore esigente è stato sostituito da un compiacimento debole. Ma Dio non si comporta così, perchè Lui è Dio e ci conosce - «Io sono Dio e non uomo, il Santo in mezzo a te ( Osea 11,9) - e non si lascia guidare dalle emozioni instabili degli uomini. Ama da Padre. E un padre vero educa, non vizia. Corregge, non lascia perdere.
Chi ama davvero, non sopporta di vedere l’altro perdersi. Non lo lusinga con parole vuote. Lo guida. Lo richiama, a volte anche con durezza. Non per umiliare, bensì per fare crescere. Dicevano gli antichi che Dio ci colpisce con la verga perchè non siamo colpiti con la spada. La Sua correzione, dunque, è medicina. È fuoco che purifica, non che distrugge. È una via stretta, sì, ma porta alla libertà vera, quella che nasce da un cuore guarito, reso capace di amare come il Signore.
Il testo poi affronta il tema della sofferenza. Un’esperienza molto difficile da accettare soprattutto quando ci tocca personalmente oppure tocca le persone che amiamo. La Parola di oggi ci aiuta a non cadere nella trappola del vittimismo, che oggi va tanto di moda. Non siamo autorizzati a pensare che Dio ci stia punendo né che ci abbia abbandonati. Il Signore, al contrario, nella sua onnipotenza, è capace di trasformare in bene il male. La prova, accolta nella fede, è un laboratorio di maturità. È lì che impariamo come Cristo l’obbedienza. Così ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei (5,8): “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì.” Se il Figlio di Dio ha imparato nella sofferenza, come possiamo pretendere una via diversa?
Dopo averci ricordato il senso profondo della prova, l’autore della Lettera agli Ebrei ci scuote con forza:“Rinfrancate le mani cadenti, le ginocchia fiacche, fate sentieri diritti per i vostri piedi.”E’ un invito a non fermarsi, una chiamata a reagire a rimettersi in cammino. La fede non è evasione è lotta. Il pericolo sempre presente nella nostra vita è di cedere ad una fede fragile, fatta solo di emozioni, di consolazioni momentanee. La fede vera, al contrario è anche fatica, lotta, scelta quotidiana. Abbiamo bisogno di una fede adulta, virile, capace di reggere il peso della realtà. Di ritrovare non un Dio da usare, ma da amare.
E se ci troviamo nella prova oltre a chiedere di essere di essere liberati, impariamo ad offrirla al Signore perchè diventi strumento di salvezza per noi e i fratelli. Perchè chi vuole vedere Dio, deve accettare la purificazione. Chi vuole vivere da figlio, deve accettare la mano del Padre, anche quando questa non sempre accarezza.
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