Carpi, 07 September, 2025 / 10:00 AM
La liturgia della Santa Messa di questa domenica, ci propone un brano tratto dalla Lettera di san Paolo a Filemone, una delle sue lettere più personali e intime. La sua lunghezza non supera la pagina, ma è una pagina che ha fatto prima tremare e poi crollare le fondamenta dell’ordine sociale dell’Impero Romano, cambiando per sempre il modo con cui il mondo guarda all’altro, soprattutto agli ultimi. Nel I secolo d.C., la schiavitù era una realtà strutturale della società. Si calcola, ad esempio, che un un terzo della popolazione urbana di Roma fosse costituito da schiavi. Non erano riconosciuti come persone, ma erano considerati come res, “cose”, proprietà assoluta dei padroni. Nessuna legge proteggeva la loro dignità.
Paolo non denuncia apertamente la schiavitù come sistema, ma semina un principio che è potenzialmente dirompente: il riconoscimento di Onesimo non come schiavo, ma come fratello, come “cuore” stesso dell’Apostolo. Sant’Agostino, commenta:“Quello che era un servo fuggitivo è diventato un figlio nel Signore. Perché dove regna la carità, cessa il dominio della forza e comincia la libertà dell’amore.”(Sermo 232, PL 38, 1100). La chiave del messaggio paolino sta in questa frase:Per questo forse è stato separato da te per un momento: perchè tu lo riavessi non più come schiavo, ma come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore.” (v. 16). Questa affermazione è rivoluzionaria. Filemone è invitato a guardare Onesimo con occhi nuovi. Non più come “uno schiavo fuggitivo” o “un problema da risolvere”, ma come un fratello nella fede, come uno che è stato “generato” da Paolo nelle sue catene. Giovanni Crisostomo, grande Padre della Chiesa, commentando la Lettera a Filemone, scrive con audacia:“Paolo non parla più a Filemone come a un padrone, ma come a un fratello. E lo costringe con l’amore. Non gli dice: restituiscilo. Gli dice: accoglilo.” (Omelie sulle Lettere di Paolo, Hom. ad Phil. 1)
Questa Lettera, apparentemente privata, ha avuto un influsso storico impressionante. Grazie al cristianesimo è stato introdotto gradualmente il concetto di “persona umana” dotata di dignità intrinseca. Lo stesso Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa riconosce la portata di questo testo: “La Lettera a Filemone pone le basi per la graduale eliminazione della schiavitù, mostrando come l’annuncio cristiano trasformi i rapporti umani.” (CDSC, n. 303)
In questa lettera non troviamo condanne esplicite della schiavitù come sistema. Ma troviamo qualcosa di molto più efficace: la trasformazione dei rapporti umani a partire dall’incontro con Cristo. Paolo non impone, propone. Dice: "Avrei potuto comandarti, ma ti supplico in nome dell’amore." Qui c’è tutto lo stile del Vangelo: non un obbligo imposto dall’alto, ma un invito alla conversione del cuore. Paolo non cerca di cambiare le leggi dello Stato con la forza, ma di cambiare il cuore delle persone. E persone trasformate cambieranno il mondo. Questo è lo stile del Vangelo: non la forza, ma la libertà dell’amore.
Carissimi, Paolo ha cambiato il mondo senza alzare la voce, scrivendo una Lettera. Ha cambiato il destino di un uomo, e ha piantato un seme che ha abbattuto imperi. Oggi, tocca a noi. Anche noi possiamo fare come Paolo: scrivere lettere di riconciliazione, difendere chi è fragile, riconoscere il volto di Cristo nei piccoli, trasformare i rapporti con amore. Allora non restiamo spettatori della storia. Facciamoci anche noi “lettere viventi di Cristo” (2Cor 3,3), scritte non con l’inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, sulle pagine vive dei nostri gesti, delle nostre scelte, delle nostre relazioni. Perché ogni parola di perdono, ogni gesto di giustizia, ogni atto di fraternità è una nuova pagina del Vangelo che continua a scriversi nel mondo. E forse, come Paolo, senza saperlo, anche noi — semplicemente amando — potremo cambiare il destino di una persona.
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