Carpi, 14 September, 2025 / 10:00 AM
Oggi celebriamo una festa che agli occhi del mondo appare paradossale: l’Esaltazione della Santa Croce. Dobbiamo, dunque, riconoscere che i cristiani festeggiano uno strumento di tortura, di umiliazione e di morte? Come può accadere che un patibolo possa divenire un motivo di speranza e di salvezza? Le letture della santa Messa ci aiutano ad illuminare il mistero della Croce.
Nel libro dei Numeri ci viene raccontato un episodio drammatico della storia d’Israele: il popolo è in cammino nel deserto, ma la stanchezza, l’impazienza e la sfiducia prendono il sopravvento. Il popolo mormora contro Dio e contro Mosè, manifestando una mancanza di gratitudine nei confronti di coloro che li avevano liberati dalla schiavitù. Non per nulla la manna - dono di Dio - che aveva permesso al popolo di sopravvivere nel deserto, viene definita con disprezzo “cibo da nulla”. L’atteggiamento del popolo provoca un’invasione di serpenti velenosi nel campo. La loro presenza oltre ad essere un castigo materiale, ha anche un significato simbolico. Infatti, i morsi mortali sono immagini delle conseguenze del peccato, che allontana da Dio, avvelena l’anima, distrugge la dignità della persona, provoca disgregazione nella comunità…Dice san Paolo:“Il salario del peccato è la morte” (Rm 6,23). Quando l’uomo rifiuta Dio, si ritrova vulnerabile e senza protezione, esposto al male.
Dio, allora, per offrire salvezza al popolo, comanda a Mosè di costruire un serpente di bronzo e di innalzarlo su di un’asta: chiunque fosse stato morso, guardandolo, sarebbe guarito. C’è un dettaglio che merita attenzione: gli ebrei morsicati non guariscono perchè fanno qualcosa e neppure a motivo di una pozione magica, ma semplicemente guardando. Quel gesto — semplice ma decisivo — è un atto di affidamento: alzando lo sguardo, riconoscono la propria colpa e si lasciano raggiungere dalla misericordia.
Nel Vangelo, Gesù riprende quel gesto antico per parlare di sè: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Anche qui, la salvezza passa attraverso uno sguardo. Ma ora non guardiamo più un simbolo; siamo chiamati a guardare una Persona: Gesù crocifisso, il Figlio di Dio che è stato innalzato sulla Croce non per mostrare quanto è grande il peccato dell’uomo, ma per rivelare quanto è infinito l’amore del Padre. Potremmo dire che la Croce è la lettera d’amore che Dio ha scritto all’umanità non con l’inchiostro, ma con il sangue del Figlio. Dio dovendo scegliere tra il Figlio e l’umanità peccatrice, sceglie noi. Il Figlio, a sua volta, per amore del Padre e dell’uomo, accoglie liberamente questa scelta. Prende su di sé le nostre ferite, le nostre colpe, le nostre solitudini per donarci la vita vera. Cristo non subisce la Croce: la abbraccia. La sua morte non è la conseguenza di un destino crudele, ma un atto di suprema libertà e di amore. Dice Gesù:“Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso.” (Gv 10,18). La croce, dunque non è innalzata per glorificare la sofferenza, ma per dirci l’infinito amore di Dio e di Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni — sia nella pagina che abbiamo ascoltato oggi, sia nel racconto della Passione proclamato il Venerdì Santo — la Croce non è vista come un fallimento, ma come una glorificazione. Davanti alla Croce non si recitano discorsi: si tace, si adora, si ama. Nelle antiche basiliche cristiane e nei mosaici del primo millennio la Croce non è mai raffigurata come strumento di tortura, ma come un albero fecondo, ricco di vita, spesso ornato di gemme o frutti: segno non di morte, ma di gloria (cfr Mosaico di san Clemente a Roma). Anche il Crocifisso non è un uomo vinto, ma il Signore vivente: ha gli occhi aperti, lo sguardo maestoso, spesso porta una corona regale, non quella di spine. E’ il Cristo glorioso, che regna dalla Croce e attira tutti a sé (cfr 12.32). Questa visione, antica e potente, ci libera da ogni riduzione doloristica della Croce. Non adoriamo il dolore, adoriamo il Signore, che ha vinto la morte e ora è vivente e glorioso. E allora con la voce della Chiesa proclamiamo, con fede e gioia:“Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.”
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