New York City, New York, 27 September, 2025 / 4:00 PM
Sono diversi gli interventi della Santa Sede alle Nazioni Unite, per l’Assemblea Generale. Quest’anno c’è l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. In generale, partecipano all’apertura dei lavori ad anni alterni il Segretario di Stato della Santa Sede e il “ministro degli Esteri”.
Tra i diversi appuntamenti, anche una conferenza sul 30esimo anniversario della Conferenza sulla donna di Pechino, dove la Santa Sede lavorò moltissimo per evitare che fosse riconosciuto un diritto all’aborto mascherato come diritto alla salute sessuale e riproduttiva.
Altri eventi significativi nel corso della settimana: una lunga intervista dell’ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede alla TASS definisce i rapporti tra Russia e Vaticano anche alla luce della situazione in Ucraina; il sindaco di Betlemme ha incontrato Leone XIV al termine dell’udienza generale del 24 settembre; il cardinale Parolin ha celebrato il funerale dell’arcivescovo Novatus Rugambwa, nunzio apostolico.
A fine ottobre, ci sarà una visita di Stato presso la Santa Sede di Re Carlo III d’Inghilterra e la Regina Camilla. È una visita svolta in occasione del Giubileo, che vorrà anche celebrare il lavoro ecumenico della Chiesa di Inghilterra e la Chiesa cattolica.
FOCUS NAZIONI UNITE
Gallagher alle Nazioni Unite, il 30esimo della Quarta Conferenza sulle Donne
Il 22 settembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha preso parte alla commemorazione della Quarta Conferenza sulla Donna delle Nazioni Unite, che si tenne a Pechino nel 1995, 30 anni fa.
La conferenza, ha ricordato l’arcivescovo, si focalizzava “su questioni importanti e urgenti riguardanti la dignità delle donne e il pieno godimento dei loro diritti umani fondamentali”. Ma, ha poi notato, “sebbene siano stati fatti significativi progressi da allora, ci sono questioni persistenti nella Dichiarazione di Pechino e nella sua Piattaforma di Azione che restano non affrontati, inclusa un tasso di estrema povertà più alto per le donne, gli ostacoli alle donne per accedere (quando non sono escluse) ad educazione qualità, e i loro salari più bassi nella forza lavoro”, che “impediscono il pieno godimento della eguale dignità della donna e della sua abilità di raggiungere il loro pieno potenziale in tutte le sfere della vita”.
La Santa Sede considera “profondamente allarmante” anche la continua prevalenza della violenza contro donne e ragazze, la quale “dovunque avvenga (a casa, nella tratta di esseri umani, nei conflitti o in situazioni umanitarie) è sempre un affronto alla loro dignità e una grave ingiustizia”. La Santa Sede non manca di mettere in luce come la tecnologia sia usata per esacerbare certe forme di abuso e violenza, e che la violenza riguarda non solo lo sfruttamento e la tratta, ma anche “le pratiche di selezione sessuale prenatale e l’infanticidio femminile” – atti condannati nella Dichiarazione di Pechino che “continuano ad avere come risultato la morte di milioni di donne mancanti ogni anno”.
Insomma, “ogni forma di violenza contro donne e ragazze è inaccettabile e deve essere combattuta”.
L’arcivescovo Gallagher nota anche che le donne sono colpite da disparità nella cura sanitaria, e che “sebbene i tassi di mortalità materna sono scesi significativamente dal 1990”, i progressi sono in fase di stallo, e che invece dovrebbe crescere “l’accesso alla cura prenatale” e a “abili ostetriche”, perché “la protezione del diritto alla vita è essenziale, dato che è alla base di tutti gli altri diritti fondamentali”.
La Santa Sede sottolinea che “l’eguaglianza per le donne non può essere raggiunta a meno che non sia rispettata la dignità di ogni persona, specialmente le più fragili e vulnerabili, dal non nato all’anziano”.
L’arcivescovo Gallagher conclude sottolineando che le preoccupazioni primarie della dichiarazione di Pechino “sono ancora trascurate” – e tra queste c’è la lotta alla povertà, strategia per sviluppo, alfabetizzazione ed educazione, la fine della violenza contro donne e ragazze, una cultura di pace e l’accesso a impiego, capitale, terra e tecnologia.
Per questo “la Santa Sede spera che invece che focalizzarsi su questioni divisive che non sono necessariamente di beneficio per le donne, gli Stati raggiungano il loro impegno per assicurare eguaglianza per le donne e rispetto per la loro dignità che viene da Dio”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, il dibattito sull’intelligenza artificiale
Il 25 settembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è intervenuto al dibattito aperto sull’Intelligenza Artificiale e la Pace e Sicurezza internazionale nell’ambito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Gallagher ha notato come il mondo abbia testimoniato una rapidissima evoluzione dei mezzi tecnologici, e come l’Intelligenza Artificiale abbia avuto ampio impatto su educazione, occupazione, arte, sanità, governance, applicazioni militari e comunicazione.
La Santa Sede sostiene che l’intelligenza artificiale abbia “il potenziale di raggiungere molte delle aspirazioni che hanno guidato la creazione delle Nazioni Unite ottanta anni fa”, come lo sviluppo sostenibile, il mantenimento di pace e sicurezza internazionale e il sostegno alle libertà e diritti fondamentali.
Ma allo stesso tempo, la Santa Sede mette in luce che “se lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale non sono fermamente ancorati al rispetto per la dignità umana e per la ricerca del bene comune, rischiano di diventare strumenti di divisione e aggressione, con il potenziale di alimentare ulteriore conflitto”, e questa “non è una preoccupazione astratta e distane, ma una realtà urgente data l’attuale instabilità globale e la rapida integrazione dell’Intelligenza Artificiale in sistemi di armamenti nucleari e convenzionali”.
La Santa Sede accende i riflettori anche sullo sviluppo dei Sistemi di Armi Letali Autonome (LAWS), che creano “gravi preoccupazioni legali, di sicurezza, e umanitarie per la comunità internazionale, perché manca loro l’unica capacità umana di giudizio morale e decisione etica”. Da parte sua, la Santa Sede “supporta con forza l’adozione di una immediata moratoria per lo sviluppo o uso delle LAWS, così come di uno strumento legalmente vincolante per assicurare che la decisione sulla vita e la morte resti sotto significativo controllo umano”.
Gallagher definisce come “egualmente preoccupante” l’emergere di una nuova “corsa agli armamenti delineata dall’integrazione dell’Intelligenza Artificiale nei sistemi militari, inclusi gli asset spaziali e i sistemi di difesa missilistica”, che “rischiano di alterare la natura delle armi e della guerra, creando un livello senza precedenti di incertezza a causa della possibilità di mancanza di calcolo”. Questo perché “incorporare l’intelligenza artificiale nei comandi nucleari e nei controlli introduce nuovi rischi sconosciuti che si estendono molto oltre la già fragile e moralmente complessa logica della deterrenza nucleare”.
La Santa Sede chiede dunque “un approccio centrato sull’essere umano per lo sviluppo e l’uso di tecnologie emergenti”, e afferma che “questo Consiglio, che ha la responsabilità primaria di mantenere la pace internazionale e la sicurezza, deve dare attenzione al progresso scientifico e tecnologico mentre si dibattono questi temi” e deve “riconoscere che alcune applicazioni, come una tecnologia che sostituisce il giudizio umano in termini di vita e di morte, tocca inviolabili confini che non devono mai essere rotti”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, sul trattato per il bando delle armi nucleari
Il 26 settembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha partecipato alla 14esima Conferenza per Facilitare l’Entrata in vigore del Trattato Comprensivo per il Bando delle Armi Nucleari.
(La storia continua sotto)
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Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede ha chiesto agli Stati che ancora non lo hanno fatto di ratificare il trattato, enfatizzando il loro ruolo urgente nel prevenire la catastrofe nucleare.
L’arcivescovo ha ribadito che la Santa Sede supporta da tempo il trattato, che è stato siglato nel 1996 e ratificato nel 2001, e che rappresenta una pietra angolare degli sforzi globali per la non proliferazione e il disarmo. Ha anche avvertito che il fatto che il trattato ancora non sia entrato in vigore mina la pace internazionale e pone serie questioni etiche.
Questo perché – ha detto – si tratta “di più di un trattato tecnico. È un impegno morale al dialogo oltre la distruzione”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, l’eliminazione delle armi nucleari
Il 26 settembre, la Santa Sede è intervenuta all’incontro di alto livello per commemorare la Giornata Internazionale per la Totale Eliminazione delle armi nucleari. L’arcivescovo Gallagher ha chiesto urgenti sforzi globali per terminare la crescente minaccia delle armi nucleari e di rimpegnarsi nel percorso del disarmo.
Riflettendo sull’80esimo anniversario del primo test nucleare e sul bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, l’arcivescovo Gallagher ha messo in guardia dalle tensioni crescenti, la corsa al riarmo e la normalizzazione della retorica nucleare, esprimendo preoccupazione sull’integrazione dell’intelligenza artificiale nei sistemi militari e dell’erosione della fiducia nella legge internazionale.
La Santa Sede ha chiesto a tutte le nazioni di onorare i loro impegni per il disarmo, ratificare il Trattato di Non Proliferazione e unirsi al Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, auspicando anche l’entrata in vigore del Trattato sul Bando Globale dei Test Nucleari e rinnovati negoziati per il controllo delle armi, perché “ora è il momento di agire in maniera decisiva per proteggere l’umanità e il nostro futuro condiviso”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, il programma mondiale di Azione per i Giovani
Il 25 settembre, si è tenuto alle Nazioni Unite un incontro per ricordare il 30esimo anniversario del Programma Mondiale di Azione per i Giovani.
L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che i giovani hanno un ruolo vitale come costruttori di pace, difensori della creazione e contribuenti per una società più giusta, esprimendo preoccupazione riguardo alle sfide persistenti che vengono affrontate dai giovani – come guerre, ineguaglianza, fame, esclusione dell’educazione e dell’occupazione.
Queste situazioni mettono a rischio lo sviluppo e il senso di dignità dei giovani, e per questo la Santa Sede chiede uno sforzo internazionale collettivo per promuovere lo sviluppo umano integrale, radicato in educazione di qualità e rispetto per i diritti umani fondamentali, specialmente la libertà di religione e di credo.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, sul benessere mentale
Il 25 settembre, nel contesto del Quarto Incontro di Alto Livello sulla Prevenzione e il Controllo delle Malattie Non Comunicabili e la Promozione della Salute Mentale e del Benessere, l’arcivescovo Gallagher ha chiesto un rinnovato impegno globale per eguaglianza sanitaria e dignità umana.
Gallagher ha messo in luce come le malattie non comunicabili hanno un peso sempre più forte e restano le cause alla base della morte e della disabilità, in particolare in nazioni a medio e basso reddito.
L’approccio, ha detto, deve essere olistico, e integrare prevenzione, cure adeguate, accesso universale alla salute primaria.
La salute, ha detto Gallagher, è un diritto umano fondamentale, e per questo la comunità internazionale deve “rendere la cura per i più vulnerabili, dai non nati agli anziani, una priorità”. In particolare, l’arcivescovo ha espresso una profonda preoccupazione per I crescenti tassi di suicidio tra i giovani, e sottolineato il bisogno per il supporto per la salute mentale e l’affermazione della sacralità della vita.
FOCUS EUROPA
L’ambasciatore di Russia presso la Santa Sede parla alla TASS
Il 25 settembre, la TASS – agenzia di Stato russa – ha pubblicato una lunga intervista con Ivan Soltanovsky, ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede. Sono stati diversi gli argomenti toccati nell’intervista.
Soltanosky ha risposto ad una domanda sulla persecuzione della Chiesa ortodossa russa in Ucraina. Dopo la proclamazione dell’autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina, la Chiesa Ortodossa Russa ha lamentato una pressione perché si lasciasse il Patriarcato di Mosca. Durante la guerra, la Rada (Camera) ucraina ha approvato una legge che mette fuorilegge le organizzazioni religiose il cui centro di potere sia all’esterno.
Ma è pur vero che le istituzioni cristiane ucraine sono state completamente “cancellate” nei territori ucraini attualmente occupati dai russi. La Russia ha comunque portato avanti la questione della persecuzione, e anche il metropolita Antonij, a capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, ha sottolineato di averne parlato con il Papa.
L’ambasciatore Soltanovsky ha sottolineato che la posizione della Santa Sede, contro la persecuzione della Chiesa ortodossa e per la libertà religiosa, è rimasta invariata, sottolineando come Leone XIV ha più volte parlato in favore della libertà religiosa e detto di voler rimanere sul solco di Papa Francesco, che aveva commentato la legge della Rada sostenendo che “è inaccettabile vietare qualsiasi religione”.
Soltanovsky nota come comunque la Santa Sede consideri la situazione in Ucraina “una situazione interna ortodossa,” in cui è “riluttante a intervenire”. L’ambasciatore dice che “sarebbe auspicabile che il Vaticano assumesse una visione più ampia della situazione e che la voce autorevole della Santa Sede fosse più forte e inequivocabile. La persecuzione della Chiesa cristiana in Europa è un problema molto serio”.
Parlando dello “scisma ortodosso”, Soltanosvky si chiede “chi ne trae vantaggio”, e denuncia che “dall’esterno, si sta tentando di isolare un’altra Chiesa affine, la Chiesa bielorussa”, ma “questa è tutta politica” che “non porta a nulla di buono”.
Soltanovsky sottolinea di aver sollevato “ripetutamente” questioni come quelle della Lavra di Kyiv in Vaticano, e “ci è stato detto che la situazione è davvero preoccupante e inaccettabile. Purtroppo, non abbiamo ancora visto alcuna azione concreta da parte del Vaticano che si rifletta nella sfera pubblica. Tuttavia, relativamente di recente, il Consiglio panucraino delle Chiese, che include rappresentanti della Chiesa cattolica, ha sostenuto la messa al bando della Chiesa ortodossa ucraina, il che solleva naturalmente delle perplessità”.
In conclusione, Soltanosvky sottolinea che “indubbiamente, la liquidazione di fatto della Metropolia di Kiev e la politica di spogliazione della Chiesa ortodossa ucraina delle sue proprietà creano un pericoloso precedente sia per la Chiesa ortodossa che per tutta l'Europa cristiana. Lettonia, Estonia e Moldavia hanno deciso di seguire il "precedente ucraino". Più in generale, le élite europee moderne stanno costantemente perseguendo un percorso di scristianizzazione, e questo non vale solo per la Chiesa ortodossa”.
L’ambasciatore dice di apprezzare la volontà di Leone XIV di facilitare una soluzione a lungo termine sulla crisi ucraina, ma “la mediazione in quanto tale non è molto richiesta, dati i contatti diretti tra Russia e Ucraina. Anche utilizzare il Vaticano come sede per i negoziati è difficile. Ci sono diverse sfide logistiche. Lo spazio aereo europeo rimane chiuso ai voli russi. Le restrizioni sui visti rimangono in vigore e sono state imposte sanzioni contro diversi funzionari russi”.
Per quanto riguarda la questione dei bambini ucraini su territorio russo, “il Vaticano sta attualmente fornendo un canale per lo scambio di informazioni umanitarie. Riceviamo numerose liste di prigionieri di guerra. Vengono sistematizzate a Mosca; le risposte vengono inviate tramite il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Il canale è aperto anche ad altre questioni umanitarie.
In particolare, il Vaticano, attraverso il Cardinale Matteo Zuppi, ha facilitato il rientro in patria dei civili evacuati dal territorio della regione di Kursk”.
Secondo Soltanosvky, tuttavia, “Kyiv ha fatto della questione dei bambini ucraini, presumibilmente evacuati con la forza dalla Russia, una componente chiave della sua accanita propaganda anti-russa. Il Vaticano è ben consapevole della reale situazione e, nei suoi contatti con noi, riconosce che Kyiv sta sfruttando la ‘questione dei bambini’ a fini propagandistici. Il Vaticano comprende che la situazione reale non è così tragica come la presenta il regime di Kiev. Il necessario impegno continua. Inoltre, vi sono molte altre urgenti questioni umanitarie: il problema dei prigionieri di guerra, dei civili e dei sacerdoti. A causa del conflitto in corso, tutte queste sono all'ordine del giorno della nostra interazione con la Santa Sede”.
Soltanosky nota che Leone XIV ha ribadito la “neutralità” della Santa Sede in situazioni di conflitto, mentre la Russia sta “attivamente spiegando alla Santa Sede la natura delle minacce poste dall'Alleanza Atlantica, che sta drammaticamente aggravando l'attuale situazione geopolitica. Sosteniamo che la crisi ucraina non riguarda solo Russia e Ucraina, ma si estende ben oltre il conflitto bilaterale”.
Aggiunge l’ambasciatore che “il punto principale di questa strana storia è che ci sono forze che cercano di creare artificialmente tensioni tra Russia e NATO. Qualcuno trae vantaggio dal trascinare l'alleanza in un conflitto diretto con noi. Questo è molto pericoloso. Pertanto, non possiamo fare a meno di condividere i regolari appelli del pontefice alla pace e alla de-escalation”.
Soltanovsky sottolinea che “la posizione tradizionale del Vaticano è ben nota: si batte attivamente per la pace. Storicamente, la Santa Sede ha anche sostenuto l'abolizione delle armi nucleari in quanto tali. Di conseguenza, non si può parlare di una ‘posizione silenziosa’ da parte della Santa Sede sulla questione di un potenziale conflitto nucleare e di una terza guerra mondiale”.
Inoltre, l’ambasciatore sostiene che la Santa Sede “ha accolto con favore il passaggio a un dialogo ad alto livello tra Mosca e Washington dopo il disastroso mandato dell'amministrazione Joe Biden. I nostri interlocutori hanno espresso la speranza che i contatti russo-americani contribuiscano a trovare soluzioni alle crisi più urgenti del pianeta, compresa quella ucraina, ed evitare lo scenario peggiore”.
FOCUS TERRASANTA
Terrasanta, il sindaco di Betlemme da Leone XIV
All’udienza generale del 24 settembre, il sindaco di Betlemme Maher Nicola Canawati ha avuto l’opportunità di incontrare Leone XIV e ha raccontato poi l’incontro ai media vaticani, lanciando un appello per preservare la presenza cristiana in Terra Santa.
Canawati ha detto di aver scritto una lettera al Papa già prima di diventare sindaco, ha detto che è importante dare alla gente “speranza”, e ha notato che l’emigrazione continua a svuotare Betlemme e le altre città palestinesi, impoverendo la Terra Santa della sua presenza cristiana.
Il sindaco nota che “le persone stanno lasciando Betlemme, stanno lasciando la Palestina a causa di ciò che sta accadendo”.
Al Papa, il sindaco ha spiegato “quanto sia importante intervenire in ciò che sta accadendo in Palestina, a Gaza, a Betlemme, e di preservare le pietre vive della Terra Santa, perché la Terra Santa senza le pietre vive è semplicemente un museo”.
Maher Nicola Canawati spiega che Betlemme “prima contava 37 km². Ora, dopo le annessioni, gli insediamenti e il muro di separazione che ha diviso Betlemme da sua sorella e dal suo cuore – Gerusalemme – per la prima volta nella storia, significa che stiamo affrontando molti problemi”.
Parlando dei palestinesi nei territori, Canawati nota che “al momento sono solo 168 mila nella Terra Santa, mentre ci sono oltre 4 milioni di cristiani palestinesi in tutto il mondo. Questo, di per sé, mostra quanto siano sotto pressione”.
Canawati evidenzia inoltre che, per legge, il sindaco di Betlemme deve essere cristiano. Questa è una disposizione mantenuta dai leader palestinesi “perché vogliono preservare la comunità cristiana, la più antica comunità cristiana al mondo che vive a Betlemme, nella Terra Santa, in Palestina”. Tuttavia molti continuano a partire.
“Mi si spezza il cuore ogni volta che qualcuno lascia Betlemme”, ha detto il sindaco di Betlemme, notando che, nell’ultimo anno, oltre mille cristiani hanno ottenuto l’approvazione per “emigrare in Canada, negli Stati Uniti e in altri Paesi”.
FOCUS AFRICA
Malawi, posta la prima pietra della nunziatura
Il 22 settembre è stata posta la prima pietra della prossima nunziatura apostolica a Lilongwe, in Malawi. Alla posa della prima pietra ha partecipato l’arcivescovo Gian Luca Perici, nunzio apostolico in Zambia e Malawi. L’edificio andrà ad arricchire il numero di sedi delle rappresentanze pontificie, fungendo da casa del Papa in Malawi. Finora, la nunziatura in Malawi aveva sede a Lusaka, capitale dello Zambia.
Si tratta di un passaggio importante per rafforzare i legami tra Santa Sede e Malawi. Per la Chiesa Cattolica erano presenti monsignor Martin Anwel Mtumbuka, vescovo di Karonga e presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici del Malawi (M.C.C.B.), l’arcivescovo di Lilongwe George Desmond Tambala, e monsignor Peter Chifukwa, vescovo di Dedza.
Per le istituzioni, invece, hanno partecipato alcuni rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri, del Consiglio municipale di Lilongwe, dell’Alta Commissione della Tanzania, del National Construction Industry Council e di Terrastone Limited, società incaricata della realizzazione dell’edificio.
Il nunzio Jagodziński fa visita ad Eswatini
L’arcivescovo Henryk Jagodziński, nunzio in Sudafrica, Lesotho, Eswatini, Namibia e Botswana, ha visitato recentemente Eswatini per partecipare all’IMBISA, l’incontro interregionale dei vescovi dell’Africa Meridionale.
Fanno parte di questo organismo – che si riunisce in plenaria ogni tre anni - i vescovi della Repubblica del Sudafrica, del Regno del Lesotho, del Regno di Eswatini, della Namibia, del Botswana, dell’Angola, del Mozambico e dello Zimbabwe.
Nel cinquantesimo anniversario dell’IMBISA, la plenaria si è tenuta nella diocesi di Manzini, che abbraccia l’intero territorio di Eswatini, uno dei Paesi più piccoli dell’Africa, con circa 1,2 milioni di abitanti, e una delle ultime vere monarchie al mondo, in cui il re non è solo un simbolo, ma la figura centrale della vita sociale e culturale.
La cerimonia di apertura della plenaria dell’IMBISA si è tenuta il 25 settembre. Il vescovo di Manzini José Ponce de León ha ricordato il ruolo storico di Eswatini nello sviluppo dell’IMBISA, mentre il presidente dell’organismo, l’arcivescovo di Windhoek (Namibia) Liborius Ndumbukuti Nashenda ha incoraggiato a vedere l’IMBISA come frutto del Concilio Vaticano II.
Nel suo intervento, il nunzio ha rasmesso i saluti e la benedizione del Santo Padre, Papa Leone XIV, invitando i partecipanti a vivere questo incontro come tempo di comunione, ascolto e missione. Ho sottolineato che il giubileo non può essere solo uno sguardo al passato, ma soprattutto un’occasione per guardare al futuro come pellegrini della speranza, costruttori di ponti di dialogo e di pace.
La presenza della Chiesa in Eswatini è stata apprezzata anche dal Primo Ministro, rappresentato dal ministro dell’istruzione e dell’insegnamento superiore, Owen Nxumalo. Questi – racconta il nunzio - “ha iniziato il suo discorso con il segno della croce – un gesto estremamente eloquente, considerando che non è cattolico. Ha parlato con grande rispetto del contributo della Chiesa allo sviluppo del Paese, in particolare attraverso scuole, ospedali e collegi infermieristici, esprimendo la speranza nella fondazione di un’università cattolica”.
Alla sessione hanno partecipato circa 70 vescovi e arcivescovi dei Paesi della regione, tra cui tre cardinali: Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale; Stephen Brislin, arcivescovo di Johannesburg e presidente della Conferenza Episcopale Cattolica dell’Africa Meridionale (SACBC); Wilfried Napier, amministratore apostolico a Eshowe.
Il nunzio ha potuto visitare sia un laboratorio dove si realizzano le famose candele artistiche di Ewsatini, sia la Ngwenya Glass Factory, i cui manufatti sono prodotti al 100 per cento da vetro riciclato, e poi la cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria Manzini, eretta con la bolla “Suprema Nobis” di papa Pio XII nel 1951 e visitata nel 1988 da Giovanni Paolo II.
Il nunzio, accompagnato da monsignor Giacomo Antonicelli, segretario della nunziatura di Pretoria, ha anche visitato l’ospedale cattolico del Buon Pastore a Siteki. Ricevuto dal ministro dell’Educazione, la presidente del board dell’ospedale Khosi Rosemary Mthethwa, dal CEO Muzi Eric Dlamini, da padre Sakhile PeterNdwandwe, membro del board, e dalla presidente del College per le Scienze della Salute Precious Dlaminii.
Durante le discussioni, si è messa in luce la eccellente collaborazione tra la Chiesa Cattolica e le autorità del regno di Eswatini.
Sebbene i cattolici in Eswatini corrispondano ad appena il 6 per cento della popolazione, gestiscono 47 scuole primarie, 13 scuole secondarie, il Collegio
Cattolico di Scienze Mediche, l’Ospedale del Buon Pastore, otto centri di salute e una casa di
cura. Sono opere che non solo testimoniano la vitalità della Chiesa, ma anche la sua
straordinaria capacità di portare luce là dove regnano povertà e sofferenza.
L’Ospedale del Buon Pastore a Siteki fu istituito nel 1949 dalla Chiesa cattolica in Eswatini
Nel giugno del 1970 l’amministrazione fu affidata alle Suore Missionarie Mediche
provenienti dall’Olanda. Allora il numero dei dipendenti salì a 21: quattro suore missionarie,
cinque infermieri diplomati e dodici assistenti sanitari.
Nel 1977 l’ospedale ricevette il primo sussidio governativo, che permise una gestione più
efficace. Negli anni 1978–1981, grazie al sostegno di benefattori tedeschi, la struttura fu
ampliata e modernizzata. L’inaugurazione ufficiale fu compiuta dal ministro della salute,
dottor Samuel Hynd. Dal 1985 l’ospedale opera come unità locale ed è stato dichiarato
ospedale regionale. Attualmente assiste oltre 207.000 abitanti della regione di Lubombo – una
delle più povere del Paese, colpita dal dramma dell’HIV/AIDS.
L’arcivescovo Jagodziński ha assicurato che la Santa Sede sostiene ogni sforzo per lo sviluppo integrale dell’uomo.
Il nunzio ha anche visitato il Collegio Cattolico di Scienze Mediche, nato nel 1972, e ampliato nel 2010 con due nuovi edifici grazie alla collaborazione del governo con partner stranieri. Nel 2016 fu inaugurato un moderno complesso con sei aule, laboratori, sale informatiche e strutture amministrative.
Nigeria, un processo di appello che potrebbe avere un impatto sulle leggi di blasfemia
Secondo il gruppo di advocacy internazionale Alliance for Defending Freedom International (ADF), l’appello di Yahaya-Sharif Aminu, una giovane musicista nigeriana condannata a morte per impiccagione per presunta blasfemia, potrebbe avere un impatto sulle leggi sulla blasfemia della nazione. L’appello è cominciato il 25 settembre.
Un tribunale della Sharia ha condannato Yahaya a morte per impiccagione nel 2020 con l’accusa di aver condiviso testi di canzoni presuntamente blasfemi su Whatsapp. A seguito di un appello, l’Alta Corte dello Stato di Kano ha ribaltato la condanna e ordinato un secondo processo.
Kelsey Zorzi, direttore dell’advocacy per ADF International, si detta ottimista che questa udienza sia un passo avanti nel proteggere i diritti di espressione in Nigeria, sebbene Yahaya sia rimasta in prigione “per più di cinque anni per niente più di un messaggio Whatsapp”.
Yahaya è musulmano sufi. La condivisione dei presunti testi blasfemi risale al marzo 2020. Nel suo appello, il nigeriano non chiede alla Corte di liberarlo, ma piuttosto di “dichiarare la pena di morte per blasfemia nello Stato di Kano come anti-costituzionale”.
Il caso ha ricevuto diversa attenzione internazionale. Il Parlamento Europeo ha pubblicato una risoluzione di urgenza sulla questione che ha avuto quasi l’unanimità nell’aprile 2023, e poi di nuovo, con un gesto più unico che raro, nel febbraio 2025. Il Parlamento UE ha condannato le leggi sulla blasfemia e chiesto alla Nigeria di essere un esempio abolendo le leggi sulla blasfemia che minacciano le minoranze religiose.
Anche un gruppo di lavoro ONU sulla Detenzione Arbitraria ha redatto un’opinione approfondita sul caso, notando la violazione di diversi diritti umani protetti a livello internazionale.
FOCUS NUNZI
Funerali Rugambwa, il Cardinale Parolin: “Ha saputo tessere relazioni solide e costruttive”
Il 25 settembre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha celebrato i funerali dell’arcivescovo Novatus Rugambwa, nunzio apostolico, morto a Roma il 16 settembre dopo una lunga malattia.
Nella sua omelia, il segretario di Stato vaticano ha delineato un profilo di Rugambwa, pastore in grado di “tessere relazioni solide e costruttive”, e di essere “testimone autorevole e credibile della verità che ha annunciato”.
Il cardinale Parolin ha detto che Rugambwa “ha offerto un bell’esempio, con la sua solida vita di pietà, con la sua discrezione, e al tempo stesso con la fermezza nel difendere i principi di giustizia e di rispetto della persona, indispensabili ad una convivenza pacifica e costruttiva pur nella diversità, oltre e attraverso i confini delle Nazioni”.
Rugambwa era sacerdote dal 1986, ed era entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1991. Ha servito nelle rappresentanze apostoliche dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania, prima di diventare nel 2007 sottosegretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Nel 2010 poi, da Benedetto XVI è nominato arcivescovo e nunzio apostolico in Angola e São Tomé e Principe; e successivamente diventa rappresentante pontificio in Honduras, nunzio apostolico in Nuova Zelanda e delegato apostolico nell’Oceano Pacifico.
Parolin ha ricordato che “la sensibilità alla voce degli ultimi, di cui monsignor Novatus ha tenuto vivo il fuoco nel suo cuore non è un ornamento facoltativo della vita cristiana, ma ne sta alla radice, come luogo privilegiato di incontro con Dio”.
FOCUS AMBASCIATORI
Presenta copia di credenziali il nuovo ambasciatore di Finlandia presso la Santa Sede
Il 25 settembre, Sirpa Oksanen, ambasciatore di Finlandia presso la Santa Sede, ha presentato copia delle sue lettere credenziali all’arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali.
Oksanen prende il posto di Kalle Kankaanpää. L’ambasciatore di Finlandia presso la Santa Sede non è residente a Roma, ma a Zagabria, ed è contemporaneamente accreditato come ambasciatore di Finlandia presso la Croazia.
L’ambasciatore di Taiwan alla Madonna dei Pellegrini
Anthony Chung Yi-Ho, ambasciatore di Taiwan presso la Santa Sede, è stato il 23 settembre presso la Confraternita della Madonna del Buon Consiglio e dei Pellegrini a Roma per esprimere sostegno alla Chiesa a nome del governo e del popolo taiwanese ad una delle opere di carità di Roma, il “Sacro Cuore della Vergine e dei Pellegrini” che offre alloggi gratuiti alle famiglie vulnerabili che si recano a Roma per cure mediche per i bambini malati.
Nel suo discorso, l’ambasciatore Yi-Ho ha affermato che il sostegno espresso oggi a nome del governo e del popolo taiwanese è una dimostrazione concreta della preoccupazione e dell'amore del nostro Paese per i nostri amici vulnerabili, ed è anche una risposta all'appello di Papa Leone XIV di "aiutare le famiglie e i giovani vulnerabili con empatia, accoglienza e ascolto" nella Diocesi di Roma il 18 settembre.
Oltre ad ammirare il contributo della sinagoga all'assistenza umanitaria, l'ambasciatore ha affermato che Taiwan apprezza la cooperazione con la Santa Sede e la Chiesa universale nei settori dell'assistenza umanitaria, della sanità, dell'istruzione.
Nel suo discorso, l’ambasciatore ha sperato che la sua visita e il sostegno di Taiwan possano essere un segno di solidarietà per famiglie, giovani, poveri, migranti e sofferenti.
“Insieme – ha detto l’ambasciatore - cerchiamo di testimoniare la verità che ‘Dio è amore’, e facendo eco alla convinzione di Papa Leone XIV che il cammino verso la pace si trova nei cuori plasmati dalla solidarietà, dalla compassione e dalla preoccupazione per il bene comune.
La partnership odierna tra Taiwan e l'Arciconfraternita è un passo significativo verso quella visione: portare conforto a chi soffre, speranza agli stanchi e segno vivo dell'amore di Dio per tutti”.
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