Città del Vaticano , 18 October, 2025 / 4:00 PM
Non era stata una visita di Stato con tutti i crismi della visita di Stato, quella del presidente Mattarella da Leone XIV lo scorso 6 giugno. Della visita di Stato mancavano, infatti, lo scambio di discorsi, l’arrivo in una piazza San Pietro sgombra perché preparata per dare solennità al momento, e anche l’incontro del presidente con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Ma è stata, invece, visita di Stato con tutti i crismi della visita di Stato quella che Leone XIV ha reso al presidente della Repubblica Mattarella al Quirinale lo scorso 14 ottobre. Da notare, anche l’uso della stola di Giovanni Paolo II, che ora porta gli stemmi del pontefice regnante, e che include il triregno, l’antico simbolo del potere temporale dei Papi. Come pure da notare che il Papa si è definito primate di Italia, andando a riconnettere quel legame tra il Papa e la città di Roma che, nello spirito della Chiesa missionaria di Papa Francesco, si era perso. Papa Francesco si definiva vescovo di Roma, ma di fatto in gesti, parole, opere e simboli operava più come parroco del mondo.
Nel corso della settimana, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha spiegato la diplomazia vaticana in un incontro di Carità Politica e poi anche al Festival della Diplomazia, dove si è espresso anche sull’accordo di Gaza. Molto importante una relazione del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, all’Istituto Superiore della Sanità sull’Intelligenza Artificiale.
FOCUS PROTOCOLLO
Il protocollo della visita di Stato di Leone XIV al Quirinale
C’è un cerimoniale preciso per la visita di Stato del Papa al presidente della Repubblica. Ma c’è stato anche un periodo in cui la Santa Sede non aveva un territorio. Tuttavia, in questo arco di tempo (che va dal 1870 al 1929) il riconoscimento alla soggettività giuridica internazionale della Santa Sede veniva comunque attuata dagli Stati.
Furono diversi capi di Stato che fecero visita al Papa, e la Santa Sede chiedeva semplicemente che nessun monarca estero visitasse nello stesso giorno il Papa e il re d’Italia. Successe fino al 1920, quando Benedetto XV chiese semplicemente che al ritorno dal Vaticano non si andasse direttamente dal Re di Italia, ma ci si fermasse all’ambasciata del proprio Paese prima di recarsi in Quirinale. Così avvenne in occasione della visita del Re Alberto I del Belgio (28 marzo 1922), dei Sovrani britannici (9 giugno 1923), del Re d’Egitto (9 agosto 1927) e del Re dell’Afganistan (12 gennaio 1928).
In seguito agli Accordi Lateranensi le visite di Stato tornarono a svolgersi regolarmente a partire dalla prima compiuta dai Sovrani d’Italia il 5 dicembre 1929. La prima visita di un Pontefice al Quirinale dopo gli eventi del 1870, invece, fu compiuta da Papa Pio XII il 28 dicembre 1939 in restituzione della visita di Stato compiuta da Re Vittorio Emanuele III di Savoia.
Il cerimoniale usato da Leone XIV è quello di Stato utilizzato l’ultima volta con Benedetto XVI il 24 giugno 2005 e poi il 4 ottobre 2008. Le autorità italiane hanno salutato il Papa al confine di Stato in piazza Pio XII, un uso che risale all’epoca del Regno d’Italia. Nell’ultima parte del tragitto del Papa verso il Quirinale, a partire da piazza Venezia, il Papa è stato scortato da parte del Reggimento dei Corazzieri a cavallo – che erano un tempo lo Squadrone Carabinieri delle Guardie del Re – che Papa Francesco aveva rifiutato nella sua visita del 10 giugno 2017.
FOCUS INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Il cardinale Parolin inaugura il centro di Studio e Sviluppo dell’Intelligenza atificiale
Lo scorso 15 ottobre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha inaugurato il centro di Studio e Sviluppo dell’Intelligenza Artificiale presso l’Istituto Superiore della Sanità con una lectio magistralis che ha anche mostrato lo stato dell’impegno della Santa Sede sul tema.
Il cardinale Parolin ha notato che la sfida dell’intelligenza artificiale impegna tutti, e forse il campo in cui si manifesta con più forza la promessa dell’intelligenza artificiale è quella della ricerca medica, e mai come allora “i rischi etici richiedono una vigilanza altrettanto acuta”, perché si parla “del santuario della persona umana e delle domande più profonde e radicali che caratterizzano la nostra esistenza”.
Il Segretario di Stato vaticano ha definito il doppio interesse della Santa Sede sui temi dell’intelligenza artificiale, con “ammirazione per l’ingegno umano”, ma anche “con la prudenza che nasce dalla consapevolezza della fragilità umana”, perché “la tecnica non è mai neutrale”, e “come ogni strumento potente, può essere usata per elevare o per degradare, per includere o per scartare, per servire la vita o per programmare la morte”.
Il cardinale Parolin ha poi ripercorso il magistero di Papa Francesco sul tema dell’intelligenza artificiale, dall’intervento svolto al G7 di Borgo Egnazia, passando per il messaggio della Giornata Mondiale per la Pace 2024. Ma Parolin guarda anche molto indietro nel tempo, a Papa Leone XIII, che nella Rerum Novarum del 1891 (l’enciclica che ha dato il via alla Dottrina Sociale della Chiesa) ammoniva la società inebriata dal progresso industriale a non dimenticare la dignità inalienabile del lavoratore, perché – scriveva Papa Pecci - “è vergognoso e disumano abusare degli uomini come di cose per guadagno, e non stimarli più di quello che valgono i loro nervi e le loro forze”.
Il Cardinale Parolin nota che “se ieri il rischio era di ridurre l’uomo a forza muscolare, oggi il rischio è di ridurlo a un insieme di dati da processare, a un profilo da analizzare, a un caso statistico da cui trarre conclusioni probabilistiche”.
È il motivo per cui la Santa Sede ha promosso la Rome Call for AI Ethics, “un appello che delinea alcuni principi irrinunciabili che devono guidare lo sviluppo e l’implementazione di queste tecnologie: trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, affidabilità, sicurezza e privacy”.
Sono principi che hanno “un peso specifico e drammatico quando li applichiamo al campo della sanità”, perché ci sono immense promesse, come “algoritmi capaci di analizzare immagini radiologiche con una precisione superiore all’occhio umano, identificando patologie in stadi precoci. Sistemi in grado di accelerare la scoperta di nuovi farmaci analizzando in poche ore una mole di dati che richiederebbe decenni di lavoro a un gruppo di ricercatori. Piattaforme che possono personalizzare le terapie oncologiche sulla base del profilo genetico del singolo paziente, massimizzando l’efficacia e riducendo gli effetti collaterali. Strumenti per ottimizzare la gestione delle risorse ospedaliere, garantendo un accesso più equo alle cure anche nelle regioni più remote e povere del pianeta”.
Il cardinale Parolin loda questa intelligenza artificiale, ma ricorda che ci sono anche “ombre”, ovvero “pericoli che richiedono un discernimento etico rigoroso”. Il primo rischio è “è la de-umanizzazione della cura o la disgregazione dell’atto medico, un'unica compromissione esistenziale tra medico e paziente, in una serie di calcoli o processi tecnici”, perché “un algoritmo può fornire una diagnosi, ma non può offrire una parola di conforto. Può calcolare un dosaggio, ma non può stringere una mano. Può ottimizzare un protocollo, ma non può partecipare con empatia al mistero del dolore”. Il porporato mette in luce, a questo proposito, il rischio di delegare alla macchina non solo il calcolo, ma anche il giudizio e chiede di lottare perché “la tecnologia rimanga uno strumento di supporto alla decisione del medico, non un sostituto della sua umanità”.
Quindi, c’è il rischio della “discriminazione algoritmica”, perché “gli algoritmi imparano dai dati con cui vengono addestrati” e “se questi dati riflettono i pregiudizi e le disuguaglianze esistenti nella nostra società, l’intelligenza artificiale non farà altro che replicarli e amplificarli, creando un nuovo e perverso ‘apartheid sanitario’”, dato che “un sistema addestrato prevalentemente su dati di una specifica etnia o fascia di reddito potrebbe essere meno efficace, o addirittura dannoso, se applicato a popolazioni diverse”.
Tutto questo implica il tema della responsabilità, perché se “un algoritmo commette un errore diagnostico con conseguenze fatali”, non è chiaro chi risponde dell’errore, e questo rischia di creare un’“irresponsabilità di sistema” in cui, alla fine, nessuno è veramente responsabile e la vittima non trova giustizia.
Infine, il cardinale Parolin mette in luce anche il rischio che l’efficienza algoritmica si allei con la cultura dello scarto. Si chiede il cardinale: “In un mondo ossessionato dalla performance e dall’utilità, quale sarà il valore assegnato da un algoritmo alla vita di un anziano con patologie multiple, di un malato terminale, di un nascituro con una grave malformazione? Il rischio è che si sviluppino sistemi che, sulla base di calcoli costi-benefici, suggeriscano di sospendere le cure, di negare un trattamento, di considerare una vita ‘non degna di essere vissuta’.”
Di fronte a queste sfide, la Chiesa non rifiuta la tecnologia, ma propone il governo “umano e umanistico della tecnologia” con un “dialogo costante e fecondo tra scienziati, eticisti, filosofi, teologi e responsabili politici, per costruire insieme un futuro in cui l’innovazione sia sinonimo di vero processo umano”, investendo “non solo in tecnologia, ma anche e soprattutto nella formazione etica di chi la progetta e la utilizza”.
Secondo il cardinale Parolin, “la vera piattaforma abilitante che consentirà alle intelligenze artificiali di portare frutti per il bene del mondo non è una tecnologia ma l’essere umano, poiché “i medici, gli infermieri, i manager della sanità devono essere dotati degli strumenti culturali e critici per dialogare con queste nuove tecnologie, per comprenderne i limiti e per mantenere sempre il primato della decisione umana”.
Insomma, “la decisione finale, specialmente quando sono in gioco la vita e la morte, deve sempre rimanere nelle mani di un essere umano, capace di integrare i dati della macchina con i valori della prudenza, della compassione e della saggezza. In conclusione, l’intelligenza artificiale è un orizzonte carico di promesse, ma anche un bivio che ci pone di fronte a una scelta fondamentale”.
(La storia continua sotto)
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L’umanità è di fronte ad un bivio tra “la via di una tecnologia che, inseguendo un’efficienza disumana, finisce per scartare i più deboli e mercificare la cura” o “sviluppare e utilizzare un’intelligenza artificiale che sia veramente “intelligente” perché illuminata dall’etica, che sia veramente “al servizio” perché orientata al bene integrale di ogni singola persona”.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Il cardinale Parolin su Gaza e altri temi diplomatici
Interpellato dai giornalisti il 15 ottobre a margine della cerimonia di conferimento del VI Premio Letterario “Ambasciatori presso la Santa Sede”, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha parlato anche della situazione di Gaza e di altri temi diplomatici.
Per quanto riguarda Gaza, il cardinale ha definito l’accordo per il cessate il fuoco “un primo passo molto importante”, ma “non dobbiamo perdere la speranza. Dobbiamo credere che c'è la buona volontà, da parte di tutti, di andare avanti”.
Il Cardinale ha anche lodato il lavoro di padre Gabriel Romanelli e ai sacerdoti e alle suore della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, ai quali è stato assegnato il "Premio Silvestrini" per il dialogo e la pace, che sono stati “un segno di speranza” rimanendo a Gaza quando tutti andavano via.
Parlando della questione Ucraina, il cardinale ha auspicato un impegno degli USA anche per favorire la fine della guerra in Europa, considerando che i tentativi fatti, anche l’incontro in Alaska con il presidente Putin, “non hanno dato i risultati sperati”.
Nel suo discorso al Premio ambasciatori – andato ad Andrea Angeli per il volume “Fede, ultima speranza. Storie di religiosi in aree di conflitto (Rubbettino) - il cardinale ha ricordato
a momenti drammatici in cui i religiosi non hanno abbandonato le popolazioni locali nei frangenti tragici della guerra. Come l’ultima messa nella cattedrale di San Giuseppe a Baghdad, “due settimane prima di Desert Storm”, oppure padre Mariano, sacerodte di Nassiryia,
"che aveva piantato, davanti a un tendone di stile arabo dove celebrava la Messa, una croce di legno alta cinque metri”.
O anche l’impegno dei religiosi in Cile all’indomani del golpe del 1973, a partire dal vescovo Raul Silva Henriquez che costituisce la "Vicaria de la Solidaridad" che, seppure fosse un organismo cattolico, coinvolgeva anche luterani ed ebrei, prestando aiuto ai familiari delle vittime delle repressioni. A questo organismo si aggiunge prima la Caritas guidata da un religioso della Garfagnana e poi il Comité Pro Paz guidato dal gesuita Fernando Salas.
La Santa Sede all’Incontro della Dimensione Umana, la libertà religiosa
Il 16 ottobre, la Santa Sede è intervenuta ad un altro panel della Conferenza della Dimensione Umana a Varsavia.
Monsignor Richard Gyhra, rappresentante della Santa Sede all’OSCE, ha sottolineato come la libertà religiosa e di credo sia l’unica libertà fondamentale esplicitamente citato tra i dieci principi dell’Atto Finale di Helsinki, e per questo “è essenziale assicurare che il discorso sulla libertà religiosa e di credo non sia confinato solamente al tema della tolleranza e non discriminazione”, e anzi che il tema “resti centrale all’approccio globale dell’OSCE alla sicurezza, come affermato in numerosi impegni dell’OSCE seguenti”.
La Santa Sede considera “suo dovere insistere sulla centralità della libertà di religione e di credo, non solo per interesse personale o per mancanza di interesse nei confronti di altre libertà, ma perché questa specifica libertà di religione e fede costituisce una cartina tornasole per il rispetto di tutti gli altri diritti umani e le libertà fondamentali”, ed è “la pietra angolare di tutti gli altri diritti umani”.
Tenendo questo a mente – sottolinea monsignor Gyhra – “una società che rispetta e promuove la libertà religiosa o di credo apre al potenziale per un impegno attivo e costruttivo, così come l’avanzamento del bene comune”, e “riconoscendo i contributi positivi che la religione dà alla società è un passo importante per superare la nozione distorta che la religione costituisce solo un problema”.
L’arcivescovo Gallagher spiega la diplomazia pontificia
L’agenda diplomatica della Santa Sede è il bene comune. Lo spiega l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, intervenendo al convegno “Farsi prossimo nella speranza. Testimonianza di religioni e diplomazia della carità politica”, che si è tenuto il 13 ottobre a Roma su impulso dell’Associazione Internazionale “Carità Politica”.
Nel suo intervento, il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha notato che il senso più profondo della diplomazia della Santa Sede è quello di “farsi prossimo”, e che si tratta di una diplomazia del “bene comune”, che vuole “costruire una visione di lungo periodo che trascende i cicli elettorali”.
L’arcivescovo Gallagher ha descritto la diplomazia della Santa Sede come “una neutralità attiva” che va al di là di “interessi particolari”, blocchi geopolitici o schemi ideologici “oggi meno identificabili”.
Il modello è quella del buon Samaritano, che significa “assumersi responsabilità concrete e durature verso l’uomo ferito”, e che si ritrova anche in alcune attività specifiche della Santa Sede, dal ruolo svolto nel riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba, al processo di pace in Colombia, alla costruione delle relazioni tra Santa Sede e Cina.
Gallagher spiega che la diplomazia pontificia opera su due livelli: risponde ad emergenze immediate, ma mantiene anche una visione di lungo corso, una “necessità strategica”, perché senza una speranza più ampia le soluzioni rimangono fragili.
Secondo Gallagher, a livello mondiale i processi di mediazione sono sempre più difficili, e il mondo sempre più destabilizzato anche dalle sfide dell’accelerazione tecnologica e dalla crisi ecologica, che richiedono “nuovi quadri di cooperazione” non elaborabili da un singolo Stato, ma spesso difficili da implementare.
La Santa Sede ha relazioni diplomatiche con 184 Paesi del mondo, è seconda solo agli Stati Uniti come numero di relazioni diplomatiche. È una scelta strategica, quella di aprire un dialogo con tutti, come pure quella di non abbandonare mai le relazioni, nemmeno in situazioni difficili. Ma questo dà anche l’impressione – nota Gallagher – di essere percepiti come “troppo accomodanti nei confronti dei regimi autoritari”.
L’arcivescovo difende la diplomazia della presenza portata avanti dalla Santa Sede, nota che questa non ha interessi economici e materiali da difendere, e questo dà autorevolezza alla Chiesa e permette di richiamare dei principi etici “anche quando scomodi”, con la consapevolezza, però, che non c’è sicurezza di essere ascoltati, e l’altra consapevolezza che le decisioni diplomatiche possono portare “costi morali elevati”, perché “non si tratta quasi mai di scegliere tra il bene assoluto e il male assoluto”.
Gallagher riconosce che “la neutralità può essere vista come ostacolo quando i contesti richiederebbero “prese di posizione più nette”: ma la convinzione di mantenere canali aperti può infine comportare “interventi più efficaci delle condanne pubbliche".
L’arcivescovo Gallagher ha anche affrontato il tema delle migrazioni, da affrontare con un “approccio integrale” capace di analizzarne le cause profonde e trasformare l’emergenza in risorsa”. Il “ministro degli Esteri” vaticano ha anche chiesto lo sviluppo di una “teologia della pace” che supera la semplice assenza di guerra per costruire relazioni giuste tra gli uomini.
L'arcivescovo Gallagher al Festival della diplomazia, Gaza e Ucraina al centro
Intervenendo il 14 ottobre al Festival della Diplomazia, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, ha valutato positivamente l’accordo raggiunto su Gaza, almeno per la sua prima fase, e ha descritto la questione russo-ucraina “più complessa di quella mediorientale”. Nelle sue dichiarazioni si è soffermato anche sui rapporti con le altre religioni, a sessanta anni dalla promulgazione della Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate, sottolineando che “le decisioni dei padri conciliari sono irreversibili”.
Gallagher parlava in un dialogo su “Diplomazia vaticana e diplomazia degli Stati”, insieme all’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente di Mundys e del comitato scientifico del Festiva della Diplomazia, nell’ambasciata di Italia presso la Santa Sede.
Il “ministro degli Esteri” vaticano ha visto con soddisfazione la visita al Quirinale di Leone XIV, che ha mostrato anche “L’intesa con l’Italia sulla pace”.
Per quanto riguarda la situazione a Gaza, Gallagher si è soffermato sulla firma dell’accordo sulla prima fase del piano della Casa Bianca per la pace, avvenuto il 14 ottobre a Sharm el-Sheikh. “In questi anni – ha detto Gallagher – abbiamo imparato che la pace è una delle opzioni, una decisione che potremmo definire trascendentale, a cui però devono poi seguire altre scelte e altri accordi” che le diano concretezza.
Gallagher ha notato che “non c’è stata per la Santa Sede l’opportunità di mediare”, ma che non è mai mancata la richiesta del dialogo, nonché gli appelli costanti dei Papi, in una “diplomazia pubblica”.
Massolo guarda anche ai “punti di fragilità” della seconda fase dell’Accordo, in particolare quelli che richiedono il disarmo di Hamas e il ritiro di Israele dalla Striscia.
Gallagher ha ammesso che i due anni di conflitto hanno “talvolta creato incomprensioni” nei rapporti con le altre religioni”. Ma ha guardato anche ai dati positivi: dal lavoro con l’Islam, dove ci sono stati “da un lato i rapporti con il mondo sunnita, attraverso i contatti con il Grande Imam di al-Azhar, Al Tayyeb, e dall’altro con quello sciita, ricordiamo la visita in Iraq e l’incontro con l’ayatollah Ali al-Sistani”. Ma in generale, sottolinea, “le decisioni prese dai padri conciliari con la Dichiarazione Nostra Aetate sono irreversibili: certamente c’è ancora tanto da fare, ma si va avanti. Le nostre fonti religiose devono essere fonti di riconciliazione”.
Diversa la questione della guerra causata dall’aggressione russa all’Ucraina. In quel caso, la fine “non sembra vicina,” anche a causa di “una certa paralisi del settore multilaterale”, e la Santa Sede ha il compito di “continuare a facilitare i contatti”.
Gallagher ritiene positivo che “Leone abbia confermato le missioni umanitarie del cardinale Zuppi per lo scambio dei prigionieri, ambito in cui abbiamo ottenuto qualche risultato, e per i bambini”. Gallagher si sofferma poi sulle crisi e i conflitti dimenticati, o quasi, “perché catturano meno l’attenzione mediatica”, e su cui tuttavia la Santa Sede continua a mantenere un’attenzione costante: il Sudan, “dove c’è una vera guerra civile”, la Repubblica Democratica del Congo, il Sahel, il Madagascar, il Myanmar, “dove la Chiesa continua a lavorare a un livello locale con molte delle sue comunità”. Parla del prossimo viaggio di Leone in Turchia, “il Concilio di Nicea è fondamentale per la storia del cristianesimo”, sottolineando come sia importante poter collaborare con il Patriarcato di Costantinopoli e intrattenere relazioni proficue con Ankara come “grande attore internazionale”; e in Libano, “al quale Francesco aveva fatto una promessa solenne, legandola anche alla nomina di un nuovo presidente”, e dove “occorre lavorare per consolidare la pace e portare stabilità nell’area”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a New York, lo sviluppo sostenibile
Il 13 ottobre, il Secondo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha affrontato il tema dello Sviluppo Sostenibile.
L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha osservato nel suo intervento che c’è bisogno di un nuovo impegno per lo sviluppo umano integrale che risponda alle crisi interconnesse della povertà, del cambiamento climatico e dei conflitti in corso.
Secondo l’Osservatore della Santa Sede, le priorità sono di affrontare la questione del “debito ecologico”, urgente, per proteggere la biodiversità come un dovere morale di accompagnamento e di promuovere l’educazione per l’ecologia integrale. Ha inoltre enfatizzato che quanti sono meno responsabili del degradamento ecologico, in particolare i poveri e le comunità indigene, ne soffrono spesso le più gravi conseguenze.
La Santa Sede a New York, i crimini contro l’umanità
Lo scorso 14 ottobre, si è tenuta alle Nazioni Unite di New York una riunione della Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che aveva come tema i Crimini contro l’Umanità.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha notato che i crimini contro l’umanità sono “un grava attacco alla dignità umana e minacciano le fondazioni della pace internazionali e della giustizia”.
Per questo, la Santa Sede apprezza il lavoro in corso sugli articoli che porteranno ad una convenzione sul tema e ha sottolineato il bisogno di trasparenza, inclusività e focus costruttivo per raggiungere uno strumento internazionale accettato universalmente.
L’arcivescovo Caccia ha anche notato che le definizioni dovrebbero rimanere centrate sulla esistente legge internazionale, e in particolare sull’articolo 7 dello Statuto di Roma, per costruire consenso e assicurare e efficacia. Ci vuole, ha detto il nunzio, una cornice che “rafforzi la solidarietà globale per prevenire le atrocità e proteggere ogni essere umano dalla persecuzione e dalla violenza”.
La Santa Sede a New York, gli 80 anni dll'ONU
Il 17 ottobre 2025, l'Arcivescovo Gabriele Caccia, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede, ha rilasciato una dichiarazione al Dibattito Generale della Prima Commissione dell'80ª Sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
In occasione dell'80° anniversario dell'ONU, l'Arcivescovo Caccia ha chiesto un rinnovato impegno per il disarmo e il dialogo in un contesto di crescenti tensioni globali, mettendo in guardia contro il ritorno della forza a discapito della diplomazia. Il nunzio ha anche condannato la crescente corsa agli armamenti, inclusa l'integrazione dell'intelligenza artificiale nei sistemi militari e ha invitato gli Stati dotati di armi nucleari a onorare i propri obblighi in materia di disarmo e ha incoraggiato la ratifica dei trattati chiave che controllano e limitano le armi nucleari.
L'Osservatore Permanente ha inoltre evidenziato il costo umanitario delle armi convenzionali e i pericoli etici dei letali sistemi d'arma autonomi (le LAWS), sostenendo la richiesta del Segretario Generale di una messa al bando vincolante entro il 2026, e ha chiesto che parte della spesa militare sia invece destinata allo sviluppo umano integrale.
La Santa Sede alla Conferenza sulla Dimensione Umana, tolleranza e non discriminazione
Prosegue a Varsavia la Conferenza sulla Dimensione umana, cui la Santa Sede partecipa con il suo rappresentante alle organizzazioni internazionali di Vienna, monsignor Richard Gyhra.
Nel suo intervento, Gyhra ha dato voce alla preoccupazione della Santa Sede per il crescente “numero di attacchi contro sinagoghe, moschee, chiese, altri luoghi di culto, cimiteri e siti religiosi”, ricordando che gli ultimi dati dell’ufficio dei Diritti Umani sui crimini di Dio “mostrano che gli incidenti e le minacce contro gli individui e le comunità basate su fede o religione rappresentano la maggioranza dei crimini di odio segnalati nella regione dell’OSCE”.
In particolare, la delegazione della Santa Sede apprezza la specifica attenzione data all’antisemitismo alla Conferenza, insieme alla intolleranza e discriminazione contro cristiani, musulmani e membri di altre religioni”, perché “mentre le più gravi conseguenze nascono dalla comunità prese di mira”, queste sfide vanno affrontate”.
La Santa Sede apprezza anche la guida, stilata dall’Ufficio dei Diritti Umani, per comprendere i crimini anti-cristiani e affrontare le necessità di sicurezza delle comunità cristiana, che va a completare le note sulla sicuerzza di Ebrei e Musulmani.
La Santa Sede chiede anche alle strutture esecutive OSCE e degli altri Stati partecipanti di affrontare tutte le forme di intolleranza e discriminazione contro cristiani, ebrei, musulmani e membri delle altre religioni
FOCUS EUROPA
I vescovi dell’UE chiedono la nomina dell’Inviato Speciale per la Libertà di Religione e di Credo
Al termine dell’assemblea autunnale dell’1-3 ottobre, i vescovi delegati della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha inviato una lettera a Ursula von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, chiedendo il ripristino di un inviato speciale dell’Unione Europea per la Libertà di Religione o di Credo al di fuori dell’Unione Europea.
A un anno dall'inizio del mandato della Commissione von der Leyen II, la COMECE rileva che questa figura chiave, considerata cruciale per promuovere la protezione e la libertà di religione sulla scena globale, è ancora assente.
Durante la loro plenaria, i vescovi delegati delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea hanno tenuto un approfondito dibattito sull’attuazione dell’articolo 17 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea con la vicepresidente del Parlamento Europeo Antonella Sberna.
La Vicepresidente Sberna ha sottolineato che, di fronte alle sfide odierne, l'Unione europea deve riscoprire la propria identità e consapevolezza di sé, comprese le sue radici fondanti, compresa la dimensione spirituale, e ha messo in luce la particolare importanza delle Chiese e il loro contributo in tempi di crisi.
Il Commissario Brunner ha concordato sulla necessità di rendere più dialogici gli incontri ad alto livello tra leader religiosi e dell'UE, evitando un mero dialogo formale tra i partecipanti all'Articolo 17.
I vescovi della COMECE hanno sottolineato che il dialogo basato sull'Articolo 17 non riguarda il dialogo interreligioso, ma un dialogo tra le istituzioni dell'UE e le Chiese. Hanno incoraggiato ulteriori miglioramenti al dialogo basato sull'Articolo 17, inclusa un'interazione più efficace con i deputati al Parlamento europeo.
Sia Sberna che Brunner hanno apprezzato l'atmosfera di dialogo spontaneo dell'Assemblea della COMECE e i suoi scambi basati sui contenuti, evidenziando il contributo specifico della Chiesa cattolica all'elaborazione delle politiche e alle riflessioni dell'UE.
Nel discutere di fenomeni come la discriminazione e l'intolleranza per motivi religiosi all'interno dell'Unione Europea, i vescovi della COMECE hanno ribadito la loro richiesta di nominare un Coordinatore UE per affrontare l'odio anticristiano all'interno dell'Unione.
A questo proposito, il Commissario Brunner ha riconosciuto il crescente fenomeno dell'odio anticristiano all'interno dell'UE e la necessità di contrastarlo efficacemente.
L'Assemblea ha inoltre offerto l'opportunità di riflettere sul ruolo dell'Unione Europea sulla scena globale, nonché sulle sue sfide strategiche interne. A questo proposito, preziosi contributi sono stati offerti ai vescovi da Klaus Welle, Consigliere speciale del Commissario UE per la Difesa.
Insieme, hanno discusso dell'attuale aggressione russa contro l'Ucraina, nonché delle sue conseguenze sull'UE, in particolare nei settori della difesa e della tutela della democrazia.
Una politica chiave dell'UE nel contesto attuale è la migrazione, un tema a cui i vescovi europei hanno dedicato molto tempo, incluso un approfondito scambio con il Commissario Brunner e il Consigliere della Commissione europea Welle.
Mentre il Commissario UE ha sottolineato l'importanza di una legislazione e di politiche umane, nonché la cruciale attuazione efficace del Patto UE sulla migrazione e l'asilo recentemente adottato, il Dott. Welle ha sottolineato la necessità di responsabilità sia nei confronti dei migranti e dei rifugiati in arrivo, sia nei confronti dei membri più vulnerabili delle società ospitanti.
Romania, lo speaker del Senato dal Cardinale Parolin
Lo scorso 10 ottobre, Mircea Abrudean, speaker del Senato romeno, ha avuto un incontro con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in una visita che aveva lo scopo di rafforzare le relazioni bilaterali e durante la quale si è discusso delle principali questioni di interesse comune della politica estera.
Secondo quanto riferito dai media romeni, il senatore Abrudean ha ringraziato la Chiesa cattolica per il suo supporto alla comunità rumena e alle parrocchie in diaspora e ha anche apprezzato le attività filantropiche e sociali portate avanti dagli ordini religiosi in Romania.
Le due parti hanno anche discusso temi di comune interesse, riguardo la promozione della pace e la risoluzione pacifica dei conflitti, la difesa dei diritti umani e la forniture di supporto umanitario. Tra i temi regionali, si è parlato della situazione in Ucraina e degli sviluppi nel Medio Oriente a seguito del conflitto tra Hamas e Israele.
Abrudean ha detto di apprezzare che la Santa Sede ha una visione geopolitica globale, e ha ribadito l’importanza del dialogo nell’identificare soluzioni ai problemi che affrontano l’umanità, ma anche il multilateralismo.
All’incontro ha partecipato anche l’ambasciatore romeno presso la Santa Sede, George Bologan. Abrudean ha anche incontrato gli studenti del Pio Collegio Romeno, la sola struttura romena nel territorio vaticano, e ha avuto una conversazione con padre Isidor Iacovici, coordinatore nazionale della cura pastorale dei cattolici romeni di rito latino, e padre Gheorghe Militaru, vicario amministrativo della diocesi ortodossa di Italia.
FOCUS AMBASCIATORI
Le copia delle lettere credenziali dell’ambasciatore del Libano
Il 15 ottobre, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali , ha ricevuto l’Ambasciatore del Libano Fadi Assaf per la presentazione della copia delle Lettere Credenziali.
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