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Un servizio di EWTN News

Venticinque anni fa, Giovanni Paolo II canonizzava martiri cinesi

I martiri cinesi

Quando Giovanni Paolo II decise di canonizzare centoventi martiri cinesi, venticinque anni fa, ci furono persino tensioni con la Repubblica Popolare Cinese, con la quale il dialogo non era al tempo “fluido” come quello di adesso. Venticinque anni dopo, però, mentre la Santa Sede è impegnata in una difficile opera di “normalizzazione” dei rapporti con la Cina, la storia di questi martiri non è stata ricordata. E sì che l’anniversario – da un Giubileo all’altro – era importante.

Lo ha notato padre Gianni Criveller su Asia News, con un editoriale intitolato, provocatoriamente, “I martiri cinesi. Le polemiche di ieri. Il silenzio di oggi”. Mentre c’è da dire che le congregazioni missionarie non hanno mancato di celebrare i loro martiri. I francescani, i salesiani hanno raccontato con dovizia di particolari la storia dei loro missionari che furono uccisi dalla persecuzione cinese.

I 120 martiri beatificati erano quelli di cui si avevano notizie certe. Sono stati uccisi in odio alla fede tra il 1648 e il 1930. In particolare, molti furono martirizzati a seguito dalla rivolta dei Boxer scoppiata nel 1853. La rivolta aveva l’obiettivo di liberare la Cina dall’oppressione degli stranieri, inclusi i missionari e i cinesi cristiani: molti documenti storici mettono in evidenza l’odio dei Boxers e il loro esplicito programma di soffocare nel sangue la religione cristiana. Essi diffondevano le calunnie più incredibili e nelle uccisioni colpivano i capi delle comunità cristiane, i catechisti, le maestre e qualche volta i bambini anche di pochi giorni battezzati.

Pio XII, il 27 novembre 1946, aveva già beatificato 29 francescani vittime della rivolta dei Boxer. Tra questi, tre martiri Frati Minori del Vicariato dello Hu-nan (1 vescovo e due sacerdoti) uccisi tra il 4 e il 7 luglio 1900, e 26 francescani decapiti il 9 luglio a Tai-yuan fu (3 sacerdoti e 1 religioso minori, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 5 seminaristi cinesi e 8 cristiani cinesi domestici collaboratori dei frati, di cui uno appartenente al Terzo Ordine Francescano).

Di questa schiera di martiri fanno parte anche Agostino Zhao Rong, sacerdote cinese arrestato e ucciso nel 1815, la vergine cinese di 14 anni Anna Wang, decapitata nel 1900 per aver rifiutato di abiurare, Gregorio Maria Grassi, vescovo francescano ucciso durante la rivolta dei Boxer nel 1900.

In tutto, 120 anime che avevano reso testimonianza a Dio fino all’estremo e che Giovanni Paolo II canonizzò l’1 ottobre 2000.

Nemmeno in Cina questi martiri sono stati ricordati, forse perché sono espressione di un tempo di cui oggi non si vuole parlare. Ed è un’eccezione rispetto alle Chiese dell’Asia, dalla Corea, al Giappone, al Vietnam e alle Filippine, che celebrano con devozione il ricordo dei loro santi martiri.

Ma già al tempo della decisione di Giovanni Paolo, il governo di Pechino non apprezzò la mossa del Papa, etichettando i martiri – ricorda Criveller – come “non patrioti e vittime della propaganda straniera,” e addirittura come “imperialisti”, mentre la scelta dell’1 ottobre, festa nazionale della Repubblica Popolare Cinese, era considerata “una provocazione e una sfida”.

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