Carpi, 19 October, 2025 / 10:00 AM
La Parola di Dio, oggi, ci invita a meditare sulla preghiera come lotta, impegno e perseveranza. Nella prima lettura, tratta dal Libro dell'Esodo, ci viene narrata la battaglia tra Israele e Amalèk. Un conflitto che si combatte su due fronti: con le armi e con la preghiera. Mentre Giosuè guida l’esercito sul campo, Mosè sale sul monte e, con le mani levate al cielo, innalza la sua preghiera a Dio. Il testo ci consegna un’immagine potente e sorprendente: "Quando Mosè teneva le mani alzate, Israele prevaleva; quando le abbassava, prevaleva Amalèk." È la preghiera, dunque, a decidere l'esito della battaglia. Ma anche Mosè, l’amico di Dio, a un certo punto si stanca. Le forze lo abbandonano, le braccia si abbassano, e il nemico inizia a prevalere. È allora che Aronne e Cur, che sono con lui, intervengono: si pongono uno da una parte e uno dall’altra, e gli sostengono le braccia, affinché restino alzate. Grazie a questo gesto la preghiera continua e il popolo d’Israele riesce a sconfiggere i suoi nemici. Questo episodio ci offre un insegnamento profondo: così come Mosè è stato sostenuto da Aronne e Cur, anche noi, nei momenti in cui la fede vacilla e la voce si spegne, siamo sorretti dalla comunità cristiana. Non siamo soli. Nella preghiera condivisa, la nostra debolezza si trasforma in forza. San Giovanni Crisostomo lo affermava con parole luminose: “La preghiera ha una forza immensa… e quando molti pregano insieme, questa forza cresce e conquista il cielo.”
Ricordiamo che quando non sappiamo cosa dire a Dio, la Chiesa ci “presta” le sue parole: nei salmi, nella Messa, nella Liturgia delle Ore. Come ha affermato Benedetto XVI: “La liturgia ci insegna a pregare in modo ecclesiale, anche quando non abbiamo la forza di farlo personalmente. È il pregare della Chiesa che ci sostiene.” (Benedetto XVI, Udienza generale, 26 settembre 2012). Inoltre, non dimentichiamo che nella Chiesa esiste una presenza nascosta e potente: la preghiera silenziosa dei santi, dei monaci, delle monache e degli eremiti. Essi dedicano la loro vita alla preghiera continua, non solo per se stessi, ma per tutta l’umanità. Chi è nel deserto, chi è nel dubbio, chi ha perso le parole… può essere certo che c’è qualcuno che sta pregando per lui. Sempre.
Nel Vangelo secondo Luca, Gesù ci racconta la parabola della vedova e del giudice iniquo. Da un lato, un giudice che “non temeva Dio né aveva rispetto per alcuno”; dall’altro, una donna sola, senza potere, che continua a chiedere giustizia. Ebbene, la sua insistenza vince l'indifferenza del giudice. Gesù ci dice di pregare “sempre, senza stancarci”, anche quando ci sembra che non serva a nulla. Ascoltiamo e accogliamo, al riguardo, il consiglio di santa Margherita Maria Alacocque, la grande apostola della devozione al Sacro Cuore di Gesù: Vi sentite incapaci di pregare? Accontentatevi di offrire la preghiera che il divin Salvatore fa per noi nel sacramento dell’altare. Offrite i suoi slanci per riparare tutte le vostre imperfezioni. Ripetete durante ogni vostra azione: Mio Dio, io faccio o soffro questa cosa nel Sacro Cuore del vostro divin Figlio, e secondo le sue sante intenzioni che vi offro per riparare tutto ciò che di impuro e di imperfetto c’è nel mio operare (Lettura dell’Ufficio di Letture della memoria).
Quando ci sentiamo stanchi, svuotati, incapaci di pregare, la grande santa, dunque, ci invita a unirci alla preghiera di Gesù, quella che Egli offre continuamente al Padre nella Santa Messa, e a deporre le nostre povertà nel suo Cuore pieno d’amore. Così, Gesù non presenta al Padre solo la sua offerta perfetta, ma porta con sé anche noi, con tutto ciò che siamo: le nostre fatiche, i nostri silenzi, le nostre imperfezioni. E tutto, unito a Lui, acquista valore eterno e diventa una vera preghiera gradita al Padre.
E poi arriva quella frase finale. La domanda che ci scuote, che inquieta, che non può lasciarci indifferenti: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” È forse la più drammatica tra le domande che Gesù rivolge ai suoi discepoli e ci interroga sulla nostra perseveranza, la nostra capacità di restare nella fede fino alla fine. E allora questa domanda di Gesù diventa anche una chiamata: a custodire la fede come un bene prezioso, a non cedere all’isolamento spirituale, ma a fare della Chiesa una casa dove la fede non si spegne, ma si condivide e si sostiene. Una Chiesa dove si prega insieme, dove le mani che si stancano vengono sostenute dai fratelli, dove nessuno è lasciato solo nella lotta. E se noi sapremo restare in piedi con le mani alzate — anche sostenuti gli uni dagli altri allora, forse, il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra.
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