Maputo, 13 December, 2025 / 4:00 PM
Si è concluso il 10 dicembre il viaggio di cinque giorni che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha compiuto in Mozambico in occasione del trentesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Maputo. La visita ha incluso vari incontri istituzionali, una celebrazione del 30esimo anniversario nella nunziatura apostolica e anche una visita del Cardinale a Cabo Delgado, la regione mozambicana tristemente nota per essere diventata preda dell’ISIS.
La scorsa settimana, la Federazione delle Famiglie Cattoliche in Europa (FAFCE) ha denunciato il rifiuto dell’Unione Europea di erogare fondi a progetti sulla famiglia sulla base di una clausola di non discriminazione, che, in pratica, finirebbe per discriminare il concetto cristiano di famiglia. Anche la World Youth Alliance, un’associazione internazionale che si occupa di promuovere la dignità della persona umana, ha riscontrato una situazione simile. In quel caso, il rischio è che i fondi, già erogati, siano richiesti.
È l’ennesimo segnale di una famiglia sempre più sotto attacco nell’Unione Europea. I vescovi della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) hanno denunciato una recente sentenza che costringe tutti gli Stati membri ad accettare la registrazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Leone XIV ha incontrato il 10 dicembre i membri del gruppo European Conservatives and Reformists del Parlamento Europeo e ha ribadito l’importanza di comprendere l’Europa a partire dalle radici giudaico-cristiane. L’europarlamentare Carlo Fidanza ha sottolineato con EWTN l’importanza delle parole del pontefice, mettendo in luce la necessità di affrontare le sfide di oggi partendo da una dimensione umana.
Leone XIV è stato invitato a visitare il Kazakhstan ufficialmente. Papa Francesco è stato ad Astana nel 2022, intervenendo all’incontro mondiale dei leader religiosi organizzato dal Paese.
FOCUS MOZAMBICO
Il cardinale Parolin in Mozambico, i 30 anni delle relazioni diplomatiche
Lo scorso 5 dicembre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha presieduto presso la nunziatura di Maputo, in Mozambico le celebrazioni per i trenta anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e il Paese africano.
Nel suo discorso, il cardinale ha descritto il rapporto tra Santa Sede e Mozambico come “uno speciale vincolo di cooperazione”, non basato su “interessi politici e temporali”, ma fondato sulla collaborazione riguardo “la dignità della persona umana, i suoi diritti inalienabili, il suo sviluppo integrale, la libertà religiosa, la difesa della pace, la promozione della giustizia, la cura della casa comune”.
Il Cardinale Parolin ha sottolineato che il trentennio di rapporti bilaterali mostra che il Paese riconosce la “dimensione religiosa e morale dei problemi umani”, e che i due Stati “possono e, ancora più, devono incontrarsi in nome dell’umanità”, che “deve essere considerata nella sua integrità, in tutta la sua pienezza e ricchezza multiforme della sua esistenza spirituale e materiale”.
Il Cardinale Parolin ha ricordato anche le visite di San Giovanni Paolo II nel 1988 e Papa Francesco nel 2019, sottolineando anche come i presidenti mozambicani siano stati spesso in Vaticano.
“Anche il Mozambico desidera la pace”, ha detto il Segretario di Stato vaticano. Parolin ha ricordato il conflitto che il Paese vive dallo scorso anno a seguito delle elezioni. Un conflitto “grave, segnato da violenze e morti”, che ha visto i vescovi cattolici locali in prima linea ad invitare la popolazione a “non cedere alla tentazione dello scontro e della violenza”, chiedendo ai cattolici di buona volontà di “dedicare ogni giorno un tempo di preghiera per la pace”.
Il cardinale ritiene che proprio l’impegno dei vescovi abbia aiutato ad aprire il Mozambico “alla speranza”, mentre c’è stato un impegno politico per raggiungere accordi per la revisione costituzionale e la riforma di vari aspetti del sistema di governo, per favorire la trasparenza e la lotta alla corruzione, creando “una grande opportunità che non può essere sprecata”, perché “la chiave per una stabilità politica e sociale sana è saper anticipare e rispondere alle esigenze della società attraverso riforme graduali che migliorino la vita delle persone”.
Il cardinale Parolin ha detto che l’obiettivo deve essere quello di “evitare rivoluzioni facendo riforme”, e che comunque ogni scelta deve essere fatta ascoltando tutto il popolo mozambicano, con un dialogo “inclusivo” che i vescovi hanno delineato in un piccolo opuscolo sulla “partecipazione attiva, consapevole e responsabile al processo di cambiamento” per la costruzione di una società “più giusta, onesta e umana”.
Nel suo discorso, il cardinale Parolin ha anche guardato alla difficile situazione a Cabo Delgado. Ha notato che quella provincia è “vittima dell’insicurezza, della violenza e del terrorismo che continuano a causare morti e migliaia di sfollati”, e ha ricordato che il Papa ha fatto diversi appelli sulla sofferenza degli abitanti, invitando i responsabili della nazione “a ristabilire la sicurezza e la pace in quel territorio”.
È un conflitto che ha cause “molteplici e complesse”, ma che vive in una componente religiosa che “purtroppo oggi viene abusivamente strumentalizzata”, mentre da secoli “le diverse religioni, soprattutto cristianesimo e Islam convivono in Mozambico in pace, armonia e rispetto reciproco”, mentre il radicalismo religioso e il terrorismo “non fanno parte dell’anima mozambicana”.
In particolare, il cardinale ha detto di essere ammirato dagli sforzi compiuti da persone e istituzioni “per aiutare le popolazioni sfollate che vivono situazioni precarie e vulnerabili, in particolare bambini, anziani e donne”.
Parolin ha quindi poi ricordato che nel 2011 è stato siglato un accordo tra Santa Sede e Mozambico, chiamato “Accordo sui principi e disposizioni giuridiche”, che è volto a favorire “una sana collaborazione” tra lo Stato mozambicano e la Chiesa cattolica “nel rispetto dell’indipendenza e autonomia di ciascuna parte”. “Tutti desideriamo progredire ulteriormente nell’applicazione piena dell’accordo”, ha detto.
Infine, il cardinale Parolin ha dato ai presenti i saluti e la benedizione di Leone XIV che “porta il Mozambico nel suo cuore”.
Il Cardinale Parolin in Mozambico, la visita a Cabo Delgado
L’8 dicembre, il Cardinale Parolin ha visitato la regione di Cabo Delgado in Mozambico, visitando Pemba, uno dei luoghi chiave del conflitto nella regione che ha portato a morti e sfollamenti, e ha celebrato una messa nella parrocchia di São Paulo, incoraggiando i fedeli a mantenere la loro speranza in Cristo.
Nell’omelia per la Messa, il cardinale Parolin ha ricordato che Dio “rafforza le mani stanche e rende ferme la ginocchia flebili”, come si legge nel brano del profeta Isaia. E queste parole “risuonano profondamente” in una provincia colpita da cicloni ed attacchi terroristici che a partire dal 2017 hanno causato morte, sfollamento e sofferenza.
Il cardinale ha portato la vicinanza di Leone XIV, che “non dimentica Cabo Delgado”, ed ha espresso apprezzamento per il lavoro di sacerdoti, suore, missionari e agenti pastorali che continuano a supportare il popolo nonostante l’insicurezza, e li ha incoraggiati ad essere “messaggeri di pace”, sottolineando il ruolo della diocesi di Pemba nell’assistere gli sfollati e le iniziative di pace, con una lode particolare al lavoro del vescovo António Juliasse.
In una nota diffusa da Aiuto alla Chiesa che Soffre, si legge che “sebbene il Mozambico sia una nazione principalmente cristiana, Cabo Delgado, nel Nord Est, è a maggioranza musulmana, e, a partire dal 2017, è stata colpita da una violenta insurrezione jihadista che ha causato più di 6300 morti e un milione di sfollati”.
(La storia continua sotto)
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Il vescovo Juliasse di Pemba ha detto che più di 300 cattolici sono morti negli ultimi otto anni, e 34 di loro sono morti nel solo 2025, in maggioranza decapitati.
“Non siete soli – ha detto il cardinale Parolin rivolgendosi alla popolazione di Pemba – il Santo Padre e la Chiesa universale sono con voi. Le vostre sofferenze, le vostre lacrime, ma anche le vostre speranze sono nelle mani della Madre Chiesa e tengono un posto speciale nel cuore del successore di Pietro”.
Il cardinale Parolin ha ascoltato con commozione le testimonianza di coloro le cui vite sono state messe a rischio a Cabo Delgado, incluso un cristiano che ha perso tre fratelli e uno zio a causa dei terroristi, e molti religiosi che hanno portato avanti la loro missione nelle zone più pericolose, rischiando la loro vita per servire Dio.
Il vescovo Juliasse, in un messaggio inviato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ha detto che “il cardinale Parolin ha salutato gli sfollati uno ad uno, stringendo le loro mani e benedicendo i loro figli. Era come se volesse abbracciare ognuno di loro e toccare le loro ferite più profonde per partecipare alla loro sofferenza e speranza”.
Il vescovo di Pemba ha aggiunto che durante la sua visita di due giorni nella diocesi, il Cardinale Parolin ha potuto vedere di persona cosa significhi essere “una Chiesa nel contesto della violenza jihadista, una Chiesa perseguitata, una Chiesa sofferente”.
Parlando ad ACS, padre Eduardo Roca, che è responsabile dei progetti per il dialogo interreligioso nella diocesi di Pemba, ha spiegato che la visita del cardinale ha dato al clero locale e ai catechisti “la forza morale di sapere che non saremo mai soli, che la Chiesa è preoccupata, che ci accompagna e protegge”.
Aiuto alla Chiesa che Soffre ha supportato la diocesi di Pemba dall’inizio della crisi, fornendo cura per i traumi e supporto di emergenza, così come mezzi agli agenti pastorali di portare avanti il loro lavoro. Il cardinale Parolin ha riconosciuto direttamente l’impegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre, ricordando le numerose occasioni di cooperazione avute con la fondazione pontificia quando era nunzio in Venezuela tra il 2009 e il 2013.
Il Cardinale Parolin in Mozambico. Gli incontri istituzionali
In visita in Mozambico, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, ha incontrato le più alte Autorità del Paese: Daniel Francisco Chapo, Presidente della Repubblica; Margarida Adamugy Talapa, Presidente dell’Assemblea della Repubblica; Maria Benvinda Levy, Primo Ministro; e Mateus da Cecilia Feniasse Saize, Ministro di Giustizia, Affari costituzionali e religiosi.
FOCUS FAMIGLIA
Fondi negati alle associazioni famigliari cattoliche, è discriminazione?
Paolo Inselvini, eurodeputato FdI – ECR, è il primo firmatario di una lettera alla Commissione Europea che denuncia come i fondi europei siano dati solo alle associazioni che considerano la famiglia come unione tra uomo e donna.
Inselvini ha denunciato gli “oltre 400 mila euro richiesti indietro ad un’associazione, la World Youth Alliance, non per irregolarità, ma per le sue idee. È scritto nero su bianco nei recenti report di revisione progettuale emessi dall’Agenzia esecutiva europea per l’Istruzione e la Cultura. Credere nella dignità umana dal concepimento; non promuovere l’identità di genere, l’aborto o i cosiddetti ‘diritti sessuali e riproduttivi’; sostenere che l'unità fondamentale della società è la famiglia composta da una madre e un padre, rappresentano - a loro dire - tutte cause di rimozione dei fondi europei. È uno scandalo politico che rivela, dopo anche il caso Green Gate, una gestione unidirezionale e ideologizzata dei fondi pubblici”.
Inselvini denuncia che “la Commissione pretende l’allineamento a ‘valori’ non vincolanti, e documenti perfino successivi alla presentazione dei progetti. Un abuso amministrativo che crea una bolla artificiale di ‘valori europei’ completamente staccata dai trattati, che - di fatto - parlano di ‘sesso’, ‘uomo’, ‘donna’, non di ‘gender’. Bruxelles vuole riscrivere i valori su cui si fonda l’Europa e l’Unione europea dei Padri fondatori, in nome del progressismo ideologico. E lo dimostrano anche i 3,6 miliardi che non hanno avuto problemi a trovare per la nuova Strategia LGBTQ+. Per questo, su mia iniziativa, assieme a molti altri colleghi invieremo una lettera per chiedere chiarezza alla Commissione europea. Perché difendere pluralismo, libertà, e i veri valori cristiani della nostra Europa non possono venire discriminati”..
La Carta UE dei Diritti Fondamentali, al punto 33, garantisce la protezione della famiglia sul piano economico, giuridico e sociale.
Oltre il caso di World Youth Alliance, denunciato da Inselvini, c’è quello della FAFCE, la Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche, che nel corso degli ultimi anni si è vista respingere dalla Commissione Europea diverse richieste di fondi europei su progetti strutturati, precisi e che – carte alla mano – in alcuni casi, aveva avuto giudizi positivi in ogni punto, dalle modalità del progetto alla stesura del budget, bocciate però proprio per via della concezione di famiglia che la federazione difende.
Si legge in una valutazione che “le informazioni limitate sulle disparità di genere nella partecipazione a organizzazioni di società civile potrebbero limitare la diffusione dell’analisi delle questioni di genere e la comprensione di come le barriere della partecipazione sono affrontate in diversi gruppi demografici”.
La stessa valutazione accusa che “l’approccio potrebbe contravvenire le misure per l’eguaglianza dell’Unione europea”.
Vincenzo Bassi, presidente della FAFCE, la ha denunciata come “una discriminazione ideologica”, sottolineando i “preconcetti del modello familiare” della Commissione, penalizzando un modello “famiglia-centrico”, perché le proposte FAFCE usavano le famiglie come strumento di inclusione, rete di protezione (e c’era tutto un capitolo sull’educazione digitale dei minori) e una base per l’advocacy”.
Fondata nel 1997, la FAFCE è l’unico ente familiare accreditato presso il Consiglio d’Europa ad avere il termine “cattolico” nella sua denominazione ufficiale. La sua rete di associazioni famigliari (circa 30 per 20 paesi), l’approccio orientato alla Dottrina Sociale della Chiesa e alla famiglia come pilastro della società, hanno permesso alla FAFCE di navigare e crescere nonostante grandi difficoltà.
Sentenza della Corte di Giustizia Europea sul Matrimonio, la preoccuazione della COMECE
Dopo aver esaminato la recente sentenza della Corte di ’giustizia dell'Unione europea nel caso Wojewoda Mazowiecki (C-713/23), la presidenza della Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea (COMECE) ha inviato una dichiarazione lo scorso 9 dicembre, esprimendo preoccupazione per una decisione che sembra spingere la giurisprudenza oltre le competenze dell’UE.
La sentenza obbliga tutti i Paesi dell’Unione Europea a trascrivere nei propri registri un matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche quando il matrimonio omosessuale non sia riconosciuto nel Paese, anche se poi la trascrizione non prevede l’obbligo di introdurre il matrimonio omosessuale nella legislazione.
Il caso in questione riguarda due cittadini polacchi residenti in Germania, uno dei quali anche con cittadinanza tedesca, che si sono sposati nel 2018 e poi hanno chiesto che l’atto di matrimonio redatto in Germania fosse trascritto nel registro civile polacco.
La richiesta è stata respinta perché la legge polacca non consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e la questione è poi giunta fino alla Corte di giustizia dell’UE, che ha pronunciato la sentenza lo scorso 25 novembre.
Nella dichiarazione, la presidente della COMECE dice di osservare “con preoccupazione che la sentenza potrebbe avere un impatto su questioni che rientrano al centro delle competenze nazionali. La COMECE sottolinea da tempo la necessità di un approccio prudente e cauto ai casi di diritto di famiglia con implicazioni transfrontaliere e di evitare indebite influenze sugli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri dell'UE. La sentenza ha offerto l'opportunità di valutare più in generale lo stato attuale e l'orientamento della giurisprudenza dell'UE in materia”.
La COMECE nota che, sebbene si noti nella sentenza che le decisioni sul matrimonio spettino ai Paesi membri, tuttavia “la decisione della Corte sembra spingere la giurisprudenza oltre le competenze dell'UE” e ricorda “che l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE stabilisce che ‘il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio’.”
Inoltre, la COMECE deplora “il ruolo limitato attribuito alle identità nazionali (articolo 4.2 TUE), osservando che per alcuni Stati membri la definizione di matrimonio fa parte della loro identità nazionale”, notando che “la sentenza potrebbe alimentare pressioni per modificare il diritto di famiglia nazionale, creando una convergenza degli effetti del diritto matrimoniale nonostante l'UE non abbia alcun mandato per armonizzare il diritto di famiglia e potrebbe anche aumentare l'incertezza giuridica”, portando a “sviluppi negativi in altri ambiti sensibili, come la maternità surrogata”.
Infine, “tenendo presente l'attuale difficile situazione nell'UE e la polarizzazione presente nelle nostre società, i vescovi avvertono che tali sentenze potrebbero alimentare sentimenti antieuropei negli Stati membri ed essere facilmente strumentalizzate a tal fine”.
FOCUS EUROPA
Dopo l’udienza di Papa Francesco con il gruppo European Conservatives and Reformists
Carlo Fidanza, parlamentare europeo di Fratelli d’Italia, ha commentato con EWTN l’incontro che il gruppo parlamentare degli European Conservatives and Reformists ha avuto con Leone XIV il 10 marzo. Un’udienza che si è tenuta prima dell’udienza generale, cui il Papa ha dedicato un discorso molto articolato, che ribadiva l’importanza delle radici cristiane dell’Europa. Il Papa si è soffermato a salutare uno ad uno i partecipanti all’udienza.,
Fidanza ha sottolineato che “è stata un’udienza molto emozionante con il Santo Padre”, il quale “ci ha ricordato l’importanza delle radici cristiane per il futuro dell’Europa”.
“L'Europa – ha aggiunto l’europarlamentare - deve recuperare la sua visione, la sua missione, la sua forza nel mondo, ma per farlo è necessario recuperare le nostre radici, le nostre radici giudaico-cristiane culturali e religiose, la nostra eredità, la nostra eredità culturale, la nostra eredità religiosa. Questo è tutto il messaggio che il nostro Santo Padre ci ha dato.
Fidanza ha sottolineato che Leone XIV ha ripreso i messaggi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, “recuperando questo forte messaggio di rinascita, le radici e il messaggio culturale dell'Europa, e penso che sia un lungo cammino, ma urgente. Dobbiamo recuperare lo spazio pubblico per la fede, per la fede religiosa che in molti casi è esclusa dalla dimensione pubblica della nostra vita quotidiana. Naturalmente dobbiamo riaffermare la nostra libertà di religione e di credo, ma la libertà è per affermare qualcosa e non solo per la licenza di fare tutto ciò che si vuole”.
Fidanza aggiunge che “viviamo tempi difficili, con sfide legate alla difesa e alle guerre che ci circondano”. Quindi, prima di tutto, è molto importante in questo momento recuperare un percorso verso la pace in Europa, sostenere il processo di dialogo che stiamo portando avanti, a partire dall'Ucraina, e non solo dall'Ucraina, perché anche fuori dall'Europa, ma vicino all'Europa, abbiamo altri teatri di guerra. Questa è sicuramente l'urgenza che sta plasmando anche le politiche dell'Unione Europea”.
D’ altra parte – aggiunge – serve “recuperare un po' più di concretezza, perché negli) Negli ultimi anni abbiamo vissuto un eccesso di ideologia applicata a molti ambiti della nostra vita quotidiana, all'industria, all'agricoltura, alla transizione verde e così via. Dobbiamo recuperare il ruolo dell'essere umano al centro della transizione, così da poter avere una transizione digitale, ma l'uomo deve essere al centro. Si può avere una transizione verde, ma l'uomo deve essere al centro di essa. Riprendere la prospettiva umana di queste evoluzioni è fondamentale per noi.
La COMECE a CIPRO in vista della prossima presidenza cipriota del Consiglio UE
Il 9 dicembre, il vescovo Mariano Crociata, presidente della COMECE, ha incontrato a Cipro il metropolita Athenagoras del Belgio, presidente della CROCEU, in vista della prossima presidenza cipriota del Consiglio dell’Unione europea che inizierà l’1 gennaio.
La delegazione cattolico-ortodossa è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica di Cipro, Nikos Christodoulides, dal Direttore Generale del Ministero dell'Istruzione, dello Sport e della Gioventù, Marios Panagidis, e dal Vice Ministro per gli Affari Europei, Marilena Raouna. L'incontro si è svolto nel quadro dell'articolo 17 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), che prevede un dialogo aperto, trasparente e regolare tra le istituzioni europee e le Chiese.
Secondo un comunicato della COMECE, “i dibattiti si sono rivelati estremamente fruttuosi. I rappresentanti delle Chiese cattolica e ortodossa hanno avuto l'opportunità di presentare i rispettivi contributi, buone pratiche, sensibilità e preoccupazioni su alcune delle questioni politiche più urgenti sull'attuale scenario politico dell'Unione europea. CROCEU e COMECE hanno accolto con favore l'assunzione della Presidenza di turno da parte di Cipro come un momento particolarmente significativo, data la lunga tradizione cristiana del Paese e la sua posizione strategica al crocevia tra Europa, Medio Oriente e Nord Africa”.
La delegazione ha presentato a ciascuna autorità un documento che delinea le principali preoccupazioni e proposte delle Chiese ortodossa e cattolica romana in merito a una serie di priorità che dovrebbero plasmare la Presidenza cipriota, tra cui migrazione, pace e sicurezza, relazioni con le regioni limitrofe, resilienza idrica e allargamento dell'UE. Basato sulla dottrina sociale cristiana e sull'esperienza delle Chiese nella promozione della dignità della persona umana, il testo ha sottolineato le dimensioni etiche insite in molte delle attuali sfide europee e ha espresso la speranza che questi valori possano informare e ispirare il lavoro della Presidenza.
Nel corso della visita, i Presidenti Crociata e Athenagoras hanno incontrato anche Sua Beatitudine l'Arcivescovo Georgios di Cipro, Primate della Chiesa ortodossa autocefala di Cipro , con il quale hanno discusso della divisione in corso dell'isola, risalente al 1974, quando l'esercito turco occupò la parte settentrionale di Cipro. I colloqui hanno affrontato anche i rapporti tra le Chiese cristiane, nonché i rapporti tra cristiani e musulmani.
I due presidenti erano accompagnati dai rappresentanti locali delle rispettive Chiese, tra cui l'arcivescovo maronita di Cipro, mons. Selim Sfeir, che è anche vescovo delegato della COMECE per Cipro.
Il vescovo Crociata non ha incontrato personalmente il Presidente della Repubblica. Invece, Mons. Sfeir, insieme al Presidente della CROCEU, ha incontrato il Presidente Christodoulides e in quell'occasione il vescovo Sfeir ha consegnato una lettera del presidente della COMECE al Capo dello Stato invitandolo a partecipare alla prossima Assemblea Generale della COMECE, che si terrà a Cipro dal 22 al 24 aprile 2026. La COMECE ha esteso questo invito anche a Sua Beatitudine l'Arcivescovo Georgios di Cipro.
Il comunicato COMECE sottolinea anche che “durante l'incontro, la delegazione ecumenica ha presentato le principali preoccupazioni delle Chiese europee in merito alle priorità e alle attività della Presidenza dell'UE. Tra i temi discussi figurano la guerra in Ucraina; la necessità di garantire politiche umanitarie in materia di migrazione e asilo, fondate sul rispetto della dignità umana; l'avanzamento di un processo di allargamento dell'UE credibile e incentrato sui cittadini; il rafforzamento della democrazia e della coesione sociale all'interno dell'UE”.
Per quanto riguarda l’Ucraina, si è trattato della questione con “grande attenzione”, e i leader della Chiesa hanno ribadito il loro sostegno a Kyiv e il loro auspicio di una pace “una pace sostenibile, onesta e giusta, che rispetti pienamente il diritto internazionale e le aspirazioni del popolo ucraino, così come di quelli di tutta Europa, a vivere in pace", incoraggiando la Presidenza danese dell'UE a sostenere gli sforzi per una Strategia di Pace Europea.
La COMECE incontra il ministro degli Affari Ecclesiastici UE Morten Dahlin
Il 24 novembre, una delegazione della COMECE e del Consiglio Ecumenico delle Chiese ha incontrato Morten Dahlin, ministro per gli Affari Ecclesiastici di Danimarca, nell’ambito della presidenza danese dell’UE.
COMECE e KEK hanno chiesto al ministro – si legge in un post diffuso sul sito della COMECE – “politiche europee in materia di migrazione e asilo eque e umane, che garantiscano il rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali”. La delegazione ha ribadito la necessità di "un'ampia alleanza tra autorità pubbliche, società civile e Chiese" per sostenere i migranti, salvaguardare la loro dignità e facilitarne l'integrazione nelle società ospitanti.
La COMECE e la KEC hanno inoltre sottolineato che tali sforzi dovrebbero includere iniziative volte ad affrontare le cause profonde della migrazione, sostenute dalle Chiese e dagli attori religiosi presenti e attivi nei paesi con alti livelli di emigrazione.
La delegazione ecumenica si è inoltre espressa a favore dell'avanzamento dell'allargamento dell'UE, in particolare per quanto riguarda i Balcani occidentali. La COMECE e la CEC hanno accolto con favore l'impegno della Presidenza danese dell'UE nel promuovere i progressi con i paesi candidati. Hanno sottolineato che il processo deve rimanere credibile, sostenibile, equo e incentrato sui cittadini, e si sono dichiarate disposte a contribuire a una riflessione più approfondita sui valori condivisi in un'Unione allargata.
La COMECE incontra l’ambasciatrice per la liberà religiosa danese
Dopo l'incontro con il Ministro per gli Affari Ecclesiastici, la delegazione ecumenica è stata ospitata presso il Ministero degli Affari Esteri dall'Ambasciatore e Rappresentante Speciale per la Libertà di Religione o di Credo Nathalia Feinberg.
“Nel dialogo – si legge in un comunicato - con l'ambasciatore e vari funzionari governativi, la delegazione COMECE-CEC ha affrontato una serie di preoccupazioni, tra cui la nomina di un inviato speciale per la libertà religiosa al di fuori dell'UE e l'istituzione di un coordinatore dell'UE per l'odio anticristiano all'interno dell'Unione. Le Chiese hanno inoltre sottolineato il ruolo cruciale che svolgono non solo all'interno dell'Unione Europea, ma anche nelle aree colpite da conflitti, assistendo le popolazioni locali, fornendo aiuti umanitari e servizi educativi e sanitari. Hanno invitato l'Ambasciatore a continuare a contare sulle Chiese e sugli attori religiosi come partner nella futura ricostruzione dell'Ucraina”.
Ungheria, i vescovi contro una proposta di legge sulla fertilità
Dopo la proposta di legge del governo ungherese che vuole commercializzare ovuli e cellule staminali, la Conferenza Episcopale di Ungheria ha rilasciato il 3 dicembre una dichiarazione per ribadire la sacralità della vita.
La dichiarazione prende le mosse dall’istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede Donum Vitae, che sottolinea che “il bambino ha diritto ad essere concepito nel matrimonio, ad essere portato in grembo, a nascere in esso ed essere educato in esso”. Allo stesso tempo, ricordano che anche Papa Francesco ha messo in luce che “le procedure che non assistano, ma sostituiscono, l’atto coniugale pongono un problema etico perché separano la trasmissione della vita dal contesto umano a cui originariamente appartiene”.
Chiosano i vescovi ungheresi che “ci sono casi in cui a un bambino non viene data l’opportunità di essere cresciuto dai suoi genitori biologici”, ma allo stesso tempo notano che “creare artificialmente tali situazioni è contrario al bene, agli interessi e ai diritti più importanti del bambino”.
La Conferenza Episcopale ungherese sottolinea che “la donazione di ovuli – e questo è confermato dall’esperienza di altri Paesi in cui è stata introdotta – apre la strada alla maternità surrogata, all’‘ordine’ dei figli, o alla procreazione di figli da parte di coppie dello stesso sesso”.
I vescovi di Ungheria sottolineano che “per molte coppie, la medicina riproduttiva ricostruttiva (RRM) (ad esempio, tecnologia NaPro, FEMM Health e Neo Fertility), disponibile anche nel nostro Paese, rappresenta una soluzione”, con l’obiettivo di “promuovere il concepimento naturale come frutto dell’unione coniugale”, con una terapia personalizzata che “include trattamenti farmacologici, modifiche dello stile di vita o persino interventi medici”, e che “aiuta circa il 40% delle coppie affette da infertilità a raggiungere la gravidanza, ovvero un tasso superiore a quello dell'inseminazione artificiale”.
I vescovi sottolineano che “le conseguenze di una decisione sbagliata sono radicate nella pratica sociale da decenni”, e rimarcano che “se vogliamo veramente proteggere e aiutare la famiglia, non dobbiamo sostenere percorsi che ne distruggeranno l'ordine naturale e divino a lungo termine”.
Per questo, i vescovi chiedono “ai legislatori, ai rappresentanti della comunità scientifica e a tutte le persone di buona volontà di adottare davvero tutte le misure appropriate nell'interesse del bene dei bambini, ma allo stesso tempo di rispettare il diritto del bambino a concepire all'interno del matrimonio e a crescere nell'amore dei suoi genitori”.
Il primo ministro croato alla Gregoriana
Il primo ministro croato Andrej Plenković è stato in Vaticano il 4 dicembre, ha avuto una udienza con Papa Leone XIV e un bilaterale in Segreteria di Stato in cui si è discusso delle relazioni bilaterali e di alcuni temi caldi, come la fine della guerra in Ucraina, ma è anche stato alla Pontificia Università Gregoriana, dando una conferenza sulla situazione internazionale ed espresso i suoi pensieri sulla responsabilità collettiva per formare un futuro prospero, sicuro e pacifico.
Parlando con i media, il primo ministro croato si è detto “particolarmente soddisfatto” delle relazioni tra Santa Sede e Croazia, che è basata su “fiducia e accordi”, considerando che “il contributo della Chiesa Cattolica in Croazia è importante per questioni chiave nella società croata”.
Il primo ministro croato ha anche sottolineato che i colloqui in Segreteria di Stato hanno riguardato in particolare la situazione nei Balcani, e che la Croazia supporto l’ingresso nell’Unione Europea delle nazioni che ancora non ne sono parte.
Per quanto riguarda la situazione in Ucraina e i processi di pace, Plenković ha notato che “il desiderio della Santa Sede e di Leone XIV è di contribuire agli sforzi di pace, specialmente nello scambio di prigionieri, il ritorno dei bambini ucraini e tutto ciò che la diplomazia vaticana ha continuato a sostenere per anni”.
Nella sua conferenza all’Università Gregoriana, il primo ministro croato ha appoggiato la richiesta di Leone XIV di dare “nuova vita alla diplomazia multilaterale” – un appello lanciato nel primo incontro con il corpo diplomatico del 16 maggio e parte comunque di diversi discorsi papali degli ultimi anni – e ha sottolineato che “oggi i contorni dell’ordine globale stanno venendo ridefiniti dalla crescita di nuovi attori globali e regionali”, perché “i tradizionali meccanismi di sicurezza collettiva si frammentano, e il multilateralismo è sempre più sotto sforzo”, mentre “l’autorità globale diventa sempre più multipolare, portata avanti dalla rapida crescita di nuovi centri di gravità politica ed economica”.
In questo contesto, ha detto Plenković, “la diplomazia papale – profondamente impegnata alla risoluzione pacifica dei conflitti – resta una forza durevole di ispirazione per i leader politici e i cittadini ordinari”.
Il primo ministro croato ha poi parlato della storia della Croazia, ha ricordato come la Santa Sede ha riconosciuto e incoraggiato la cristianizzazione del popolo croato già nei secoli VII e VIII, riconoscendo la sovranità dello Stato croato medievale, e ha ricordato la Repubblica di Dubrovnik come un “esempio di diplomazia come ethos nazionale”.
Oggi, tuttavia, le relazioni tra Croazia e Santa Sede “hanno acquisito nuovo significato”, considerando che la Santa Sede è “tra i primi attori internazionali che hanno riconosciuto l’indipendenza della Repubblica di Croazia nel gennaio 1992”, e che la Chiesa “continua a contribuire alla società croata attraverso educazione, istituzioni caritative, servizi, e lo sviluppo di dialogo e riconciliazione”.
Il primo ministro ha ricordato l’esperienza croata di “affrontare le ferite dell’aggressione e della guerra”, che ha “rafforzato la nostra volontà di promuovere una cultura di dialogo, coesistenza e incontro”, attraverso “relazioni costruttive tra le diverse comunità religiose – Cattoliche, ortodosse, islamiche, ebree ed altre.
Plenković ha poi notato che Croazia e Santa Sede oggi condividono “non solo una comune eredità spirituale, ma anche un profondo impegno per la dignità umana, la costruzione della pace e i valori culturali che definiscono l’Europa”, considerando che “l’Unione Europea è la chiara dimostrazione che la riconciliazione è possibile attraverso istituzioni condivise, solidarietà e uno scopo comune”.
Il primo ministro croato ha soottolineato inoltre la necessità di dialogo e realismo, perché questo “non è un segno di debolezza, ma è prova di maturità strategica”, e vale specialmente oggi “quando due approcci maggioritari e divergenti alle relazioni internazionali” stanno avendo luogo.
La Croazia difende la prospettiva europea delle nazioni del Sud Est Europa, e si trova in linea con la Santa Sede sul tema, mentre Plenković ha notato che “l’aggressione russa contro l’Ucraina ha mostrato la fragilità delle norme” definitesi dopo la Seconda Guerra Mondiale, perché “principi, una volta considerati universali come l’integrità territoriale, la non aggressione e la protezione di civili, sono ora apertamente violati”.
Plenković ha anche parlato del ruolo delle università pontificie, la cui esperienza dimostra che “la pace non è automatica o garantita”, perché chi si laurea in queste istituzioni “continua una tradizione che vede la diplomazia non solo come una negoziazione, ma come un servizio all’umanità”.
Infine, Plenković ha chiesto di “sviluppare una cultura di pace”.
Dopo l’incontro in Gregoriana, il Primo Ministro croato ha visitato il Pontificio Istituto Antoniano, incontrandosi con una dozzina di studenti francescani croati dell’Istituto, e ha ricevuto la decorazione onoraria San Francesco da padre Ignacio Ceja Jiménez, vicario generale dell’Ordine Francescano.
FOCUS KAZAKHSTAN
Leone XIV invitato in Kazakhstan
Lo scorso 11 dicembre, Leone XIV ha incontrato il presidente del Senato del Kazakhstan Maulen Ashimbayev, il quale ha consegnato al Santo Padre l'invito del presidente kazako, Kassym-Jomart Tokayev, per visitare il Paese.
La missiva è stata pubblicata dall’ufficio stampa del Senato di Astana. Si legge nella lettera che “il Kazakistan, patria di diverse comunità etniche e religiose, apprezza profondamente il sostegno incrollabile della Santa Sede ai nostri sforzi per promuovere la pace, l'armonia e il rispetto reciproco. Gli speciali legami di amicizia e cooperazione tra il Kazakistan e il Vaticano continuano a rafforzarsi, fondandosi sull'eredità dei vostri predecessori, che voi, Santità, state ora sviluppando costantemente con approcci rinnovati. Siamo particolarmente grati per il continuo sostegno del Vaticano al Congresso dei leader delle religioni del mondo e delle tradizioni religiose”.
E ancora, la lettera ricorda il discorso di Papa Francesco “ai partecipanti all'VIII Congresso, così come la Dichiarazione finale di questo forum”, i quali “servono da guida spirituale per rafforzare il dialogo globale e contrastare l'estremismo e l’intolleranza”.
Per questo, “il Kazakistan sarebbe molto onorato di ospitare Vostra Santità in una visita apostolica quando le sarà più comodo. Sono fiducioso che tale visita ispiri i rappresentanti delle diverse società della nostra regione e dia nuovo impulso alla nostra ricerca comune per un ordine internazionale più giusto e armonioso."
Santa Sede e Kazakhstan, un incontro sulle iniziative interreligiose
Sempre l’11 dicembre, il presidente del Senato Ashimbayev ha anche partecipato ad una tavola rotonda sulle iniziative interreligiose del Kazakhstan al Dicastero per il Dialogo Interreligioso. Il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero, ha introdotto i lavori parlando della dichiarazione conciliare Nostra Aaetate, di cui si celebra il sessantesimo anniversario, che parla delle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane e “riconosce che nel nostro tempo l’umanità si avvicina sempre più ogni giorno che passa e i legami tra i diversi popoli si rafforzano”.
L’incontro è avvenuto prima dell’udienza di Ashimbayev con il Papa, ed era intitolato “Iniziative Interreligiose del Kazakhstan e leadership spirituale della Santa Sede.
Il presidente del Senato kazako ha detto che si assiste oggi “ad un aumento della violenza e della xenofobia in tutto il mondo, nonché a tentativi di sfruttare le tensioni per promuovere ideologie radicali e diffondere discorsi di incitamento all'odio. Questa tendenza è ulteriormente amplificata dal potenziale senza precedenti delle moderne tecnologie digitali”.
Ashimbayev ha detto che il ruolo delle religioni in questa situazione è enorme, perché essi sono “custodi dei valori morali e spirituali, che svolgono un ruolo fondamentale nella ricerca di un terreno comune che unisca le persone indipendentemente dalla loro religione, etnia o appartenenza politica”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a Ginevra, la questione migrazioni
Il 10 dicembre, si è tenuta a Ginevra la 116esima sessione del Concilio della Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), di cui la Santa Sede è Stato membro.
L’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra, ha ricordato che “con un numero stimato di 304 milioni di migranti internazionali nel mondo, è essenziale ricordare che ogni persona in movimento è prima di tutto un essere umano i cui diritti e la dignità umana data da Dio debbano essere presi in carico dalla cooperazione internazionale e dalla governance migratoria”.
La Santa Sede nota con rammarico che “i dibattiti di oggi sono troppo spesso oscurati da stereotipi e narrative polarizzate”, e questo compromette “la considerazione obiettiva e globale della migrazione e delle sue dimensioni”.
Balestrero nota che “gli Stati hanno sia il diritto di proteggere i propri confini e il dovere di rispettare i diritti di quelli che arrivano ai loro confini”. L’Osservatore mette in luce che la Santa Sede è “profondamente preoccupata” dalla vulnerabilità dei migranti tra rotte pericolose, notando che “almeno 8.938 persone sono morte nel 2024”, numeri che ne fanno l’anno più mortale in assoluto, perché “ognuna di queste morti rappresenta un fallimento da parte dell'umanità, degli Stati e della Comunità interazionale”, mentre “molte persone in movimento continuano a cadere preda di trafficanti che ne sfruttano la disperazione per profitto”.
C’è un dato interessante nel discorso, e riguarda l’apprezzamento della Santa Sede per un linguaggio “condiviso e consensuale” nel programma e budget dello IOM, una scelta che “evita concetti che mancano di definizioni condivise nella legge internazionale e di consenso tra gli Stati membri”. È un passaggio fondamentale, perché la Santa Sede si riferisce all’uso, sempre più diffuso nei documenti, della categoria di gender o di diritti sessuali e riproduttivi.
La Santa Sede ci tiene anche a riconoscere “il ruolo essenziale giocato dalle organizzazioni di fede”, perché “con la loro presenza radicata, anche in aree remote e sotto-servite, hanno supportato le persone in movimento ancora prima che la migrazione diventasse una preoccupazione internazionale”.
In particolare, conclude Balestrero, “le organizzazioni cattoliche, attraverso il loro network globale di strutture sulle rotte migratorie, continueranno la loro missione di accogliere, proteggere, promuovere e integrare le persone in movimento, senza alcuna discriminazione”.
FOCUS USA
I vescovi dell’Illinois contro la legge del suicidio assistito
Lo scorso 19 novembre, il governatore dell’Illinois JB Pritzker è stato in udienza privata da Leone XIV. L’Illinois è lo Stato dove si trova Chicago, la città natale di Leone XIV, e Pritzker è un governatore democratico, che ha vantato una certa amicizia con il Cardinale arcivescovo di Chicago Blase Cupich, ma che non ha mai fatto mistero di essere vicino alla Chiesa cattolica sui temi delle migrazioni e di essere completamente sul lato opposto per quanto riguarda il diritto all’aborto o all’eutanasia.
Il 12 dicembre, Pritzker ha firmato la legge che legalizza il suicidio assistito nell’Illinois, suscitando la dura reazione dei vescovi dell’Illinois, nessuno escluso.
“Quando il governatore Pritzker ha firmato la legge sul suicidio assistito – scrivono i vescovi dell’Illinois in una nota - ha messo l'Illinois su una strada pericolosa e straziante, che legittima il suicidio come una valida soluzione alle sfide della vita. Invece di investire in un reale supporto di fine vita, come cure palliative e hospice, gestione del dolore e accompagnamento incentrato sulla famiglia, il nostro Stato ha scelto di normalizzare l'autosuicidio”.
I vescovi hanno notato che “questa legge ignora le reali carenze nell'accesso a cure di qualità che spingono le persone vulnerabili alla disperazione. Non fa nulla per garantire che ai pazienti vengano offerti servizi, siano protetti dalla coercizione o circondati dai propri cari quando si tolgono la vita”.
Ma è ritenuto ancora più allarmante il fatto che, con la legge, “l'Illinois sta sostenendo l'opzione della morte, rivendicando compassione. Questo messaggio sarà recepito dai gruppi vulnerabili non come un balsamo per i morenti, ma come un'alternativa socialmente accettabile alla vita”.
Continua la nota della Conferenza Episcopale dell’Illinois che “gli studi dimostrano che dove il suicidio assistito è stato legalizzato, il numero totale di suicidi è aumentato”.
Cosa si può fare, si chiedono i vescovi, per esortare i giovani a non scegliere la morte, considerata una “opzione medica”, ma la vita? “Possiamo – rispondono - finanziare linee telefoniche di assistenza per la prevenzione del suicidio, espandere i programmi di prevenzione del suicidio e formare le comunità, ma questi sforzi sono vani quando allo stesso tempo segnaliamo che alcune vite sono troppo gravose o troppo costose da salvare”.
Denunciano i vescovi dell’Illinois: “Il governatore Pritzker e i legislatori che hanno sostenuto questa legge avevano la possibilità di costruire un futuro in cui ogni persona, soprattutto i malati e i vulnerabili, sia curata con dignità, amore e sostegno, oppure di aprire le porte a un sistema in cui la morte diventa un'alternativa ammissibile. Con la legge SB 1950 ora in vigore, dobbiamo affermare con ancora più forza che la vera compassione significa aiutare le persone a vivere, non a morire”.
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