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Il cardinale di Karachi spiega come si fa evangelizzazione in un paese islamico

Il cardinale Coutts  |  | ACS Il cardinale Coutts | | ACS

“In  Pakistan, quando è stata introdotta la legge contro la blasfemia, negli anni Ottanta, volevano anche una legge che diceva che se un musulmano cambiava religione, doveva essere dichiarato apostata e ucciso. Questa legge non è stata fatta, ma indica chiaramente una mentalità, e non solo nel Pakistan”.

A dirlo è il il cardinale Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi che nei giorni scorsi è stato in visita in Italia grazie ad Aiuto alla Chiesa che soffre.

In una intervista al gruppo EWTN- ACI il cardinale ha raccontato come procede il dialogo con l’Islam in paesi dove la situazione dei cristiani è difficile e si vive quasi una persecuzione.

Come fare allora evangelizzazione se per un musulmano non si può cambiare religione?

“E’ successo in Afghanistan, è successo in altri paesi. Se un musulmano vuole cambiare religione mette la sua vita in pericolo. Se noi lo sappiamo, non  andiamo lì solo per convertire la gente. Non è quello che vogliamo fare. Anche se illumini qualcuno porti un cambiamento, anche se non un cambiamento drastico.

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Una conversione è un cambiamento totale della tua fede e delle tua vita. In molti paese una persona che lo fa si deve nascondere o fuggire. Distrugge tutta la tua vita. Perciò è molto prudente. Conosci la cultura, conosci il modo di pensare. E se parli di dialogo, non vuoi distruggere quello in cui l’altra persona crede.

Evangelizzazione significa portare qualcuno al punto dove raggiunge il livello di essere aperto agli altri e al messaggio. Ci sono molte persone e puoi evangelizzare in modi diversi. Come cristiano credo che si evangelizzi con il modo di vivere. Come dice Gesù nel Vangelo secondo Giovanni, quando dice “io sono la vite i voi i tralci”, poi continua “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, dovete fare molto frutto buono”. Frutto buono, non solo evangelizzazione parlando e dicendo all’altro “tu sei cattivo e io ti farò diventare buono”.

Nessuno ama sentire parole del genere, se è quello che si intende con proselitismo. Noi invitiamo le persone con la nostra vita, con quello che facciamo e crediamo. Molto vengono e chiedono, chiedono anche di avere una Bibbia, o dimostrano un interesse genuino di sapere di più. Quando abbiamo fatto sessioni di dialogo, mettiamo l’accento su quello che abbiamo in comune, e questo diventa un terreno comune dove si può parlare, come, di nuovo, l’esempio ad Abu Dhabi, dove hanno trovato un terreno comune dove possiamo lavorare insieme al livello di umanità. E se cominciamo a fare quello, hai già istituito un rapporto profondo con altri esseri umani, piuttosto che dire “tu sei sulla strada sbagliata, io su quella giusta”.