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Monsignor Cavina: "I cristiani in Iraq esempio per le Chiese in Occidente"

Il vescovo emerito di Carpi - che ha visitato la Piana di Ninive nel 2017 - parla ad ACI Stampa del viaggio di Papa Francesco in Iraq

La Messa celebrata da Mons. Cavina a Qaraqosh |  | ACS YouTube La Messa celebrata da Mons. Cavina a Qaraqosh | | ACS YouTube

Il Papa è in viaggio per l’Iraq dove incontrerà una delle comunità cristiane più perseguitate nei tempi moderni. A Qaraqosh, nella piana di Ninive, Francesco reciterà l’Angelus. E in quei luoghi – appena liberati dalla presenza dell’ISIS – nel 2017 si era recata una delegazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre insieme al Vescovo Francesco Cavina. Con lui ACI Stampa ha parlato del viaggio del Pontefice in Iraq.

Eccellenza, Lei conosce bene lIraq e la comunità cattolica locale. Una comunità che ha sofferto tantissimo negli ultimi tempi…

E' una comunità duramente colpita da diversi flagelli: gravi e duraturi conflitti militari che hanno avuto un forte impatto socio-demografico ed economico, una pesante ipoteca derivante dalla politica e dal diritto islamici, l'affermazione di nuovi movimenti islamisti, la negazione dei pieni diritti di cittadinanza, l'aggressione da parte del sedicente Stato Islamico. Tutto ciò ha determinato, e causa tuttora, una costante pressione migratoria. Basti pensare che nel 2020 i cristiani erano ormai meno di 250.000. Attualmente la popolazione cristiana avverte una persistente mancanza di sicurezza. Molti dei jihadisti dell'ISIS non sono stati arrestati e si sono dati alla clandestinità, attaccando occasionalmente le minoranze religiose anche negli ultimi anni. Per questo la stragrande maggioranza dei cristiani della Piana di Ninive teme un loro ritorno. Vi sono poi le milizie sciite che hanno contribuito a sconfiggere l’ISIS ma che, secondo diverse fonti cristiane, sarebbero responsabili di corruzione e violazioni dei diritti umani. Vi sono poi gli interventi nel Nord dell’Iraq diretti contro i militanti del PKK, di cui sono vittime diverse minoranze religiose tra cui cristiani e yazidi. Dall’inizio del 2020 almeno 25 villaggi cristiani nel Nord del Paese sono stati svuotati della loro popolazione. Vi è poi il problema della disoccupazione: nonostante i cristiani abbiano più probabilità rispetto ad altri gruppi di far parte della classe commerciale o professionale, subiscono discriminazioni da parte delle milizie che controllano la loro zona. 

Nonostante le sofferenze e le persecuzioni, i cristiani iracheni continuano a offrire la loro testimonianza. Che significato ha per la Chiesa universale?

Ha un grande significato per la Chiesa universale ma soprattutto per la Chiesa presente nelle nazioni occidentali. Come sappiamo i Paesi che un tempo si consideravano fieramente cristiani hanno progressivamente abbandonato le radici della fede a causa del secolarismo e di un corrosivo relativismo. L'esempio delle comunità cristiane irachene è per molti addirittura scioccante. Come è possibile che tante normalissime famiglie cristiane siano così profondamente legate alla fede cristiana e alla loro patria nonostante la persecuzione violenta, la discriminazione costante e mille altre difficoltà? Tutto ciò non appare coerente con i canoni del pensiero quotidianamente alimentato dalla maggioranza dei media e degli intellettuali occidentali. Questo esempio, tuttavia, contribuisce a rafforzare la fede di quanti, nelle nostre nazioni occidentali, non sono soddisfatti della dilagante apostasia sociale.  

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Quali sono, a suo giudizio, le aspettative dei cristiani iracheni per questa visita storica?

Sono molteplici ma penso che su ogni aspettativa razionale oggi prevalga la gioia di vedere sul territorio della loro patria il Successore di Pietro, che sarà fra loro anzitutto per confermarli nella fede. Da questa gioia basata sulla comunione ecclesiale deriveranno certamente molteplici effetti positivi, anzitutto quello di sostenere i nostri fratelli nel loro sforzo di restare nelle proprie città per terminare di ricostruirle. La presenza di una sufficientemente ampia comunità cristiana in una nazione come l'Iraq, e in particolare nella Piana di Ninive, contribuirebbe a stabilizzare l'area e a prevenire rischi di frammentazione territoriale e politica. Le autorità civili devono essere consapevoli del contributo che può provenire dal completo reinsediamento e dalla auspicata crescita della comunità cristiana, e per questo devono sostenere le legittime aspettative della popolazione cristiana. Sono certo che la visita del Papa darà un forte impulso in questo senso. 

Lei è stato in Iraq. Che ricordo ha di quel Paese e quale momento Le è rimasto maggiormente impresso?

Certamente la Messa che ho potuto celebrare nel marzo di quattro anni fa nella chiesa dell'Immacolata Concezione di Qaraqosh. La celebrazione si svolse su di un tavolo di fortuna perché l'altare era stato danneggiato e non era utilizzabile. Si tratta della stessa chiesa nella quale il Santo Padre, il prossimo 7 marzo, incontrerà la comunità di Qaraqosh e reciterà l'Angelus.