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La Conciliazione ufficiosa del Barone Carlo Monti, amico d'infanzia di Benedetto XV

I diari dell' incaricato di affari del Governo Italiano raccontano la strada che portò ai Patti Lateranensi

Benedetto XV e Carlo Monti  |  | LEV Benedetto XV e Carlo Monti | | LEV

Tra il 1914 e il 1922 nei corridoi del Vaticano si vedeva spesso un personaggio assai particolare. Si trattava del barone Carlo Monti “incaricato d’affari” del governo italiano presso la Santa Sede. Sono gli anni febbrili della Prima Guerra Mondiale, e sono gli anni febbrili del dibattito che porterà l’11 febbraio del 1929 ai Patti Lateranensi. 

Monti e Benedetto XV sono i protagonisti insieme al cardinale Gasparri di un lavorìo intenso e di una vera “conciliazione ufficiosa” tra Italia e Santa Sede. Tra loro solo Gasparri sarà alla firma dei Patti in rappresentanza di un altro Papa, Pio XI e con un capo del Governo Italiano che Monti non poteva immaginare, Mussolini.

A raccontare la storia di questa vicenda pre pattizia è proprio Monti nel suo diario pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana nel 1997. La Conciliazione ufficiosa, a cura di Antonio Scottà.

Il barone Monti aveva un archivio molto ampio sul tema della “conciliazione” e le carte ricoprono un vasto interesse per quelli che furono i rapporti “ufficiosi” tra Santa Sede e Governo italiano prima della Conciliazione. 

La storia personale di Monti univa di fatto Vittorio Emanuele Orlando, e Benedetto XV. 

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La famiglia Monti originaria del bresciano si traferì a Genova dopo la morte del padre di Carlo dove entrò in amicizia con la famiglia dei marchesi della Chiesa, la famiglia del futuro Benedetto XV. Il loro era quindi un rapporto antico, legato all’infanzia e agli anni della scuola. Monti segue poi la strada della amministrazione statale e dlla Chiesa quella ecclesiastica, am i due si ritrovano a Roma quando Giacomo dalla Chiesa diventa Papa. Ma negli anni non si erano mai persi di vista con incontri a Bologna e Roma. 

Nelle pagine del “Diario” si trovano molte attestazioni di affetto e stima del Papa a Monti. Tutti in Vaticano dopo la elezione di Benedetto XV, che quel barone potrebbe portare alla soluzione della ‘Questione romana’ e non solo. 

Monti è uno tra i primi ad essere ricevuto dal nuovo Papa l’8 settembre del 1914. Lo aveva visto due giorni prima dell’entrata in conclave, ma da Papa nulla è cambiato nella loro amicizia. 

Scrive nel suo diario Carlo Monti: “accoglienza affettuosa, fraterna, mi ha baciato ed abbracciato e nel lungo colloquio mi ha tenuto stretto a se con un braccio sulle spalle”. Monti aggiunge che il Marchese Filippo Crispolti, che era stato giornalista dell’ Osservatore Romano e che ora era impegnato in politica, per volontà del presidente del Consiglio Salandra aveva chiesto una persona che facesse da tramite tra il Papa e il governo italiano: “ (Il Papa) ha soggiunto di aver risposto di averlo già in me, suo caro amico d’infanzia, che nessuno più di me poteva godere la sue piena fiducia, che in qualunque momento avrei avuto libero accesso presso di lui”.

 Inizia così il mandato di Monti, che si dipana in mille atti concreti a cominciare dalla mediazione sulla revisione e armonizzazione delle leggi ecclesiastiche italiane.  Monti si adopera a fondo, tanto che la sua salute ne risente. 

Oltre alle questioni territoriali, con proposte come la lunga striscia di terra fino alla costa, a Civitavecchia, o alla gestione di Borgo, c’era da capire il supporto giuridico adeguato a garantire l’indipendenza e la liberà della Santa Sede. 

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Il territorio, se pur minimo, serviva o no? Una questione che se vogliamo è ancora oggi tornato nelle discussioni. Secondo il Diario di Monti Papa Benedetto XV “non riteneva utile alla Santa Sede il ritorno al governo materiale di uno stato, per quanto piccolo”. 

Una delle grandi questioni era quella di separare la “Questione Romana” e il territorio. Dal riconoscimento della Santa Sede come organismo internazionale.

In alcuni momenti sembra che la conciliazione sia imminente, come nel 1918, con l’idea di coinvolgere la Santa Sede nella conferenza di pace per la fine della I Guerra Mondiale. Ma poi il Cardinale Gasparri dice che alla Santa Sede non conviene: non sarà invitata, dice, ed è meglio che non intervenga per non prendere una posizione a favore di un gruppo e a sfavore di altri. Il Papa è il Padre di tutti. 

Insomma le proposte erano tante da entrambi i lati e Monti seppe districarsi bene tanto da lasciare di fatto un bel lavoro pronto per i suoi successori. 

Tra le proposte una del 1917 si chiamava già “ Trattato tra la Santa Sede e il Regno d’ Italia”. 

Una curiosità: quando Monti propose al cardinale Segretario di Stato Gasbarri l’idea di un territorio che comprendesse anche Borgo, il cardinale si mise le mani tra i capelli esclamando: “non me ne parli nemmeno”. 

Forse era ancora vivo il ricordo dei moti di anticlericalismo tribunizio dei giorni immediatamente successivi alla presa di Porta Pia. Il Papa era Pio IX e il Segretario di Stato Giacomo Antonelli, Roma era in mano ai piemontesi, agli italiani, e nelle vie di Borgo che all’epoca abbracciava basilica e Palazzi, la confusione cresceva, e il Papa non aveva più truppe e difesa. Fu Antonelli a chiedere che fossero gli italiani a portare ordine, il Vaticano di fatto creava il suo confine a Piazza San Pietro. 

L’”Archivio Monti” non si esaurisce con il diario e il pontificato di Benedetto XV.  Dopo la morte del Papa l’archivio riveste una importanza non indifferente: basta ricordare i registri sulla missione Vaticana di soccorso nella Russia colpita dalla carestia.