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Humanae Vitae: 55 anni fa Paolo VI pubblicava l'enciclica

Nell'enciclica - pubblicata il 25 luglio 1968 - il Papa condannava l'aborto e ribadiva che il matrimonio non è effetto del caso

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Il 25 luglio 1968 – 55 anni fa – Papa Paolo VI pubblicava l’enciclica Humanae Vitae, la settima ed ultima del suo pontificato dedicata alla vita umana, al matrimonio ed alla procreazione. Nei successivi dieci anni il Papa non scrisse più alcuna enciclica.

Paolo VI ricordava che “il matrimonio non è effetto del caso o prodotto della evoluzione di inconsce forze naturali: è stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di amore. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite. Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l’unione di Cristo e della chiesa”.

L’amore coniugale è – scriveva il Papa – “prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana. È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. È infine amore fecondo, che non si esaurisce tutto nella comunione dei coniugi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite. Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori".

Paolo VI parlava poi “dell’esercizio responsabile della paternità”  che “implica che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori. Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della chiesa”.

Il Papa ricordava che l’atto coniugale ha due significati: “il significato unitivo e il significato procreativo. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità”.

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Affrontando l’argomento della natalità, Paolo VI elencava le vie illecite per la regolazione della stessa: “l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda”.

Dal punto di vista pastorale il Papa, riferendosi alla regolazione della natalità, suggeriva la padronanza di sé e la creazione di un ambiente favorevole alla castità, mentre alle istituzioni pubbliche chiedeva di fare il possibilità per evitare il degrado del costume morale e di non introdurre “in modo legale in quella cellula fondamentale dello stato, che è la famiglia, pratiche contrarie alla legge naturale e divina”.

Rivolgendosi poi a medici e personale sanitario Paolo VI chiedeva di perseverare “nel promuovere in ogni occasione le soluzioni, ispirate alla fede e alla retta ragione”.

Infine l’appello ai vescovi: “ a capo dei vostri sacerdoti, cooperatori del sacro ministero, e dei vostri fedeli, lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre più vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel tempo presente. Essa comporta un’azione pastorale concertata in tutti i campi della attività umana, economica, culturale e sociale: solo infatti un miglioramento simultaneo in questi vari settori permetterà di rendere non solo tollerabile, ma più facile gioconda la vita dei genitori e dei figli in seno alle famiglie, più fraterna e pacifica la convivenza nell’umana società, nella rigorosa fedeltà al disegno di Dio sul mondo”.