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Diplomazia pontificia, Papa Francesco e la Georgia, Papa Francesco e l’Ucraina

La scorsa settimana si è celebrato il 15esimo anniversario della invasione russa dell’Ossezia. È una guerra congelata, che forse dice in controluce quello che può succedere in Ucraina. E intanto il Papa lavora per una mediazione per la pace

Cardinale Parolin, Georgia | Il cardinale Parolin durante la sua visita in Georgia del dicembre 2019 | Nunziatura della Santa Sede in Georgia Cardinale Parolin, Georgia | Il cardinale Parolin durante la sua visita in Georgia del dicembre 2019 | Nunziatura della Santa Sede in Georgia

L’invasione russa dell’Ossezia, quindici anni fa, doveva essere un campanello di allarme. Di fatto, quello che succede nelle regioni della Georgia, che ha perso il 20 per cento del suo territorio a seguito dell’invasione russa, potrebbe essere un esempio di quello che può succedere in Ucraina, laddove la Russia ha invaso con la scusa di difendere una minoranza e ora si trova in una guerra da più di 500 giorni.

Intanto, Papa Francesco avrebbe dato la sua benedizione agli Emirati Arabi affinché si impegnino ad organizzare un incontro tra il presidente ucraino Zelensky e quello russo Putin a margine del COP 28 di Abu Dhabi. Dopo aver così dato alla Cina una sorta di riconoscimento internazionale nel suo ruolo per la mediazione, con la preparazione del viaggio del Cardinale Zuppi nel Paese, il Papa riconosce anche agli Emirati un ruolo chiave.

                                                PRIMO PIANO: GEORGIA

A 15 anni dall’invasione dell’Ossezia

Quindici anni fa, nel 2008, ebbe luogo l’invasione russa dell’Ossezia del Sud / Regione di Tsinkhavali (è la denominazione internazionalmente riconosciuta della regione georgiana).

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La Russia si mise a capo di uno schieramento separatista delle autoproclamate repubbliche di Ossezia del Sud, motivando la sua azione militare con la tutela all’autodeterminazione degli Osseti del Sud e degli abkhazi. Il conflitto fu il culmine di crescenti tensioni tra la Georgia, che aveva preso un indirizzo filo europeo, e la Russia, ed ha molte somiglianze con l’attuale conflitto in Ucraina, laddove la cosiddetta “operazione militare speciale” russa è giustificata proprio con il diritto all’autodeterminazione. Più del 20 per cento del territorio fu occupato dalla Russia.

Nel 15esimo anniversario dell’invasione, il Patriarca Ilia II della Chiesa Ortodossa di Georgia ha ricordato che le regioni di Tskhinvali e Abkhazia erano “nostre terre indigene e una parte integrante della nazione”.

Ilia II ha anche auspicato che “la nostra patria restauri definitivamente la sua integrità territoriale”, e ha ricordato che la Chiesa ortodossa ha offerto preghiere in ogni suo servizio per il ripristino della integrità territoriale della nazione e l’unità spirituale della nazione, ricordando anche quanti “hanno sacrificato la loro vita per la loro patria”.

Papa Francesco e l’attenzione per la Georgia

Papa Francesco ha guardato con attenzione alla Georgia, a causa della tragica valanga che si è registrata nel Paese, nella regione di Racha, una zona turistica montuosa che si trova a 140 chilometri della capitale Tbilisi. Ci sono stati una ventina di decessi accertati e quasi altrettante dispersi.

Il Papa ne aveva già parlato all’Angelus di domenica 6 agosto, giornata finale della Giornata Mondiale della Gioventù, e poi ne ha parlato di nuovo al termine dell’udienza generale del 9 agosoto.

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Il Patriarca Ilia III di Georgia, cui Papa Francesco si era rivolto chiamandolo fratello, ha risposto con una lettera al Papa in cui sottolineava che “l'intera popolazione della Georgia e noi siamo molto grati per la solidarietà che avete espresso nel vostro discorso ai partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona 2023 a causa del disastro naturale di Racha e delle sue vittime”. Il patriarca ha aggiunto che “la tua eccezionale cura e il tuo amore sono un esempio della vera fratellanza del nostro paese. Chiederò al Signore di non privarti della sua indennità e protezione. con grande rispetto”.

                                                           FOCUS ASIA

Il presidente del Vietnam visita la conferenza episcopale di Hanoi

Vo Van Thuron, presidente del Vietnam, ha incontrato lo scorso 7 agosto i membri della Conferenza Episcopale vietnamita, visitandoli nella loro sede ad Ho Chi Minh. La visita del presidente fa seguito al passaggio in Vaticano dello stesso presidente il 27 luglio. Il presidente era venuto anche per ufficializzare l’accordo tra Santa Sede e Vietnam perché ci si possa essere un rappresentante della Santa Sede ad Hanoi.

L’incontro tra il presidente e i vescovi è durato circa una ora. Il presidente ha riconosciuto il contributo e il servizio della Chiesa cattolica alla società del Vietnam, specialmente durante la pandemia del Covid-19, e si è poi soffermato sul suo viaggio in Europa, e in particolare sulla visita a Papa Francesco dal quale sarebbe rimasto molto colpito.

In particolare, il presidente ha rimarcato di aver apprezzato le parole del Papa sulla fraternità umana, e sulla necessità di ascoltare gli altri mettendosi nella loro situazione per comprendere meglio. L’incontro con il Papa, ha detto il presidente, si è protratto più a lungo del previsto.

Padre Đào Nguyên Vũ, capo della Segreteria della Conferenza episcopale vietnamita, ha presentato quindi le attività della Chiesa nel Paese offrendo i numeri e le statistiche degli istituti cattolici in Vietnam, spiegando che ci sono scuole materne ma non scuole elementari, medie e superiori. Il presidente ha risposto che prenderà in considerazione questo tema.

Sono stati fatti due doni al presidente: un quadro con la foto del Papa durante l’udienza con il capo di Stato vietnamita e sua moglie e l’Enciclica Fratelli tutti tradotta in vietnamita.

Vale la pena ricordare che il 27 luglio Vietnam e Santa Sede anno raggiunto l’accordo sullo Statuto del rappresentante pontificio residente e del suo ufficio in Vietnam. Non si è ancora alle piene relazioni diplomatiche, ma è di certo un passo avanti nelle relazioni.

In una dichiarazione la scorsa settimana, Vu Chien Thang, vice ministro per gli Affari Esteri del Vietnam, ha detto che l’upgrade delle relazioni mostra sforzi, buona volta e mutuo rispetto tra Vietnam e Santa Sede.

Parlando alla Vietnam News Agency, Thang ha descritto come “relativamente speciale” la relazione tra Vietnam e Santa Sede, e che l’elevazione del rango del rappresentante pontificio mostra anche la volontà del Vietnam di progredire nelle relazioni internazionali.

Santa Sede e Vietnam, ha detto Thang, hanno visto un progressivo miglioramento delle relazioni diplomatiche, nonostante alcuni alti e bassi.

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Questo sviluppo, ha aggiunto, è stato portato avanti seguendo una programmazione appropriata e “in conformità con la legge vietnamita”.

Per il Vietnam, l’elevazione del grado delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede mostra anche l’attenzione del Partito e dello Stato al cattolicesimo, ed è un “incoraggiamento ai dignitari cattolici e ai loro seguaci di mantenere la loro fede nelle linee guida e politiche del Partito e dello Stato”.

                                                           FOCUS EUROPA

Papa Francesco chiede aiuto agli Emirati Arabi per risolvere il conflitto in Ucraina?

Nell’intervista concessa al settimanale spagnolo Vida Nueva lo scorso 2 agosto, Papa Francesco aveva rivelato di aver chiesto al Cardinale Parolin di organizzare un summit delle religioni per la pace ad Abu Dhabi, in concomitanza con il COP 28 (la 28esima conferenza delle parti delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) che si terrà in quella nazione.

Le indiscrezioni raccolte dal quotidiano libanese L’Orient Le Jour, tuttavia, vano oltre. Citando fonti occidentali ed arabe, L’Orient Le Jour sostiene che Papa Francesco avrebbe chiesto allo sceicco Mohammed bin Zayed di lavorare ad un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, da tenersi ad Abu Dhabi proprio in concomitanza con la COP 28.

Il quotidiano libanese spiega anche il presidente USA Joe Biden sarebbe stato informato. L’iniziativa, tuttavia, sarebbe da attribuire allo sceicco, che ha poi informato il Papa, che ne sarebbe stato entusiasta.

Non solo. Papa Francesco avrebbe anche accettato di lavorare insieme allo sceicco per attuare il progetto e cercare di raggiungere almeno un accordo per il cessate il fuoco.

Lo sceicco bin Zayeb ha buoni rapporti con la Russia. Ha visitato Mosca nell’ottobre 2022 e San Pietro Burgo nel giugno 2023, e in questi viaggi ha incontrato Putin e tenuto colloqui con lui riguarda una eventuale soluzione della crisi ucraina.

Secondo il quotidiano libanese, "il desiderio dello sceicco Mohammed bin Zayed di raggiungere un cessate il fuoco tra la Federazione Russa e l'Ucraina conferma il ruolo chiave di mediazione svolto dagli Emirati Arabi Uniti nel campo internazionale".

L’attività degli Emirati si congiunge a quella di altre terze parti che puntano ad una mediazione: dalla Turchia che ha favorito l’accordo con il grano alla Cina, considerata dallo stesso Papa chiave per la pace tanto che il Cardinale Matteo Zuppi andrà presto nel Paese al termine di una “offensiva per la pace” che lo ha visto a Kyiv, Mosca e Washington, DC.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno rapporti straordinariamente buoni con la Santa Sede da quando, nel febbraio 2019, Papa Francesco fu il primo Papa a visitare il Paese e nell’occasione siglò con il Grande Imam di al Azhar la Dichiarazione sulla Fraternità Umana, che è diventata una sorta di linea guida dell’attività diplomatica di Papa Francesco.

Il presidente Zelensky incontra l’inviato del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli

La scorsa settimana, il presidente ucraino Volodymir Zelensky si è incontrato a Kyiv con il metropolita Emmanuel di Calcedonia, che rappresentava il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo.

Zelenssky, sottolinea una nota della presidenza ucraina, ha enfatizzato che la visita del metropolita è un segno significante di supporto per l’Ucraina e il popolo ucraino da parte del patriarcato ecumenico nella guerra su larga scala iniziata dalla Russia.

Zelensky ha anche invitato, attraverso il metropolita Emmanuel, il patriarca di Costantinopoli a visitare il paese.

Durante la conversazione tra Emmanuel e il presidente, si è parlato anche della indipendenza spirituale dell’Ucraina, si è discusso anche delle formula di pace ucraina e della questione della restituzione dei bambini che gli ucraini considerano deportati in Russia.

Un nuovo nunzio in Polonia

Dopo 12 anni da nunzio prima in Indonesia e poi in Nigeria, teatri oltremodo difficili, l’arcivescovo Antonio Guido Filipazzi torna in Europa: lo scorso 8 agosto, infatti, Papa ha deciso di inviarlo come suo “ambasciatore” a Cracovia, sede vacante da quando l’arcivescovo Salvatore Pennacchio era stato nominato, lo scorso 25 gennaio, presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica.

L’arcivescovo Filipazzi ha 59 anni, è sacerdote dal 1987 e nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1992, prestando servizio nelle nunziature di Sri Lanka, Austria e Germania e quindi presso la sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.

Nel 2011, l’arcivescovo Filipazzi era stato nominato da Benedetto XVI nunzio in Indonesia, mentre nel 2017 Papa Francesco lo aveva destinato alla nunziatura di Nairobi.

Armenia, il Patriarca Minassian denuncia il continuo blocco del corridoio di Lachin

Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, patriarca di Cilicia degli armeni ha denunciato in una intervista il blocco costante del corridoio di Lachin, il corridoio che porta dal Nagorno Karabakh, il cui antico nome armeno è Artsakh, fino alla capitale Erevan. Cinque chilometri utilizzati per portare vivere dalla capitale armena, bloccati da presunti eco attivisti. L’Armenia denuncia che ci sia l’Azerbaijan dietro il blocco, l’Azerbaijan da parte sua sottolinea di aver permesso comunque l’accesso della Croce Rossa e lamenta che il corridoio è stato utilizzato anche per portare armi alla popolazione armena.

Al di là delle narrative differenti, tipiche in una situazione di conflitto, la questione del blocco, in atto dal 12 dicembre 2022,  è stata affrontata da più agenzie internazionali e anche dal Papa in un appello. Il 13 giugno, in question time, l’Alto Rappresentante per la Politica Estere Josip Borrell ha denunciato che “l’Azerbaijan non ha permesso alla missione” dell’UE – missione civile, con un amndato di due anni e che impiega 100 persone – di essere attiva nella sua parte di confine. La missione fa ciò che può fare, ma non può fare più di quello che è fuori dal suo mandato”.

Borrell ha anche denunciato che “ciò che è successo nel corridoio Lachin è contrario agli sforzi di costruire fiducia e perciò pace tra le parti in conflitto”. Per questo, noi, come comunità internazionale, abbiamo chiesto all’Azerbaijan di consentire l’accesso al Nagorno Karabakh” e ha aggiunto che tutti gli obblichi internazionali siano soddisfatti.

Nonostante la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, la circolazione regolare di persone, veicoli e merci è gravemente compromessa e ciò mette a rischio la vita di 120 000 armeni, di cui 30 mila sono bambini, che vivono nel Nagorno-Karabakh.

Il Patriarca Minassian denuncia che la chiusura del corridoio “è un crimine, un crimine contro l’umanità. Ci sono bambini, vecchi, malati, persone affamate. E di fronte a questo scenario di disperazione, nessuno fa nulla. Si dichiari almeno che è in atto un nuovo genocidio”.

Nei giorni scorsi, anche il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) e la Conferenza delle Chiese europee (Cec) sono scesi in campo inviando una lettera congiunta all’Unione europea, per chiedere di attivarsi affinché sia immediatamente tolto il blocco. I due organismi ecumenici parlano di “livelli tragici” di “privazioni e sofferenze prolungate dei civili”, di “popolazione stremata, completamente isolata, senza cibo, medicine, elettricità e carburante”.

Preoccupa anche la totale assenza di benzina. Sia il trasporto pubblico che quello privato sono completamente fermi. 

Il Patriarca degli armeni si unisce alla denuncia e lancia un appello: “Mi rivolgo prima di tutto a tutti coloro che proclamano i diritti umani. Chiedo di prendersi la responsabilità di quello che dicono e di mettere in pratica ciò che hanno definito. E poi mi rivolgo anche a chi si sta approfittando di questa situazione per interessi personali o nazionali: non è con il sangue degli innocenti che si può guadagnare. No, non è giusto. Questo è un grido di giustizia che sale da questa terra. Le manifestazioni di simpatia non ci servono. Abbiamo bisogni di fatti”.

Il territorio del Nagorno Karabakh è stato lungamente conteso e nel 2020, dopo un breve conflitto e una pace dolorosa, l’Azerbaijan ha ripreso il controllo di vari territori. Da parte armena, si lamenta un “genocidio culturale” attuato nel territorio già dagli Anni Venti, da parte azerbaijana si mette in luce una presenza etnica della popolazione azerbaijana sin da tempi antichi.

Secondo il patriarca Minassian, “è chiaro che basta conoscere la storia e andare a vedere le mappe geografiche di quei territori per capire che su quelle mappe e in questa storia l’Azerbaijan non esisteva. Il fatto che oggi abbiano occupato queste terre non significa che siano loro proprietà. Il popolo che è rimasto su quei territori oggi rivuole la sua libertà e il rispetto dei diritti umani. Se si proclamano a parole i diritti ma si uccidono le persone, si sta commettendo un crimine”.

Il Patriarca si rivolge alla comunità internazionale: “L’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, tutte le grandi potenze mondiali sono testimoni di un genocidio del XXI secolo ma non fanno nulla. Anche nel 1915, gli ambasciatori di tutto il mondo erano presenti, sono stati testimoni di quello che stava accadendo ma non hanno fatto nulla per fermare il genocidio. Oggi quella storia si ripete.  E’ stato presentato un patto di pace ma non è rispettato. Siamo aperti alla pace ma senza condizioni e senza ingiustizia”.

                                                           FOCUS AFRICA

Il Cardinale Parolin in Angola

Il 12 agosto, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha ordinato a Ondijvaarcivescovo Germano Penemote, il primo nunzio angolano della storia.

Il Cardinale era arrivato a Luanda, capitale dell’Angola l’11 agosto, per quella che la sua prima visita nel Paese. E a Luanda tornerà il 13 agosto per pregare con la comunità di San Paolo.

Atterrato a Luanda l’11 agosto, il segretario di Stato è stato accolto da alcuni vescovi della Conferenza episcopale dell'Angola e di São Tomé (CEAST), da fedeli e da rappresentanti di enti governativi. Subito il trasferimento in Nunziatura per l’accoglienza affettuosa dei fedeli con i quali ha pregato il Padre Nostro e il saluto al personale della Rappresentanza pontificia, seguito da una preghiera nella Cappellina.

Intervistato dai media locali, il Cardinale Parolin ha sottolineato che l’ordinazione del nuzio Penemote “ha una relazione speciale per Roma perché il vescovo che sarà ordinato sarà rappresentante del Papa ed è il primo rappresentante del Papa proveniente da questa terra”. Interpellato su un possibile viaggio in Angola di Papa Francesco, il segretario di Stato ha detto: “Chi lo sa… Non sono un profeta, ma credo che il Papa sia molto interessato ad un eventuale viaggio e già aveva detto di voler essere qui in un prossimo viaggio in Africa. Credo che lo desideri con tutto il cuore di poter venire qui”.

Niger, la posizione dei vescovi dell’Africa Occidentale

In una dichiarazione, la Conferenza Episcopale dell’Africa Occidentale (CERAO) ha espresso preoccupazione per le conseguenze del colpo di Stato in Niger dello scorso 26 luglio. Il vescovo Laurent Debiré, presidente della Conferenza Episcopale del Burkina Faso del Niger (CEBN) ha rilasciato anche lui una dichiarazione in cui esprime “grande preoccupazione e inquietudine” per i presuli di Niger e Burkina Faso.,

I vescovi della CERAO hanno assicurato il loro sostegno ai colleghi del Niger, i quali sono chiamati ad aver un ruolo per mantenere la pace nel Paese "a partire dal più importante, il ministero della preghiera".

Secondo il vescovo Dabiré è estremamente allarmante, scrive, sapere che "lo spettro della guerra" sia tra le soluzioni previste per porre fine alla crisi, il che fa pensare alla possibilità di una "seconda Libia", mentre le conseguenze disastrose della destabilizzazione continuano a causare “terribili sofferenze alle popolazioni del Sahel".

I vescovi della Cebn dichiarano quindi di non credere nella "soluzione della forza" e si oppongono all'intervento armato prospettato dall’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale. La Cebn esprime quindi il suo "sostegno fraterno" e la sua "solidarietà ecclesiale" ai vescovi del Niger, impegnandosi a pregare per una pace duratura e per una risoluzione pacifica della crisi in quel Paese e nel Sahel. 

Da parte sua, anche l’arcivescovo Lucius Iwejuru Ugorji, di Owerri, presidente della Conferenza Episcopale Nigeriana, ha firmato una nota in cui i vescovi chiedono al presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu di dissuadere i Capi di Stato dell'Ecowas alla tentazione di entrare in guerra, contro i golpisti ”per evitare lo spargimento di sangue che seguirebbe all’intervento militare”. “Abbiamo sprecato molte vite umane in Africa - si legge - abbiamo anche sprecato preziose vite umane in Nigeria e non possiamo continuare in questo modo orribile, per qualsiasi motivo”.

Il 26 luglio 2023, le Forze di Difesa e Sicurezza del Niger (FDS) avevano annunciato di aver rovesciato il presidente Mohammed Bazoum, eletto nel 2021, dando vita ad un organismo chiamato Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), guidato dal generale Abdourahamane Tiani, ex capo della guardia presidenziale.

Diversi Paesi e organizzazioni, tra cui Onu e Unione Europea, hanno condannato il colpo di Stato e chiesto il ritorno all'ordine costituzionale. Tre giorni dopo, l'Unione Africana chiedeva, entro quindici giorni, il ripristino dell’”autorità costituzionale". La Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas), nel chiedere la liberazione del presidente Bazoum e la restituzione del potere al legittimo governo civile, aveva imposto sanzioni finanziarie, prendendo in considerazione l'intervento armato, dando un ultimatum scaduto il 6 agosto e convocando una riunione di emergenza per domani ad Abuja.

In questa situazione, Burkina Faso, Mali e Guinea, tutti guidati dall’esercito, hanno inviato messaggi di sostegno al Cnsp e avvertito che un intervento armato sarebbe "una dichiarazione di guerra" ai loro Paesi. Anche il presidente algerino Abdelmajid Tebboune ha respinto qualsiasi intervento militare in Niger, in quanto sarebbe "una minaccia diretta per l'Algeria". Molti altri Paesi sostengono l'opzione diplomatica per una soluzione pacifica della crisi.

Uganda, la Banca Mondiale rifiuta un prestito per via della legge anti-omosesualità

Papa Francesco ha parlato spesso di colonizzazione ideologica, e del fatto che molte volte i Paesi più poveri, specialmente in Africa, si vedono negati gli aiuti finché non promettono di adeguare il loro sistema politico e soprattutto valoriale alle richieste del main-stream.

Ultimo esempio di questo tipo, la decisione della Banca Mondiale di non concedere un prestito all’Uganda perché “’Anti-Homosexuality Act contraddice fondamentalmente i valori del gruppo della Banca mondiale”.

“Crediamo – si legge ancora – che la nostra visione di sradicare la povertà su un pianeta vivibile possa avere successo solo se include tutti, indipendentemente dalla razza, dal genere o dalla sessualità. Questa legge mina quegli sforzi. L’inclusione e la non discriminazione sono al centro del nostro lavoro in tutto il pianeta”.

La legge ugandese anti-LGBT è in vigore dal 30 maggio. Include pene detentive fino a 20 anni per promozione dell’omosessualità, prevede persino pene di morte per omosessualità aggravata, reato che include il sesso con un minorenne ma anche il fatto che uno dei partner sia affetto da una malattia cronica come l’HIV.

È considerata una delle leggi più dure del mondo, che ha subito proteste dalla comunità internazionale, a partire dagli USA che a giugno hanno limitato la concessione di visti d’ingresso per alcuni funzionari.

La decisione della Banca mondiale di bloccare i finanziamenti è frutto anche della pressione esercitata sul nuovo presidente Ajay Banga – insediato due mesi fa da parte di 170 gruppi civici che sollecitavano “azioni specifiche, concrete e tempestive”.

La Banca mondiale ha comunque affermato di aver avviato trattative con Kampala per spingere le autorità a riconsiderare la legge.

                                               FOCUS MEDIO ORIENTE

Il presidente israeliano Herzog al monastero Stella Maris

Il governo israeliano ha preso una posizione forte contro gli attacchi anti-cristiani, anche per bocca del ministro degli Esteri Cohen, che è stato il primo ministro degli Esteri di Israrele a visitare la Santa Sede in 29 anni.

Lo scorso 9 agosto, il presidente israeliano Isaac Herzog e sua moglie sono stati in visita al monastero Stella Maris, in quello che il cardinale preconizzato Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha definito “un gesto che conferma la determinazione a voler combattere il doloroso fenomeno degli attacchi e delle aggressioni ai cristiani”.

Il monastero Stella Maris ad Haifa è stato recentemente oggetto di aggressioni da parte di ebrei estremisti. Questi estremisti non solo rivendicano il possesso del monastero, ma hanno anche condotto attacchi ad altri luoghi santi cristiani del Paese, sia ad Haifa che a Gerusalemme.

Un comunicato del Patriarcato latino di Gerusalemme ha sottolineato che il presidente Herzog è stato accolto dal Patriarca Pizzaballa, dal Patriarca della Chiesa Ortodossa di Gerusalemme Theophilos e i vescovi e i capi delle Chiese che si trovano in Terrasanta. Questi hanno espresso “il loro compiacimento per questo atto (la visita di Herzog, ndr) che sostiene l’appello a stabilire un quadro più stretto di pace, comprensione e coesistenza”.

Parlando con Vatican News, il Patriarca Pizzaballa ha spiegato che si tratta di un momento “un po’ complicato non solo per la comunità cristiana”, ma anche “un momento di grandi tensioni all’interno di Israele, tra Israeliani e palestinesi”. Per questo, “la voce del presidente israeliano, soprattutto per quanto riguarda gli attacchi e le aggressioni ai cristiani, è stata una voce molto chiara, molto determinata e forse l’unica così autorevole nel mondo politico israeliano, apprezzata da tutti. E la sua visita in uno dei luoghi più colpiti in questo periodo è un gesto che conferma la sua determinazione a voler combattere questo fenomeno così doloroso”.

Il presidente Herzog è stato accompagnato a Stella Maris da Yaakov Shabtai, capo della polizia, a dimostrazione, ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, che “si intende prendere sul serio la questione” del fenomeno delle aggressioni ai Luoghi Santi cristiani, che però ha anche avuto il merito di aver fatto prendere coscienza di un problema che “forse prima era troppo sottovalutato”.

Pizzaballa sottolinea, tuttavia, che non basta l’intervento della polizia per risolvere la questione, perché “bisogna lavorare alla radice, cioè sull’educazione al rispetto dell’alterità, cosa che in questo periodo in Terrasanta non è di moda”, laddove c’è un approccio più esclusivo che inclusivo e “l’altro viene visto come una minaccia”.

Le aggressioni ai cristiani sono comunque parte di “un fenomeno di violenza generale”, anche perché – spiega Pizzaballa – “la mancanza di fiducia genera violenza” e dunque “occorre lavorare sul piano religioso tra cristiani, ebrei e musulmani, perché questa cultura dell’esclusione dell’altro non vada troppo in profondità della popolazione.

Mahmoud Abbas incontra Pizzaballa e si congratula per la sua prossima creazione a cardinale

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha incontrato lo scorso 9 agosto a Ramallah il cardinale preconizzato Pizzaballa.

Il leader palestinese si è congratulato con Pizzaballa per la sua prossima creazione a cardinale. Secondo una nota del Patriarcato Latino di Gerusalemme, Mahmoud Abbas ha sottolineato che

che “tale incarico concesso da Papa Francesco al patriarca di Gerusalemme e alla stessa città di Gerusalemme è motivo di orgoglio per tutti noi, sia cristiani che musulmani”, e che la creazione a cardinale del patriarca “ci carica di una grande responsabilità, quella di lavorare per la giustizia e la pace nella regione”. 

Abbas ha ribadito i suoi “continui sforzi per raggiungere la pace per il popolo palestinese” e ha concluso inviando un “saluto di pace, dalla terra della pace, a Sua Santità, Papa Francesco, augurandogli buona salute e benedizioni”.

Il patriarca Rai incontra il primo ministro Mikati

Lo scorso 9 agosto, il Cardinale Boutros Bechara Rai, patriarca dei maroniti, ha oincontrato nella residenza estiva patriarcale di Diman il primo ministro reggente libanese Najib Mikati insieme ad una serie di ministri.

Il Patriarca Rai ha caldamente dato il benvenuto al Primo Ministro e ai ministri che partecipavano all’incontro, ricordato che l’idea di una riunione è nata spontaneamente e che si trattava solo di una sessione informa di consultazione e dialogo su diverse questioni pubbliche”. Il Cardinale è stato una voce incessante di condanna sulla situazione di corruzione che si vive nel suo Paese, chiedendo più volte a gran voce di risolvere lo stallo politico e proponendo per il Libano il progetto di una “neutralità attiva”.

Nell’incontro, il Cardinale Rai ha detto che ci sono due candidati presidenziali, e “sono i parlamentari che devono svolgere il loro dovere nel processo di votazione. Che un presidente sia eletto o no, noi ci impegneremo nel dialogo e cercheremo un accordo”.

Il Primo Ministro Mikati ha detto a sua volta che i membri del governo hanno accettato di partecipare all’incontro per “discutere questioni che uniscono il popolo libanese, a partire dal rispetto della formula libanese e dalla diversità nell’unità del Libano, che considero un tesoro”.

Il Primo Ministro ha anche detto che il governo è pronto ad essere “un ponte di comunicazione tra tutti i libanesi e di impegnarsi nel dialogo in tutto ciò che importa e gli unisce”. Anche perché, senza un presidente, con un governo temporaneo e un Parlamento che non riunisce, le tensioni sono all’ordine del giorno.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

L’arcivescovo Gallagher in una intervista parla delle sfide geopolitiche

Parlando in una intervista al quotidiano Il Mattino il 9 agosto, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha definito come “una tempesta perfetta” il tempo che stiamo vivendo, che vede il conflitto in Ucraina unirsi alle “grandi emergenze dell’ambiente malato e dei flussi di una migrazione che ha già raggiunto dimensioni bibliche”, sotto la cappa di una “pandemia che è venuta a ricordarci in modo drammatico la fragilità della nostra condizione”.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, il “ministro degli Esteri” vaticano osserva una situazione di stallo dovuta a “disinteresse di mediazioni e di dialogo”, cosa che è un “atteggiamento grave”. L’arcivescovo Gallagher dice che si possono comprendere le ragioni militari, ma “ciò che è urgente è fare ogni sforzo perché la guerra termini al più presto”.

Ci vuole, aggiunge, “una pace giusta, con una soluzione che porti speranza a tutti”, perché la guerra “non è una partita che debba concludersi con un vincitore e un vinto”.

Non ci può ancora essere un bilancio della mediazione vaticana, che però è in corso, è “molto chiara”, e aha visto nelle missioni del Cardinale Zuppi l’obiettivo immediato di “mettersi in ascolto e riaprire in ogni modo le vie del dialogo, accanto ai passaggi di natura umanitaria per il rientro in patria dei bambini ucraini, lo scambio dei prigionieri e le forme di assistenza ai civili”. Per una mediazione ci vuole comunque un momento in cui qualcuno “accetta di ricercare qualcosa” e “cercare di arrivare a un compromesso”.

L’arcivescovo Gallagher sottolinea che l’uso di un inviato speciale è piuttosto consueto, laddove può servire “un approccio più agile, a volte con quel tocco di inventiva che può essere più alla portata di un diplomatico per così dire ‘fuori ruolo’.”

Per quanto riguarda il futuro, l’arcivescovo Gallagher parla piuttosto di “disordine internazionale”, e “non è davvero facile ipotizzare a quale assetto si vada incontro”, considerando che “è sotto gli occhi di tutti la crisi dell'Onu, è innegabile l'allargamento della Nato con i nuovi equilibri che già si profilano”. La conclusione della guerra in Ucraina “dirà molto” ma non solo non si può aspettare, ma non si debbono nemmeno dimenticare gli altri conflitti dimenticati.

La diplomazia, in questo senso, “fa quello che può. Ma non è chiamata solo a rimettere in sesto i cocci. Suo compito è creare le condizioni per un clima di concordia nel quale tutto diventa possibile”.

Ecuador, il cordoglio del Papa per l’uccisione del candidato presidente Villavicencio

In un telegramma firmato dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Papa Francesco chiede alle forze politiche e ai cittadini dell’Ecuador di unirsi “in uno sforzo comune per la pace”.

È un appello importante, nel Paese che andrà a celebrare il prossimo Congresso Eucaristico internazionale, e che ha visto nei giorni scorsi l’uccisione del candidato alla presidenza del Paese Fernando Villavicencio.

Il telegramma del Papa è indirizzato all’arcivescovo Alfredo José Espinoza Mateus  di Quito, capitale dell’Ecuador, ed è un telegramma di  cordoglio.

Il Papa porge quindi le sue condoglianze al vescovo, alla famiglia del defunto “e a tutto l’amato popolo dell’Ecuador”, invitando “i cittadini e le forze politiche a universi in uno sforzo comune per la pace”. Francesco, affidando il riposo di Villavicencio alla “materna intercessione di Nostra Signora di El Quinche”, impartisce la sua benedizione “come segno di fede e di speranza in. Cristo Risorto”.

Fernando Villavicencio, giornalista e candidato centrista alla presidente dell’Ecuador, è stato assassinato il 9 agosto scorso al termine di un comizio elettorale a Quito con colpi di armi da fuoco. L’omicidio è stato rivendicato dall’organizzazione criminale Los Lobos. Villavicencio aveva basato la sua campagna elettorale sulla lotta alle bande.