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Pio XII a che punto sono gli studi degli archivi del pontificato?

Gli archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XII sono stati aperti il 2 marzo 2020. In un convegno organizzato dal Comitato Pacelli, il professor Matteo Luigi Napolitano ha fatto il punto sugli studi

Pio XII | Pio XII | da Wikimedia Commons Pio XII | Pio XII | da Wikimedia Commons

Ci vorranno anni per comprendere davvero il pontificato di Pio XII, e non solo per la “leggenda nera” riguardo il suo presunto silenzio sulle persecuzioni degli Ebrei, né per la complessità della sua persona e dei dossier che ha dovuto affrontare, in un momento drammatico per il mondo. Da quando, però, gli archivi vaticani relativi al suo pontificato sono stati aperti agli studiosi il 2 marzo 2020, ci sono state diversi dettagli che non possono non essere considerati.

Certo, la lettura della storia può essere a volte parziale, e lo abbiamo visto nella quantità di libri che sono venuti fuori in questi tre anni, a volte indirizzati semplicemente a certificare una idea precostituita che non a leggere davvero le situazioni nel contesto, e cioè nell’epoca in cui le decisioni furono prese. È il rischio della lettura dei documenti, che prevedono anche la necessità di togliersi le lenti dell’ideologia per prendere le lenti della concretezza. D’altronde, come ha spiegato il Cardinale Dominique Mamberti, prefetto della Segnatura Apostolica, “una volta innescata la miccia della guerra, la guerra ha una sua dinamica che sfugge anche ai belligeranti, perché ha una propria vita, una propria autonomia ed è difficile rappacificare e raggiungere la pace”.

Insomma, ha aggiunto il Cardinale, “facile dire ex post che Pio XII avrebbe dovuto fare in questo o quell’altro modo, perché in fatti una volta che sappiamo la fine della storia è facile dire cosa si sarebbe dovuto fare. Ma la fine della storia non la conosciamo finché non è terminata, e dunque l’attività svolta è stata in funzione di quello che si poteva fare”.

Un punto della situazione è stato comunque fornito dal professor Matteo Luigi Napolitano, membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e studioso, da anni, dell’opera di Pio XII, in un convegno che si è tenuto il 5 giugno su “Pio XII: Chiesa, diplomazia e politica”. Convegno organizzato e promosso dal Comitato Pacelli, presieduto dal dinamico avvocato Emilio Artiglieri che da anni si batte per la giusta rivalutazione di Papa Pacelli.

Il professor Napolitano, nella sua conferenza, ha sottolineato che, per quello che gli riguarda, il bilancio storico su Pio XII è estremamente positivo. Lo ha definito “un Papa laico, perché ha una formazione molto moderna, al passo con i tempi. Siccome la natura non ammette salti, è impossibile che con quella formazione sia diventato un Papa antisemita”.

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Il riferimento, indiretto ma chiaro, riguarda le accuse di antisemitismo volte non solo al Papa ma anche all’entourage del Papa da alcune recenti pubblicazioni. Napolitano ha spiegato che quella accusa nasce dal famoso dramma “Il Vicario” di Hochnut, un teatro accusatorio che “è diventato storiografia”.

Cosa si trova nei nuovi documenti? Prima di tutto, si trova una lettera del difensore di un gerarca nazista a Norimberga, che chiede se il Vaticano stia producendo del materiale e stia di fatto agendo come un pubblico ministero aggiunto contro i criminali nazisti. E questo segnala che “nella percezione dei giudici di Norimberga, questo Papa è un Papa che sta dalla parte giusta”.

La Segretaria di Stato, ha raccontato Napolitano, “collabora in maniera probante con i giudici di Norimberga”.

Napolitano ricorda anche a chi dice che Pio XII preferiva Hitler al comunismo che “Pacelli fa un viaggio negli Stati Uniti nel 1936. Lì, l’anticomunismo matura in forma democratica a contatto con gli americani. Per questo si instaura un legame fortissimo per la determinazione di Roosevelt”.

Questo, però, non determina un favore al nazismo. C’è la questione del nunzio a Berlino, l’arcivescovo Cesare Orsenigo, del quale si diceva nunzio risentisse dell’ambiente, fosse troppo debole con Hitler. Ma – ha notato Napolitano – “sostituire un nunzio non è facile durante la guerra. Tutte queste cose si capiscono nelle carte vaticane. Si parla della rottura dei sigilli diplomatici della posta, ci sono fotografie di una violazione sistematica da parte delle autorità naziste su posta che sarebbe posta diplomatica, ci sono i sigilli violati di una posta che deve essere affidata a un Messo svizzero”.

Eppure, ha notato Napolitano, “gli snodi critici restano”, tanto che l’arcivescovo Domenico Tardini, al tempo officiale della Segreteria di Stato, aveva “un giudizio molto duro su Orsenigo”.

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I principi diplomatici di Pio XII sono quelli stabiliti nella enciclica Summi Pontificatus del 1939, il programma del pontificato di Pacelli. Pacelli usa la parola “pace” ben 39 volte, mette in luce i rischi dei tratti internazionali ma anche dell’ebbrezza della vittoria, parla del fatto che è proprio la società, ispirata dal Vangelo, a dover assicurare la pace internazionale. Ma, come scrisse un giornalista svizzero, quell’enciclica entrò nella Società delle Nazioni proprio il giorno in cui l’Unione Sovietica ne viene cacciata.

E quell’enciclica viene letta a Berlino come un attacco diretto alla Germania, tanto copie di quell’enciclica vengono lanciate sulla Selva Nera e sul Wutternberg. Era un Papa che aveva un prestigio elevatissimo. E allora – ha raccontato Napolitano – nell’archivio della Segreteria di Stato arrivano dei falsi nazisti sulla paure papali.

Racconta lo storico: “In segreteria di Stato arriva lettera in latino che dice : Beatissimo Padre, viene pubblicato da governatorato generale di Polonia il testo della lettera Summi pontificatus nella quale Sua Santità ha avuto grande compassione per la Polonia, solo che al posto di Polonia è stata inserita la parola Germania, ed è stata modificata in modo che si riferisca solo ai soldati di Hitler”.

È un “fake Pope”, ha detto Napolitano. Che poi ha smentisto l’idea che Pio XII volesse fare un accordo segreto con Hitler, considerando che “se è vero che il Vaticano voleva fare un accordo con Hitler, ci si chiede perché documenti di questo accordo non ci sono”.

Era piuttosto Hitler che voleva stipulare un nuovo accordo con la Santa Sede perché non sopportava l’accordo del 1933, che è “ancora vigente, regola gli accordi tra la Germania di oggi e la Santa Sede, è stato riconosciuto valido da un numero indefinito di altri concordati regionali con la Santa Sede basati sull’articolo del 1933”.

Il negoziato per il concordato – ha sottolineato Napolitano – è “cominciato prima dell’avvento di Hitler, ma è chiaro che quel concordato non può essere un riconoscimento del regime nazista”.

Hitler “voleva un concordato del Terzo Reich”, in particolare a partire del 1934 quando accentra le funzioni di capo di Stato, di governo e legislatore. Quello del 1933 era invece un accordo con la Germania Federale, e Pacelli lo vuole mantenere, anche considerando la situazione internazionale.

Napolitano ha messo in luce l’impressione che alcuni moduli interpretativi non siano cambiati, nonostante i documenti. E ha fatto in particolare riferimento alla questione della deportazione degli Ebrei romani, la razzia del ghetto.

Ernst von Weizsäcker arriva come ambasciatore di Germania presso la Santa Sede nel luglio 1943. Il 16 ottobre, viene convocato in Vaticano dopo che il Papa ha saputo della razzia che si sta consumando al ghetto, di questo incontro c’è un verbale del Cardinale Luigi Maglione, segretario di Stato vaticano mai contestato.  Ernst von Weizsäcker è molto addolorato, dice che gli ordini vengono dall’alto. Il cardinale Maglione risponde che “la Santa Sede non deve essere messa nella necessità di protestare. Qualora fosse costretta a farlo, la Santa Sede si affiderebbe alla Provvidenza per le conseguenze”.

L’ambasciatore tedesco promette di agire, e chiede di non riferire a Hitler del colloquio. Ma i suoi documenti – ha ammonito Napolitano – “sono i più falsificati della storia. Lui seguiva un doppio binario: dire a Hitler che andava tutto bene, e poi intervenire con il capo delle SS per far cessare la razzia”. Insomma, “sul 16 ottobre, l’aspetto non sviscerato è il silenzio von Weizsäcker”.

Le nuove carte, ha raccontato Napolitano, non aggiungono niente. Ha messo in luce alcune cifre – altre sono state fornite dagli studi di Dominiek Oversteyns,  cui abbiamo dato ampio spazio – che dicono (sono dati delle SS) che furono catturati 1259 ebrei, e poco più di un migliaio prendono la via di Auschwitz. Ce ne sono – ha detto – altri 6800. Dove si trovano?

Secondo la “Italy Collection” del Museo Yad Vashem, 118 sono in zone extraterritoriali del Vaticano, 219 sotto la protezione pontificia, 246 in istituti femminili, 1242 in istituti maschili.

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E qui, lo storico ha messo in luce l’altra grande domanda: cosa pensavano gli ebrei contemporanei del Papa? “Ci sono testimonianze – ha spiegato – che parlano di chiese che vengono aperte, di ospitalità garantita. Si capisce bene come gruppi di sionisti sentano il dovere di ringraziare”.

E poi c’è la questione del rapporto con il re e del suo apporto alla pace.

Alla vigilia del voto del 2 giugno 1946, Re Umberto si reca al santuario del Divino Amore, e mette una dedica ai piedi della statua: “Prometto di essere un monarca cristiano”. La Segreteria di Stato sequestra subito la lettera, per non turbare le importanti decisioni che si stavano prendendo”.

Le carte vaticane – ha raccontato Napolitano – mostrano che il re “si tiene in contatto con un gruppo autorevole di intellettuali pacifisti che vogliono il dialogo oltre cortina”, e si parla persino “di una ambasciata sovietica in Vaticano, proposta formalizzata nel febbraio 1953 che non ha seguito”.

Tutti dettagli, ha concluso, che mostrano come la Santa Sede sia “collocata a pieno titolo nelle diplomazie moderne” e come per Pacelli si parli di un Papa “estremamente moderno”.