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Processo Palazzo di Londra, le difese rimettono in discussione l’accusa

Due udienze in questa settimana, alle difese dell’officiale di Segreteria di Stato Tirabassi e all’avvocato Squillace. Dubbi sulle indagini e sul processo. Verso un altro cambio di narrativa?

Processo Palazzo di Londra | Un momento del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media Processo Palazzo di Londra | Un momento del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media

Dopo il cambio di narrativa sul processo riguardante la gestione dei fondi della Segreteria di Stato in Vaticano imposto dalle difese degli ex vertici dell’Autorità di Informazione Finanziaria, anche la difesa dell’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi contribuisce a delineare un quadro di verso da quello descritto nella requisitoria del promotore di Giustizia Alessandro Diddi, rimasto ancorato alla sua prima ricostruzione dei fatti e noncurante dei rilievi avvenuti in sede dibattimentale.  

L’avvocato Intrieri ha dettagliato le accuse contro il suo assistito, e ha ricostruito la situazione della compravendita dell’immobile di Londra, sottolineando il coinvolgimento attivo di monsignor Alberto Perlasca, ai tempi dell’acquisto capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato Vaticana, nonché il fatto che tutti conoscevano in Vaticano il modo in cui le quote dell’immobile erano state passate dalla gestione del fondo GUTT al fondo Athena, e agitando persino lo spettro della ragione di Stato. Ma prima di andare nella cronaca, vale riepilotare su cosa verte il processo.

Il processo e i capi di accusa

Il processo si divide in tre tronconi principali. Il primo riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che – inizialmente all’oscuro della Segreteria di Stato – mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il pieno controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Il secondo filone si concentra sul contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.
Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.

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La difesa di Tirabassi

Su cosa si poggia la difesa di Fabrizio Tirabassi? Sono tre i temi principali messi sul tavolo dall’avvocato Intrieri: l’impossibilità di fare qualunque scelta senza ricevere l’approvazione dei superiori; il fatto che tutti fossero consapevoli dell’operazione di Londra; il fatto che il processo si basa su premesse che sembrano piuttosto labili, e su quelle che l’avvocato ha chiamato “bugie”, mostrando invece carte che dimostravano il contrario. Sullo sfondo, quello che l’avvocato lamenta come “un pregiudizio” dell’ufficio del promotore di Giustizia, che invece si sarebbe lui stesso trovato in una situazione non chiara, tanto è vero che addirittura gli avvocati avrebbero pensato di ricusarlo.

Un processo simbolico e morale

Soprattutto, il limite è quello che ci si trova di fronte a un “processo morale”, simbolico di “uno slancio di rinnovamento” che vuole mostrare la Santa Sede, e che però ha il limite di tutti i processi simbolici “da Norimberga a Mani Pulite”, ovvero che “lo strumento del processo forza le ragioni del diritto”.

Allora “simbolo non è solo un processo, ma diventa archetipo di qualcosa, di un male di un fenomeno”, e in questo processo ci troviamo davanti “una singolare compagnia dell’anello”, in cui ci si trova davanti anche il suo assistito “definito da monsignor Perlasca un traffichino”.

Insomma, quando il sistema “non riesce a gestire i conflitti che si producono al suo interno, la vittima è una soluzione spiccia. L’espiazione di una colpa da parte di un uomo solo solleva i protagonisti della crisi dall’assunzione delle responsabilità e consente al sistema di non mettersi in discussione”.

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E così, il processo ha ricordato “in sedicesimo il processo della trattativa Stato – Mafia. Abbiamo dei rappresentanti dello Stato che trattano con un presunto estortore, riescono ad ottenere il risultato dell’obiettivo che gli è stato dato dall’alto, cioè di riportare a casa il tesoro, e poi finiscono tutti sotto processo”.

Le premesse del processo

L’avvocato Intrieri nota che tutti sapevano della vicenda del Palazzo di Londra, persino il Papa che infatti interviene, riceve l’arcivescovo Pena Parra, invia il suo amico Giuseppe Milanese a cercare di negoziare l’uscita di Torzi dalla gestione delle quote, eppure non lo sa il Promotore di Giustizia, che aspetta che lo chiamino mentre nemmeno il sostituto si fida.

E tutto nasce da una denuncia “striminzita” dello IOR e una del revisore che “in otto pagine, fa il resumé di una revisione fatta otto mesi prima e depositata già a gennaio 2019, in cui parla di GUTT (la società di Torzi, ndr), della trattativa per l’uscita dalle quote, e non si muove nessuno”.

In pratica, era da tempo che si lavorava perché la Santa Sede potesse riprendere il controllo del palazzo, c’è persino una foto del Papa a Santa Marta con Torzi a Natale 2018, e si trova in tutto “la presenza pervasiva di monsignor Perlasca”, uno “dei cinque-sei miracolati del processo”.

Eppure, quando il revisore deposita la sua revisione “nessuno si muove”, e invece ci si muove dopo che la Segreteria di Stato fa “una richiesta di mutuo”.

La posizione dello IOR

Anche il direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì – nota l’avvocato Intrieri – “sa tutto, viene informato anche della questione della possibilità di fare il prestito” e, nonostante dica che lui abbia saputo solo dopo della gestione societaria che si celava dietro Sloane Avenue, “purtroppo dice il falso”, perché “sa tutto, sa quanto è complicata la vicenda, sa i vari passaggi”.

Intrieri ricostruisce i passaggi, mostra la lettera del Cardinale Parolin in cui il Segretario di Stato “chiede il finanziamento, precisa la somma, la motiva ai fini istituzionali al fine di proteggere gli investimenti”, e a questo finanziamento “erano tutti incondizionatamente favorevoli”, ma questa richiesta resta nel cassetto, fino a un parere favorevole dello stesso IOR, tanto che “il 4 giugno 2019 il sostituto porta al Santo Padre una nota relativa all’estinzione del mutuo e dice che è riuscito a ottenere il prestito dello IOR. Troppo ottimista”.

Eppure “l’operazione in sé appariva economicamente motivata”, tanto che poi, da lì ad un anno, l’APSA e lo stesso IOR “concederanno il prestito alla Segreteria di Stato”, 17 milioni che in realtà coprono le perdite che la Segreteria di Stato ha subito nel pagare un mutuo oneroso a Cheyne Capital mentre lo IOR tergiversava,  questo testimonia che “Mammì è venuto a ribadire una posizione insostenibile sostenendo che non erano autorizzato a dare credito”, e invece lo erano.

E si arriva così “alla cosa più incredibile di tutte”, ovvero la riunione in Segreteria di Stato tra i vertici vaticani, quelli AIF e quelli di IOR. “Il presidente dello IOR de Franssu dice: “la abbiamo fatta per risolvere un problema. E avevano già presentato la denuncia”.

Le anomalie del processo

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Intrieri descrive anche le anomalie del processo, nota che nella questione del palazzo della Borsa di Budapest, altra vicenda finanziaria che vede lo IOR coinvolto, gli ex vertici dello IOR sono stati citati in giudizio per mala gestio, e in un processo civile, non in un processo penale. Ci si chiede allora perché si sia deciso addirittura di procedere penalmente, e con l’intervento di Papa Francesco con quattro  rescritti – a partire dal primo in cui si da allo IOR “il permesso di collaborare solo con il promotore di giustizia e nessun’altra autorità”, mentre vengono condotte perquisizioni, intercettazioni, persino interrogatori – nota Intrieri, ripercorrendo anche altre testimonianze processuali – “irregolari”, con il risultato che la Segreteria di Stato viene completamente trascurata, mentre “l’indagine del promotore parte dalla falsa verità del dottor Mammì che omette di indicare tutti i passaggi”.

Un grande complotto?

E allora come si arriva alla prima trattativa di Londra, quella che sposta il controllo delle quote dell’immobile da Mincione a Torzi? E come si arriva al totale controllo del palazzo operato da Torzi con le golden share, cioè le sole mille azioni con diritto di voto?

Torzi – nota Intrieri – ha “la convinzione di essere legittimato dall’esercizio della gestione che gli era stata promessa da Perlasca.” L’accusa, aggiunge l’avvocato, delinea un quadro in cui “Enrico Crasso, Gianluigi Torzi e Fabrizio Tirabassi” si muoverebbero in contrasto con le direttive che vengono loro date.

Ma l’indagine non ha tenuto conto di alcune deposizioni importanti, come la nota di Pena Parra, e ha preferito “una altra strada che ha visto irruzione sulla scena di personaggi equivoci che sarebbe stata messa da parte – come la signora Chaouqui, che sarebbe stato meglio di non sentire”, nasce con una denuncia “tardiva di Mammì”.

Intrieri delinea un quadro di pressioni, ricorda l’incarcerazione per otto giorni di Gianluigi Torzi in Vaticano, mette in luce che le intercettazioni autorizzate da un rescritto vengono disposte il 6 agosto, addirittura prima della denuncia del revisore dell’8 agosto, e si intercetta anche monsignor Mauro Carlino che “al tempo non era nemmeno conosciuto dal promotore di Giustizia”.

Le perdite della Segreteria di Stato

E intanto, nota Intrieri, i bilanci dello IOR “non sono brillanti”, e lo IOR fa calare drammaticamente il contributo dato alla Segreteria di Stato. L’attenzione, però, è sull’investimento di Londra, ma “dire che un investimento è illecito perché il risultato è stato sbagliato è scorretto finanziariamente e logicamente. Se avesse fatto guadagnare la Chiesa qualcuno avrebbe contestato il peculato?”

L’avvocato di Tirabassi lamenta l’interrogatorio “quasi intimidatorio” a Perlasca, paventa il dubbio che la signora Genevieve Ciferri (che aveva “guidato” monsignor Perlasca in alcune situazioni, e che è stata interrogata) abbia indirizzato a senso unico le indagini su Tirabassi, Crasso, il Cardinale Becciu, ricorda che Perlasca si sentisse minacciato eppure “non si è mosso nessuno, ed è un silezio che parla da solo”.

Sono tutte circostanze che fanno aleggiare sulla vicenda – sottolinea l’avvocato Intrieri – “il sospetto della ragione di Stato”.

Nel mezzo si trova Fabrizio Tirabassi, che in realtà – spiega Intrieri – fa le ragioni della Segreteria di Stato, durante la trattativa di Londra aspetta fino all’ultimo anche una firma del sostituto per chiudere l’operazione laddove la Segreteria di Stato “era solo per osservare, perché l’accordo doveva essere tra le altre società”, mentre Pena Parra arriverà poi ad avocare a sé tutta la gestione di Londra, come spiega nel memoriale. Eppure – nota Intrieri – “il sostituto non è mai stato interrogato in istruttoria”, sebbene consegni il memoriale in cui nota di “essere tenuto all’oscuro della trattativa”.

Poi c’è la trattativa con Torzi, la presunta estorsione, eppure il 3 per cento che si definisce, che però sarebbero una sorta di standard riconosciuto per la gestione e l’uscita della gestione. Se tutte queste sono le evidenze “si torna all’idea del capro espiatorio”

La gerarchia della Segreteria di Stato

L’avvocato Intrieri mostra due documenti del Cardinale Pietro Parolin, uno che richiede a Credit Suisse il rifinanziamento di un credito alla base delle trattative, e l’incarico di sostituto dato a Pena Parra, e in entrambi i casi si dettaglia il pieno potere di firma dato al promotore, anche “poteri di firma disgiunta su ogni contratto”.

In fondo, di fonte alla legge vaticana “l’unico responsabile di un determinato atto è il superiore”. Tirabassi poteva decidere da solo? No, nota Intrieri. Tirabassi voleva nascondere i suoi incontri? No, risponde ancora Intrieri, tanto è vero “la preparazione dei fatti di Londra è preceduta da una serie di incontri dei magnifici tre Giovannini, Intendente e Milanese con Tirabassi, ma anche due incontri in Segreteria di Stato, a metà e fine ottobre 2018”.

La posizione di Squillace

Secondo Intrieri anche l’avvocato Squillace “dice qualche bugia”, specialmente per quanto riguarda il suo ruolo nella trattativa di Londra.

Il 20 ottobre è stato sentito il legale di Squillace, che ha chiesto la assoluzione da tutte le imputazioni, dalla truffa all’appropriazione indebita, fino al riciclaggio perché il fatto contestato non sussiste. Su Squillace pende una richiesta di condanna a 6 anni di reclusione, con sospensione dall’esercizio della professione e una multa per 12.500 euro.

L’accusa contesta a Squillace di aver scritto il documento con tutte le risposte ai dubbi del sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Peña Parra sui contratti con i quali il controllo del palazzo di Londra passava, tra il 20 e il 22 novembre 2018, dal fondo Athena del broker Raffaele Mincione (imputato) alla società Gutt di Gianluigi Torzi (anche lui imputato).

Secondo l’avvocato, non c’è prova che Squillace abbia truffato la Segreteria di Stato, perché “ufficialmente non è mai stato incaricato di assisterla” , né si può rivendicare la paternità delle question and answers.

Insomma, la responsabilità di Squillace “deriva da un messaggio in cui dice a Torzi, sono stato tre ore al telefono con Tirabassi e domani arriva la procura” anche se non ne è sicuro.

Si è anche parlato di “truffa contrattuale”, ma il legale ha redatto, ricorda Bertacco, solo il Framework Agreement (Fa), che definiva l’uscita della Segreteria di Stato dal fondo Athena di Raffaele Mincione per entrare, per la gestione del palazzo di Londra, nella società Gutt con Gianluigi Torzi. E non lo Share Purchase Agreement (Spa), che lasciava a Torzi mille azioni con diritto di voto della società Gutt, che per sei mesi ha controllato il Palazzo di Sloane Avenue, lasciando alla Segreteria di Stato 30 mila azioni senza diritto di voto e senza controllo dell’immobile.

Sono comunque contratti “non ingannevoli né fraudolenti”, e la clausola delle golden share a Torzi “sono una clausola”, mentre non c’è traccia di scambi di email tra Squillace e Perlasca e Tirabassi, né la Segreteria di Stato, secondo l’avvocato, “ha tratto alcun pregiudizio economico dalla condotta di Squillace".

E Squillace non sarebbe responsabile della presunta estorsione di Torzi – dice l’avvocato – perché “non sapeva niente” della richiesta del suo assistito, e “di questo non si è occupato” nonostante fosse l’avvocato del broker, né ci sarebbe prova della contestata appropriazione indebita e successivo riciclaggio di circa 619 mila euro, perché la cifra è piuttosto

“è il totale dei trasferimenti da un conto di Squillace ad un altro, frutto di parcelle per rapporti professionali precedenti e successivi alla vicenda” del palazzo di Londra. La parcella richiesta di 350 mila euro alla Segreteria di Stato.

I prossimi appuntamenti

Come procederà il processo? L’8 novembre, alle 16, interverrà la difesa di Gianluigi Torzi, così come pure il 21 novembre. Il 9 e il 10 novembre sarà la volta dell’avvocato di Enrico Crasso. Il 20 novembre, i legali di monsignor Mauro Carlino, mentre il 22 novembre, e forse per un’oretta del 6 dicembre (insieme con la seconda parte dell’arringa del legale di Fabrizio Tirabassi), è prevista la difesa del cardinale Angelo Becciu. Il 4 e il 5 dicembre, toccherà infine ai legali di Raffaele Mincione.