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Letture, il santo barbone che sconvolse Roma San Giuseppe Benedetto Labre

Una nuova biografia del "povero delle quarantore"

La copertina del libro |  | Città Nuova La copertina del libro | | Città Nuova

Sul tavolo di un macellaio il 16 aprile 1783, nel rione Monti di Roma viene deposto un moribondo, dall’aspetto di barbone, di uno abituato a vivere in strada. Chi è? Lo conoscono tutti, è una specie di mendicante, che però il popolo ha imparato ad amare e che lo chiama già santo. Si chiama Benedetto Giuseppe Labre, viene dalla Francia, e fin da ragazzo viene cacciato cacciato da ogni convento a cui si è presentato come postulante, che però ha  trovato Dio lungo  le strade del mondo. Vive di elemosina, che distribuisce ai più poveri, gira come pellegrino per l'Europa, percorre a  piedi centinaia di chilometri e finisce a Roma sotto gli archi del Colosseo. Muore giovane, a 35 anni, sempre per strada, in realtà sulle scale di una chiesa romana. Quel  16 aprile, mercoledì santo, giorno a lui fatale, Benedetto riesce  a stento, fiaccato nel corpo, a trascinarsi dall’ospizio Mancini alla chiesa di Santa Maria ai Monti per ascoltare il racconto della Passione. In molti, vedendolo, pensano che non arriverà neppure  alla fine della celebrazione. Benedetto si accascia sulle scale della chiesa e viene portato a braccia in casa del macellaio Zaccarelli, che abita in via dei Serpenti e conosce bene il pellegrino. Lì, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, Benedetto muore sereno. Qualche giorno più tardi, il giorno dei suoi funerali,  una gran folla partecipa, come raccontano le cronache del tempo, bambini corrono per le strade della città urlando a gran voce che è morto “il santo”,  “il pellegrino della Madonna”, “il povero delle Quarantore”, “il penitente del Colosseo”, “il nuovo sant’Alessio”, “Benedetto, il santo francese!”.

Sembra la trama di un romanzo, ma è realtà, del resto la storia della Chiesa è costellata di storie simili, storie di uomini e donne umiliati,  emarginati, che diventano paradigmi viventi della misericordia divina, della grazia dello Spirito che soffia dove vuole. La storia di Benedetto Giuseppe Labre è ancora più straordinaria ed è raccontata con delicatezza e profondità da Mario Del Bello nella sua ultima opera letteraria dedicata appunto al “santo vagabondo” e pubblicata da Città Nuova.

Pensiamo a lui come verrebbe descritto secondo i canoni attuali: un vero perdente, un fallito, rifiutato persino da monasteri e conventi, senza fissa dimora, senza alcun bene materiale, di aspetto dimesso, se non sciatto e trasandato, senza relazioni sociali che contino. Eppure, al di là delle apparenze, spiritualmente, diventa un gigante, prega con tanta intensità da trasfigurarsi e "diventare simile a Gesù", come spiegano testimoni dell’epoca  e come emerge dall’appassionate e appassionato racconto di Del Bello, il quale riesce a rendere viva, agli occhi del lettore, un’epoca così ricca di contraddizioni, protesa verso una modernità ancora tutta da costruire e convita di poter contare sulla ragione per sconfiggere i mali dell’uomo, quel Settecento dei Lumi che però si regge ancora su tanta miseria e disperazione, sulla povertà di molti e sui privilegi di pochi, su guerre e carestie, feroci persecuzioni e illusioni di cambiamento , rivoluzioni che finiranno nel sangue e in nuove dittature.

Emerge soprattutto il volto di una Roma sontuosa e stracciona, percorsa da personaggi di ogni genere, santi e briganti, artisti e assassini…Una folla variopinta, una corrente di vita pulsante, in cui si mescolano costantemente gioie e dolori, squallore e grandezza, in cui il pellegrino Benedetto si getta, si immerge, senza che nulla gli sia estraneo, con uno sguardo che tutto abbraccia, tutto comprende, tutto chiede. Tornano in mente le parole di don Giussani, quando definisce il vero credente come “un mendicante”, un mendicante sempre in attesa alla porta aperta della misericordia divina.

Qualche mese dopo la sua morte, tutta l’Europa cristiana già definisce  Benedetto Labre come un santo. La beatificazione però avviene il 20 maggio 1860 con  Pio IX e la canonizzazione  l’8 dicembre 1881 per opera di  Leone XIII.

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Un particolare che ci commuove e ci dimostra, una volta di più, la potenza dell’intuizione artistica. Il giorno della canonizzazione di Labre , il poeta  Paul Verlaine, che si era recato in pellegrinaggio ad Amettes nel 1877, compose una poesia in onore del nuovo santo.  In questi versi Verlaine, il più grande poeta francese dopo Baudelaire, l'amico di Rimbaud, il capostipite di tutti gli "artisti maledetti" a venire, riversa tutta l’ammirazione, di più, la commozione di rivedere in lui una specie di anima gemella, brutto, anzi "orribile" agli occhi dei benpensanti. "Come è buona la Chiesa in questo secolo di odio, /d’orgoglio e d’avarizia e di tutti i peccati, /a esaltare oggi il nascosto fra i nascosti,/il dolce fra i dolci dinanzi all’ignoranza umana", dichiara e conclude con un’immagine potente, per dimostra alla mentalità mondana quanto è falsa e bugiarda,  "che i piedi, creduti d’oro /e d’argento, sono d’argilla", e che infine un grido così “inattuale” su  "come è piena di tenerezza la Chiesa, e quanto Gesù è forte!"

 

Mario Del Bello, Benedetto Giuseppe Labre. La strana storia del barbone di Dio, Edizioni Città Nuova, pp.144, euro 15,90