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Hong Kong, comincia oggi la visita dell’arcivescovo di Pechino

Dopo che il Cardinale Chow era stato nella capitale, è l’arcivescovo di Pechino a restituire la visita. Cinque giorni di viaggio, per continuare a costruire ponti

Cardinale Chow | Il cardinale Stephan Chow, sj, vescovo di Hong Kong | Daniel Ibanez / ACI Group Cardinale Chow | Il cardinale Stephan Chow, sj, vescovo di Hong Kong | Daniel Ibanez / ACI Group

Dopo la visita del vescovo di Hong Kong Stephan Chow a Pechino lo scorso aprile, da oggi è l’arcivescovo di Pechino Giuseppe Li Shan a restituire la visita, in quello che si dimostra essere un ponte molto ben delineato tra la diocesi di Hong Kong e Pechino, tra la parte della Chiesa cinese storicamente più indipendente e la Chiesa più legata al governo. L’arcivescovo Giuseppe Li Shan di Pechino sarà ad Hong Kong cinque giorni, per un viaggio che sembra l’ennesimo ponte gettato alla Cina dalla Santa Sede, durante il quale vedrà, secondo l’annuncio, “il Cardinale Chow e diversi officiali della Chiesa di Hong Kong”.

Nel sito ufficiale della diocesi di Hong Kong, l’arcivescovo Li Shan è definito solo come arcivescovo di Pechino. Ma è anche il presidente dell’Associazione Patriottica, l’associazione governativa cui i vescovi sono chiamati ad iscriversi dal governo cinese in quello che è un processo di sinizzazione forzato, e che ha creato il divario tra Chiesa ufficiale e Chiesa sotterranea che ha dato fuoco alla narrativa sulla Chiesa in Cina. Una circostanza, questa, che ha portato il Cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong e tra i più strenui oppositori del governo cinese di cui mette in luce in particolare le violazioni della libertà religiosa, a far sapere che no, non parteciperà alla Messa che sarà celebrata dall’arcivescovo di Pechino.

Il cardinale Stephen Chow Sau-yan, vescovo di Hong Kong, porta avanti però la politica di creare ponti, che è quella che gli ha chiesto Papa Francesco. Lo stesso Papa ha voluto lui e il suo predecessore, il Cardinale John Tong Hon, sull’altare con lui alla fine della Messa conclusiva di Ulaanbatar, in un segno che voleva essere sia di sostegno che di raccomandazione ai cattolici di Cina perché fossero “buoni cittadini”.

Parlando alla diocesi al suo ritorno dal Sinodo, il Cardinale Chow ha detto che il ponte con la Cina continentale non è una strategia politica, ma affonda le sue radici nella comunione trinitaria che è alla radice della Chiesa.

D’altronde, la visita di Chow ad aprile non fu nemmeno messa a rischio dallo “schiaffo” della nomina unilaterale del governo cinese di monsignor Shen Bin a vescovo di Shanghai, nomina poi sanata dal Santo Padre nella volontà di continuare a costruire ponti di dialogo. “Il mio ruolo – ha detto il Cardinale Chow, riportato da Asia News – è ascoltare di più e di parlare con chiarezza”.

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Il cardinale Chow, nell’omelia, ha rilanciato l’immagine della Chiesa “ospedale da campo”, chiamati ad essere “ponte d’amore per il Signore e lavorare per la riconciliazione e la comunione”.

Il cardinale ha anche raccontato che quando il Papa gli ha sussurrato all’orecchio dopo averli imposto la berretta e consegnato l’anello cardinalizio, gli ha semplicemente “parlato della missione con la Cina”, perché “Hong Kong ha svolto a lungo un importante ruolo di ponte tra l'Oriente e l'Occidente. Anche alla Chiesa cattolica di Hong Kong è stato affidato già da papa Giovanni Paolo II il ruolo di Chiesa ponte, soprattutto per collegare la Chiesa della Cina continentale con la Chiesa universale. E per noi cristiani, questo collegamento è inteso alla luce della comunione, basata sulla Santa Trinità e sull'Eucaristia. Condividiamo un solo Amore, una sola Vita e un solo Corpo”.

Il Cardinale Chow ha sottolineato che essere ponte “è una missione che non vale solo per i rapporti con la Chiesa continentale”, ma anche essere ponte alla società, e il modello è quello del Sinodo, dove si è imparato “ad entrare in contatto con partecipanti il cui punto di vista, su alcune questioni critiche, era chiaramente diverso dal nostro.  Ci sono state divergenze, che abbiamo rispettato. Ma le divergenze non ci hanno impedito di riconoscere le convergenze su cui poterci incontrare”.