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Shoah di Ungheria, una task force di studiosi negli archivi vaticani

Papa Francesco la ha citata nel suo discorso alle autorità a Budapest. Ora, gli archivi di Pio XII permettono di fare nuova luce sulla vicenda. E così, si è creata una task force di studiosi

Deportazione ebrei ungheresi | Un momento della deportazione degli Ebrei di Ungheria nel 1944 | Wikimedia Commons Deportazione ebrei ungheresi | Un momento della deportazione degli Ebrei di Ungheria nel 1944 | Wikimedia Commons

Durante il suo viaggio a Budapest, Papa Francesco aveva citato la persecuzione degli ebrei ungheresi nel suo discorso alle autorità. Ma aveva anche ricordato i tanti giusti valorosi, a partire dal nunzio Angelo Rotta, e la resilienza che aveva portato a ricostruire. Oggi, Budapest ospita la sinagoga più grande di Europa, è uno dei Paesi con la maggior percentuale di popolazione ebraica, e guarda agli eventi della Shoah ungherese con la volontà di fare chiarezza su quella che è una pagina ancora tutta da definire della storia di Ungheria.

Per questo, dal 30 novembre 2022 c’è un gruppo di ricerca ungherese per indagare sulla persecuzione degli Ebrei ungheresi nel XX secolo. A guidare il gruppo è Krisztina Tóth, delegata speciale per la cooperazione archivistica dell’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede. Il gruppo è costituito dai ricercatori inviati da diverse istituzioni ungheresi per scandagliare gli archivi vaticani del pontificato di Pio XII, recentemente aperto agli storici. Le istituzioni coinvolte sono l’Archivio Nazionale Ungherese, il Centro di Ricerca per le Scienze Sociali, l’Istituto per gli Studi delle Minoranze, il Centro di Ricerca Umanistica, l’Istituto di Storia e il Centro per la Memoria dell’Olocausto. A questo gruppo, si aggiungerà in una fase successiva l’Istituto Ungherese di Storia Ebraica.

In particolare, due di questi ricercatori - László Karsai e Attila Jakab – hanno trascorso l’autunno a Roma negli archivi vaticani, ad esplorare anche la nuova serie di fonti resa disponibile dalla Santa Sede nel 2022, fonti che contenevano lettere di richiesta di aiuto di cristiani e israeliti in fuga dalla persecuzione nazifascista e le bozze di risposta a queste richieste. È la cosiddetta “Serie Ebrei” inclusa nell’Archivio Storico della Segreteria di Stato vaticana, che non è ordinata per Paese, ma indicizzata in ordine alfabetico sulle persone che hanno chiesto aiuto.

Ci sono molti riferimenti ad ebrei ungheresi in questa serie, che si aggiungono alle diverse fonti relative agli ebrei ungheresi, fornendo un quadro completo insieme al materiale relativo agli archivi ungheresi.

Ma perché questa ricerca è così importante? Perché la deportazione degli Ebrei ungheresi è una delle pagine di storia più controverse e dolorose per l’Ungheria. All’inizio del 1944, c’erano 725 mila ebrei in Ungheria. Dopo l’annientamento delle comunità ebraiche di Unione Sovietica e Polonia, la comunità ebrea ungherese era la più grande comunità esistente in Europa.

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Era questa la situazione quando Hitler ordinò l’occupazione del Paese, nel timore che gli ungheresi abbandonassero il conflitto, e allo stesso tempo inviò i funzionari dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich con il compito di procedere alla deportazione degli ebrei di Ungheria, un compito così delicato che la responsabilità venne affidata ad Adolf Eichmann in persona.

Ed Eichmann, per evitare casi come quello della fuga degli ebrei danesi dell’ottobre 1943 e della rivolta del ghetto di Varsavia di aprile – maggio 1943 coinvolse le forze locali dopo averne superato le resistenze e lasciò la capitale per ultima.

Così, il Paese fu diviso in cinque zone più la zona della capitale, rastrellate con la scusa di operazioni belliche. Gli ebrei furono deportati ad Auschwitz, Birkenau e in vari altri campi, per un totale di 438 mila ebrei ungheresi.

Insomma, è importante comprendere la storia, definire le responsabilità, comprendere anche il ruolo degli Ebrei ungheresi e della Santa Sede. Ma cosa hanno trovato gli storici che sono stati a Roma in autunno?

László Karsai dirige il team di ricerca degli Archivi Yad Vashem in Ungheria dal 1994. È entrato nel progetto inviato dal Centro di Ricerca per le Scienze Sociali e l’Istituto per gli Studi sulle minoranze, scelto come loro rappresentante anche se non lavora là. Karsai è un ricercatore di fama internazionale sull’Olocausto degli zingari e degli ebrei di Ungheria e sulla storia dei movimenti di estrema destra ungheresi, in particolare del Partito della Croce Frecciata, che fu costituito come per appoggiare il governo filonazista dell’Ungheria occupata.

Durante la sua ricerca nell’Archivio Storico della Segreteria di Stato, Karsai ha trovato 15 nuovi documenti mai pubblicati, i quali – spiega ad ACI Stampa – “dipingono un quadro estremamente vivido della persecuzione e del massacro di massa degli ebrei, organizzato e deliberato. D’altra parte, sembra che Pio XII fosse circondato da persone, come Angelo Dell’Acqua, per altro molto attivo durante la guerra nel salvataggio di alcuni israeliti convertiti al cattolicesimo, che non erano lontani dall’antigiudaismo”.

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Karsai ritiene che dai documenti ora scoperti risulti chiaro che fu soprattutto grazie alle pressioni del governo americano e di varie organizzazioni ebraiche che Pio XII fu finalmente disposto a inviare al governatore Horthy, il 25 giugno 1944, un telegramma relativamente cauto in favore degli ebrei ungheresi per fermare la loro deportazione.

Karsai ha citato anche il rapporto dettagliato dell'8 dicembre 1944 del nunzio a Budapest, Angelo Rotta, scritto da Hegyeshalom, sulle marce della morte, aggiungendo: “A mio parere personale, alcune parti del suo racconto sono consigliate solo a lettori con nervi molto saldi.”

Karsai ha esaminato tra gli altri anche nell’Archivum Romanum Societatis Iesu le carte del gesuita Padre Tacchi Venturi.

Questo materiale completa bene i 2800 casi pubblicati negli imponenti volumi della serie "Ebrei". I sostenitori dei singoli supplicanti e richiedenti aiuto ungheresi sono spesso vescovi e arcivescovi cattolici (quindi prelati di alto rango).

In alcuni casi, non conoscevano personalmente l’ebreo convertito perseguitato, ma lo conoscevano solo attraverso il suo confessore o la moglie e il marito italiani. Alcuni dei richiedenti erano emigrati in Italia negli Anni Venti del secolo scorso per sfuggire alla legge ungherese del numerus clausus La norma commisurò l’accesso agli studi superiori delle varie nazionalità alla loro incidenza sulla popolazione, riducendo così la percentuale degli studenti di religione o di origine ebraica dal 30 a circa l’8-10% per tutto il periodo interbellico.

In Italia, gli ebrei ungheresi poterono iscriversi alle varie università, e naturalmente fecero amicizia, e più di uno di loro si sposò o convolò a nozze con un cittadino italiano non ebreo. Tutto questo cambiò nel 1938-1939, dopo l'introduzione delle leggi antisemite italiane.

Queste lettere e petizioni sono indispensabili per scoprire la rete di contatti di Tacchi Venturi. È quasi incredibile l'impegno con cui lavorava, come si evince dal fatto che a volte cercava di aiutare diversi ebrei in un solo giorno, scrivendo lunghe lettere con motivazioni dettagliate. Se necessario, e se vedeva una speranza di successo, si spingeva fino ai livelli più alti del Ministero degli Interni e del Ministero degli Affari Esteri per conto di un ebreo.  Nel caso di diversi perseguitati, descriveva anche brevemente e informava le autorità vaticane perché non vedeva alcuna speranza di intercedere.

L’altro ricercatore venuto a Roma è Attila Jakab, che dal 2017 lavora presso il Centro Memoriale dell'Olocausto, un'istituzione che elabora e conserva la storia della persecuzione moderna degli ebrei ungheresi, dei cittadini che sono stati dichiarati ebrei per motivi razziali, e il percorso che ha portato a questa persecuzione, nonché le sue conseguenze. Tra i principali interessi di Jakab, l'antisemitismo ecclesiastico e l'immagine dell'ebraismo nell'epoca di Horthy e il rapporto tra ebraismo e antico cristianesimo. Nel 2021, ad esempio, ha scritto un libro in ungherese intitolato "Servire la pace, la tranquillità e la sicurezza del paese, La stampa ecclesiastica ungherese durante le leggi ebraiche (1938-1942)”.

Secondo Jakab, che studiato sia all’Archivio Storico della Segreteria di Stato che all’Archivio Apostolico Vaticano, “l’apertura degli archivi vaticani riguardanti del pontificato di Pio XII offre al ricercatore uno spaccato della diplomazia in un periodo di guerra. La rete diplomatica della Santa Sede, attraverso le nunziature, gestiva e deteneva una vasta quantità di informazioni. Le nunziature fungevano da snodi della rete informativa”.

Secondo Jakab, serve un nuovo approccio al periodo e a come la Santa Sede lo ha affrontato. “Nella Santa Sede - spiega Jakab - prevalevano soprattutto le strategie ecclesiastiche, mentre il mondo in guerra - e soprattutto gli ebrei, perseguitati e condannati all'annientamento fisico dai nazisti e dai loro alleati - guardava al Papa e alla Santa Sede come autorità morale. Questo portò a una contraddizione irrisolvibile, che alcuni ecclesiastici (ad esempio i nunzi Cassulo di Bucarest o Rotta di Budapest, che entrarono in contatto con la persecuzione degli ebrei) cercarono di risolvere sulla base dei loro valori umani individuali”.

Jakab ha aggiunto che “le varie organizzazioni ebraiche europee cercarono di raccogliere informazioni e di inviarle alla Santa Sede, chiedendo aiuto al Papa. Da parte loro, queste organizzazioni fecero del loro meglio. Purtroppo, non avevano né i mezzi né il margine di manovra.

A mio avviso, al di là del Papa stesso, varrebbe la pena di concentrarsi sui diversi livelli della diplomazia vaticana, in particolare sulle attività e le posizioni della Segreteria di Stato dell'epoca. La gestione e l'elaborazione delle innumerevoli domande individuali ricevute potrebbe essere d'aiuto in questo senso. In effetti, i documenti del nunzio Cassulo a Bucarest mostrano che furono ricevute molte richieste individuali di assistenza”.

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Tuttavia, Jakab sostiene che è chiaro “che la Santa Sede fece del suo meglio per garantire la vita religiosa indisturbata degli ebrei battezzati, ma non superò la categorizzazione razziale secondo cui gli ebrei battezzati erano prima di tutto ebrei e solo dopo cristiani.”

La guida del progetto di ricerca è Krisztina Tóth, la cui area professionale di specializzazione è il Novecento e da oltre dieci anni le relazioni tra l'Ungheria e la Santa Sede nel XX secolo.

Più recentemente, Tóth ha scritto un saggio su Margit Slachta (fondatrice delle Suore del Servizio Sociale) sulle sue strategie per rispondere alla crisi dei tempi. Per questo, ha esaminato il materiale relativo nell'Archivio Storico della Segreteria di Stato.

Questo studio non riguarda solo alla deportazione degli ebrei slovacchi e la strategia di Slachta di salvarli, ma tutta la questione delle deportazioni vaticane. “Il Vaticano – ha spiegato -  era già stato informato delle deportazioni previste in Slovacchia da diverse fonti, dapprima/primo luogo dal nunzio apostolico a Budapest il 26 febbraio 1943, lettera che era certamente in possesso della Segreteria di Stato il 2 marzo. Tuttavia, solo il 6 marzo Giuseppe Burzio, rappresentante della Santa Sede in Slovacchia, fu incaricato di prendere le misure necessarie: se la notizia si fosse rivelata vera, fare ogni sforzo presso il governo per salvarli”.

Secondo Tóth, “a questo potrebbe aver contribuito il fatto che il 5 marzo Margit Slachta portò la sua petizione in favore degli ebrei slovacchi perseguitati alla Segreteria di Stato. Tuttavia, in quel momento Mons. Burzio non vide la necessità di intervenire, ma quando lo fece, in aprile, fece riferimento all'istruzione della Segreteria di Stato del 6 marzo. Ha quindi parlato con il Ministro degli Esteri slovacco. Anche se lui non è stato convinto, il Consiglio dei Ministri ha infine accettato di sospendere l'espulsione di 4.000 persone (ordinata dal Ministro degli Interni). Quindi, anche se indirettamente, gli sforzi di Margit Slachta contribuirono che Burzio fosse incaricato di parlare in favore degli ebrei e che le deportazioni fossero finalmente interrotte”.

Finora, il gruppo di ricerca ha raccolto tutti ciò che ha un riferimento all’Ungheria della “Serie Ebrei”. Le fonti saranno presto pubblicate, con regesti e note a pie’ di pagina.

La collezione di fonti non copre solo le lettere di richiesta provenienti dal territorio dell’Ungheria storica, ma anche ad ungheresi che si erano stabilite in Italia. I riferimenti sono a volte inclusi sotto un unico nome, ma che copre più casi.

Il materiale di Ebrei si concentra sugli anni 1938-1941, quando in diversi paesi vennero approvate leggi antiebraiche e le persone interessate cercarono di ottenerne l'esenzione o venendo dichiarate cristiane ariane/esentate dalle leggi ebraiche, o emigrando. Molti volevano visti per i paesi del Sud America, soprattutto per il Brasile, per i quali speravano nell'aiuto della Sede Apostolica, non invano.

Il Brasile, attraverso la sua ambasciata presso la Santa Sede, offrì 3.000 visti a coloro che erano stati battezzati da almeno tre anni. C'era, però, chi aspettava il visto per attraversare diversi paesi verso l'America, o chi era stato internato nei campi in Italia e voleva essere collocato in un campo con le proprie famiglie. C'era anche chi chiedeva lavoro o aiuti/soccorso. Questo quadro è ben completato del materiale di altre serie dello stesso archivio e anche del materiale di diversi altri archivi a Roma e negli archivi ungheresi.

“Tra i nostri obiettivi – conclude Tóth-  c’è quello di organizzare un convegno in occasione dell’80esimo anniversario del Olocausto con relatori che sintetizzano i risultati dalle fonti locali con i risultati dagli archivi vaticani e romani”.