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Finanze vaticane, che significa la condanna dell’ex revisore generale vaticano?

Libero Milone aveva fatto causa alla Segreteria di Stato. È stato invece condannato ad un risarcimento. Ma la stagione dei processi non è ancora terminata

Revisore Generale | L'ingresso dell'ufficio del Revisore Generale in Vaticano | Vatican Media Revisore Generale | L'ingresso dell'ufficio del Revisore Generale in Vaticano | Vatican Media

Nessun risarcimento per l’ex revisore generale della Santa Sede Libero Milone e la famiglia del suo vice Ferruccio Panicco, deceduto nel corso del processo. Anzi, lo stesso Milone e la famiglia di Panicco sono stati condannati a pagare 110 mila euro come risarcimento alla Segreteria di Stato e all’ufficio del Revisore Generale.

La sentenza del processo, arrivata lo scorso 24 gennaio, non chiude il ciclo dei processi finanziari vaticani, perché è ancora in corso il processo che riguarda la gestione del Coro della Cappella Sistina e che vede imputati l’ex amministratore Nardella e l’ex maestro della Cappella Massimo Palombella.

Tuttavia, la questione della Sistina è diversa, e scollegata, da quella che ha toccato il processo iniziato da Libero Milone e quello che ha riguardato la gestione dei fondi della Segreteria di Stato e che aveva al centro un investimento sul Palazzo di Londra.

L’ex revisore generale ha denunciato la Segreteria di Stato per un licenziamento ingiusto, arrivato all’improvviso nel 2017, e fatto trapelare sui giornali che aveva le prove di possibili malversazioni o cattive gestioni da parte di enti apicali, a partire dalla Segreteria di Stato stessa. Il processo sul palazzo di Londra nasce da una denuncia del direttore dell’Istituto delle Opere di Religione Gianfranco Mammì, dopo che lo stesso IOR ha rifiutato un prestito alla Segreteria di Stato, e da una del revisore generale che è succeduto a Milone alla guida dell’ufficio.

Due denunce arrivate nel 2019, appena due anni dopo la cacciata di Milone. Nel processo del Palazzo di Londra, la Segreteria di Stato, che pure ha protetto l’investimento su indicazioni del Papa, si è costituita parte civile, e monsignor Mauro Carlino, segretario del sostituto all’epoca dei fatti, è stato completamente assolto. Non il Cardinale Angelo Becciu, sostituto all’epoca dei fatti e sostituto anche quando gli toccò il compito di dare il benservito a Milone, condannato per un peculato difficile da definire senza un passaggio di denaro chiaro (e sarà la sentenza eventualmente a dire cosa ha visto il Tribunale in un comportamento che non costituisce reato).

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Tra il processo del palazzo di Londra e quello intentato da Libero Milone, che ha presentato la denuncia proprio mentre l’altro processo si celebrava, si trovano, dunque, assonanze e contraddizioni, e l’idea è che la questione non sia finita qui. Anzi, che ci sia molto da capire ancora su come il processo di trasparenza vaticana ha operato per tentativi ed errori, fino ad avere una sentenza (quella di Milone) che difende il sistema allora in essere e un’altra sentenza (quella del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato) che lo mette in discussione fino a scardinarlo, dando allo Stato della Città del Vaticano più peso della Santa Sede e ai magistrati vaticani un peso che sembra andare al di là anche di quello degli organi di governo.

Cosa avevano denunciato Milone e Panicco? Avevano chiesto un risarcimento di 9,3 milioni di euro, sottolineando di essere stati in pratica rimossi dalla Gendarmeria vaticana perché forzati a dimettersi o altrimenti sarebbero stati arrestati per il loro lavoro di investigazione e vigilanza sulle finanze della Santa Sede.

Ma no, secondo il Tribunale la Segreteria di Stato non può essere considerata responsabile per il danno sofferto da Milone e il suo vice, Ferruccio Panicco, il quale tra l’altro è morto di cancro durante il processo nel 2023.

Panicco aveva denunciato che l’aggravarsi della patologia che lo aveva portato alla morte è derivato anche dal fatto che la Gendarmeria ha requisito senza motivo i risultati delle sue analisi fatte al FAS vaticano e non gliele ha mai restituite, costringendolo a rifare il percorso diagnostico e facendogli perdere così tempo prezioso nella lotta contro il tumore.

Nella denuncia, i due revisori avevano sottolineato di aver scoperto una malpratica finanziaria nel “nido di vipere” del Vaticano dopo che Papa Francesco ha cominciato il processo di trasparenza finanziaria, e di essere stati costretti a dimettersi perché alcuni cardinali e monsignori si erano “sentiti minacciati dalle indagini o da semplici richieste di chiarificazione”. Secondo i due ex revisori, l’allora sostituto Angelo Becciu era colui che aveva orchestrato la loro cacciata. Il Tribunale, invece, sostiene che Becciu non stava agendo nel suo titolo ufficiale mentre aveva a che fare con loro.

Milone, che aveva gestito le operazioni in Italia della società di auditing Deloitte, fu nominato capo dell’Ufficio del Revisore Generale vaticano nel 2015. La Sala Stampa della Santa Sede ne annunciò le dimissioni nel 2017 accusando di aver ingaggiato illegalmente una compagnia esterna per spiare le linee private del personale vaticano. Secondo Milone, quel lavoro di raccolta di informazioni coinvolgeva consulenze legittime parte dello statuto del loro ufficio.

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La denuncia di Milone e Panicco metteva sotto accusa sia il Segretario di Stato che il nuovo revisore generale, e indicava in Becciu colui che più di tutti ha resistito ai suoi sforzi di avere una revisione esterna sul portafoglio di 600 milioni di euro in dotazione alla Segreteria di Stato.

Becciu ha fatto sapere tramite i suoi avvocati di aver già spiegato che era stato Papa Francesco in persona a volere le dimissioni di Milone perché il Papa aveva perso la fiducia in lui. Una richiesta, in fondo, che Papa Francesco aveva fatto allo stesso Becciu quando gli chiese di dimettersi e rinunciare alle prerogative cardinalizie nel settembre 2019 perché aveva perso fiducia in lui.

Se però la questione riguardava l’autonomia della Segreteria di Stato, va notato che in quei tempi si lavorava su un difficile equilibrio e che la stessa Segreteria di Stato dovette rinegoziare un accordo che la Segreteria per l’Economia aveva siglato con Price Waterhousecooper per una revisione esterna dei conti della Segreteria di Stato. Anche in quel caso, Becciu era stato considerato il grande nemico dal Cardinale George Pell, allora prefetto della Segreteria.

Di fatto, però, c’era un dibattito che cercava di dare alla necessaria riforma verso la trasparenza un equilibrio, considerando che la Segreteria di Stato è organo di Stato, e che dunque non tutto può e deve essere sottoposto a revisione. Era necessario, insomma, ridefinire le competenze, ricordando che la Santa Sede è prima di tutto una entità statale, e non una azienda.

Interessante è notare che la sentenza finale del processo Milone accetta la difesa delle prerogative della Segreteria di Stato, mentre quella sul processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato ha, di fatto, smantellato l’amministrazione della Segreteria stessa.

La prima udienza del processo si era svolta il 25 gennaio 2023 e in quell’occasione le difese avevano dichiarato l’“improcedibilità” dell'azione civile per ritardi e indeterminatezze e si erano appellati alla prescrizione, sottolineando anche l’ipotesi di non autenticità della documentazione depositata da Milone e Panicco qualche giorno prima.

A distanza di un anno esatto, il Tribunale ha emesso la sua sentenza - depositata nei giorni scorsi. Viene dunque rigettata la domanda di condanna della Segreteria di Stato al pagamento di 750 mila euro in favore Milone e di 720 mila euro in favore di Panicco a titolo di retribuzione dovuta per contratto; rigettata la domanda di condanna sempre della SdS al risarcimento del lucro cessante (il mancato guadagno) di 520 mila euro a Milone e di 288 mila euro a Panicco; rigettata la domanda di condanna della Segreteria di Stato al risarcimento di un milione e mezzo in favore di Milone e di un milione in favore di Panicco, e di 500 mila euro per ciascuna delle due famiglie, per vulnus all’onore ed alla reputazione degli attori. Rigettata pure la domanda di condanna al risarcimento di 3 milioni e mezzo in favore di Panicco per il danno patito a causa della sottrazione e mancata restituzione della documentazione medica.

E questo perché le Segreteria di Stato non può essere ascrivibile dei fatti imputati, e – si legge nel dispositivo – “tantomeno condotte causative del danno sono imputabili a soggetti che abbiano agito nel nome e per conto della Segreteria di Stato”.

Nel medesimo verdetto si condanna quindi Milone alla “refusione in favore delle parti convenute delle competenze del presente grado del giudizio che, per l'intero, liquida in complessivi euro 49.336,00, dei quali euro 24.668,00 nei confronti della Segreteria di Stato della Santa Sede e euro 24.668,00 nei confronti dell'Ufficio del Revisore Generale”.

Condanna pure per gli aventi causa di Panicco alla refusione in favore delle parti convenute liquidati in complessivi 64.140 euro (32.070 alla Segreteria di Stato e 32.070 all’Ufficio del Revisore Generale).