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Diplomazia pontificia, lo sguardo verso i Balcani e la Turchia

Il “ministro degli Esteri” vaticano in Turchia per l’Antalya Forum. Il dibattito sulla presenza del Kosovo a Roma. La situazione in Medio Oriente.

Gallagher, Bartolomeo | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, Fanar, 29 febbraio 2024 | X @ecupatriarch Gallagher, Bartolomeo | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, Fanar, 29 febbraio 2024 | X @ecupatriarch

Un viaggio in Turchia, dove ha incontrato anche il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, e dove partecipa fino al 2 marzo all’Antalya Diplomatic Forum. L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, inaugura con questo viaggio un periodo intenso, che lo porterà prima in Montenegro e poi addirittura in Vietnam, forse persino a preparare un viaggio del Papa nel Paese.

Lo sguardo della Santa Sede è rivolto comunque verso i Balcani. Da gennaio, c’è un dibattito aperto sul Kosovo. Da quando, insomma, il Kosovo ha fatto sapere di voler aprire una missione speciale presso la Santa Sede. Tuttavia, sebbene la Santa Sede abbia rapporti cordiali con il Kosovo (Parolin è stato in visita nel 2019) non ha mai riconosciuto lo Stato, e non lo farà finché al situazione sarà controversa. A causa della peculiare situazione del Kosovo e del fatto che questo non è uno Stato riconosciuto dalla Santa Sede, non si può trattare di una vera e propria missione diplomatica. Si tratta, piuttosto, di un ufficio di liaison.

                                   FOCUS DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE

L’arcivescovo Gallagher in Turchia per l’Antalya Diplomacy Forum

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, è partito per la Turchia lo scorso 28 febbraio, per partecipare all’Antalya Diplomacy Forum. Giunto alla terza edizione, il forum è sotto gli auspici del presidente della Repubblica Erdogan, e quest’anno ha come tema “Far avanzare la diplomazia in tempi turbolenti”. L’idea è quella di riunire esperti diplomatici di tutto il mondo per trovare soluzioni comuni in tempi di crisi.

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L’arcivescovo Gallagher ha incontrato anche il 29 febbraio il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I.

Nella omelia della Messa celebrata nella cattedrale di Istanbul il 28 febbraio, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che “nella attuale congiuntura internazionale, che non è poco difficile, in un contesto internazionale che il Santo Padre ha a lungo definito come una terza guerra mondiale a pezzi, siamo chiamati prima di tutto ad essere cristiani autentici, capaci di essere guidati dallo Spirito, senza cedere alla tentazione di resistere a Lui. Lo Spirito Santo, sappiamo, scompiglia i nostri piani e progetti e fa avanzare la Chiesa. Perché la Chiesa è unità nella diversità”.

Il “ministro degli Esteri” vaticano si è detto anche contento di incontrare la comunità cattolica di Turchia in quella che è conosciuta come “la Terra Santa del Nuovo Testamento”, dove si sono tenuti i primi otto concili ecumenici della Chiesa.

Ha detto Gallagher, rivolgendosi anche alle altre comunità cristiane, che “come cristiani, facciamo tutti parte della stessa famiglia dei figli di Dio e condividiamo la stessa fede in Cristo e nella Chiesa che egli ha fondato. Continuiamo a procedere insieme”.

Il 1700esimo anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea è stato definito dal presule una “occasione propizia” per “rafforzare la nostra unità come membri della Chiesa di Cristo”, e l’auspicio è che la “imminente celebrazione dell’anniversario rafforzi la fede di tutti i cristiani”.

Bilaterale Gallagher – Bayramov

More in Mondo

Ai margini dell’Antalya Diplomacy Forum 2024, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha avuto anche un incontro bilaterale con il ministro degli Esteri dell’Azerbaijan Bayramov Jeyhun. Secondo il ministero degli Esteri di Baku, le due parti hanno “discusso un ampio raggio di questioni riguardanti la cooperazione e il processo di normalizzazione Azerbaijan – Armenia”.

                                                           FOCUS KOSOVO

 Santa Sede e Kosovo, passi avanti

Tra i bilaterali tenuti a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, è passato un po’ inosservato quello che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti degli Stati, ha avuto con Donika Gërvalla, Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri e della Diaspora della Repubblica del Kosovo.

Un comunicato del ministero sottolinea che i temi centrali dell’incontro sono stati i progressi visibili nei rapporti tra Kosovo e Santa Sede e la cooperazione in settori di interesse comune. Durante questo incontro – si legge in un comunicato del ministero – “il Ministro Gërvalla ha informato il Segretario Gallahgher sui progressi del Kosovo nello sviluppo della democrazia, dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini, dello sviluppo economico, della situazione nei Balcani occidentali, nonché dei processi di integrazione che il Sta attraversando la Repubblica del Kosovo”.

Il bilaterale arrivava a un mese dell’annuncio della presidente del Kosovo Vjosa Osmani che sarebbe stata aperta una missione speciale del Kosovo in Vaticano. Secondo un comunicato di Osmani, l’apertura di questa “casa diplomatica” viene a seguito di “de anni di intensi sforzi insieme alla leadership del Vaticano”.

La Santa Sede non ha comunque ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo annunciata il 17 febbraio 2008.

Osmani, che era stata ricevuta da Papa Francesco nel 2023, ha sottolineato all’annuncio che il riconoscimento del Kosovo da parte della Santa Sede influisce sull’ulteriore rafforzamento della cittadinanza e sull’integrazione del Paese nelle strutture europee. Tuttavia, finora non si è parlato di riconoscimento, e dunque parlare di missione speciale sembra essere un po’ forzato, considerando che una missione speciale è, secondo la legge sul servizio estero kosovaro, una “missione temporanea che rappresenta la repubblica del Kosovo in un altro Stato o organizzazione internazionale, con il loro consenso, per negoziare o eseguire compiti speciali che sono nell’interesse della Repubblica del Kosovo”.

Finora, però, le relazioni tra Kosovo e Santa Sede si sono sviluppate a livello pre-diplomatico. Già dal 2009, la Santa Sede aveva nominato il nunzio in Slovenia come delegato apostolico in Kosovo, e il Kosovo nello stesso anno aveva nominato un responsabile con il grado di ambasciatore.

La reazione della Serbia

Sima Avramović, ambasciatore di Serbia presso la Santa Sede, ha sottolineato da parte sua che il cosiddetto ufficio di collegamento del Kosovo presso la Santa Sede non rappresenta l’istituzione di alcuno status diplomatico, mettendo in luce come la Santa Sede ha mantenuto la medesima posizione riguardo il Kosovo.

Si tratta, ha spiegato l’ambasciatore Avramović, di un ufficio di collegamento che si occuperà delle questioni attuali e che non c’è nulla di spettacolare, perché ci sono uffici simili anche in altri Paesi che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, come Grecia, Romania e Slovacchia.

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Avramović ha sottolineato di aver avuto “colloqui molto, molto seri con le più alte cariche del Vaticano. Ci è stato spiegato tutto nei dettagli e ci è stato detto espressamente che questo Ufficio non ha statuto diplomatico, che la persona che ne sarà a capo non è un diplomatico, che non gode né dei privilegi diplomatici né dell'immunità diplomatica".

Avramović ha notato che il fatto che la Santa Sede non riconosca il Kosovo ha una grande influenza su altri Paesi che guardano con attenzione alla posizione vaticana.

D’altro canto, la Serbia sta lavorando per migliorare ulteriormente le relazioni con il Vaticano, e ha ricordato che la Serbia ha una continuità di seri contatti diplomatici con i funzionari della Santa Sede, e che il segretario per i rapporti con gli Stati, arcivescovo Paul Richard Gallagher, ha visitato la Serbia due anni fa, dove ha avuto incontri con il presidente serbo Aleksandar Vučić, il primo ministro Ana Brnabić e il patriarca serbo Porfiri.

"Per quanto riguarda la politica ufficiale dello Stato di Serbia, è stata chiaramente definita dal presidente Vučić 4-5 anni fa, quando ha invitato il Papa in visita, quando ha parlato di quanto sia importante il sostegno del Vaticano per il nostro cammino verso una soluzione normale alle relazioni con il Kosovo”.

Commentando le visite dei rappresentanti delle autorità di Pristina in Vaticano, Avramović ha affermato che Kurti e Osmanijeva vengono spesso in Vaticano il mercoledì, quando Papa Francesco tiene le udienze private e quando chiunque può essere in contatto con lui, ma che sono stati solo in una visita ufficiale finora. Sono visite private, tra l’altro, che non hanno per questo motivo un bollettino ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, che si occupa soprattutto dei bilaterali.

Avramović ha anche notato che duranta una delle sue visite, Kurti ha regalato a Papa Francesco una monografia in cui veniva mostrato un affresco di un monastero della Macedonia del Nord come eredità del cosiddetto del Kosovo, affermando che si tratta di un incredibile abuso di un affresco storicamente significativo, ma che il Papa è consapevole di tutto ciò.

"Per noi è davvero estremamente importante che l'attuale pontefice, Papa Francesco, sia pienamente consapevole di tutti gli elementi fondamentali che definiscono i principali problemi nel rapporto Pristina-Belgrado, e abbia piena comprensione della posizione della Serbia, ed è per questo che noi Spero che se non ci saranno cambiamenti drastici, finché ci sarà questo Papa, non ci sarà alcun riconoscimento del cosiddetto Kosovo", ha detto.

Resta invece aperta la questione della visita del Papa in Serbia. La Serbia, tuttavia, deve compiere seri passi preliminari, a partire dall’invito della Chiesa Ortodossa Serba.

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio per la Papua Nuova Guinea

Il nuovo nunzio in Papua Nuova Guinea potrebbe dover trovarsi subito ad organizzare un nuovo viaggio papale. Ma monsignor Mauro Lalli, da anni in forza alla nunziatura di Amman – già da quando questa era una sede secondaria riguardo Baghdad – e da poco inviato ad occuparsi della sede della nunziatura a Cipro, è un diplomatico che sa muoversi in terreni complicati.

Classe 1965, proveniente dalla diocesi di Chieti-Vasto, è sacerdote dal 1990 e nel servizio diplomatico della Sant Sede dal 1999. Ha servito nella rappresentanze pontificie di Guatemala, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Romania, Croazia, india, Iraq, Giordania e Cipro.

                                               FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, il Consiglio dei Diritti Umani

Il 28 febbraio si è tenuto presso le Nazioni Unite di Ginevra un dibattito generale alle 55esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali di Ginevra, ha ricordato la commemorazione del 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la quale fu “una pietra miliare nello stabilimento dello standard universale di diritti umani fondamentali e libertà”.

La Santa Sede, tuttavia, si dice preoccupata che “le violazioni dei diritti umani hanno tuttora luogo globalmente”, e questo include le violazioni contro “la libertà di pensiero, coscienza e religione”.

La Santa Sede denuncia la crescita della discriminazione e la persecuzione dei credenti, rimarca come la libertà religiosa sia violata in almeno un terzo delle nazioni del mondo, colpendo 4,9 miliardi di persone, mentre “in alcune nazioni occidentali, le discriminazioni religiose e le censure vengono perpetrate come ‘tolleranza ed inclusione’,” mentre la legislazione “nata in origine per combattere il crimine di odio è “spesso strumentalizzata per sfidare il diritto alla libertà di pensiero e religione, portando alla censura e al discorso obbligato”.

L’arcivescovo Balestrero nota che – come dice Papa Francesco – “tutto è connesso”, e che ci vuole dunque un nuovo modello per prendere le decisioni a livello multilaterale. Alla luce di ciò, l’arcivescovo Balestrero sottolinea che “al cuore della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo c’è una verità fondamentale che fornisce l’unica road map per uno sviluppo integrale e giusto, così come per una pace profonda e duratura”.

Questa verità è “la dignità della persona umana”, riconosciuta dalla dichiarazione alla fondamenta della pace e dei diritti umani, giustizia e libertà, e per questo “rimettere la dignità umana al centro delle nostre discussioni potrebbe aiutare le organizzazioni internazionali ad evitare situazioni di stallo nel loro lavoro quotidiano”, stalli creati dalla “polarizzazione ideologica e lo sfruttamento degli Stati”.

Insomma, è importante “mantenere valori che sono radicati nella dignità umana” per migliorare la diplomazia multilaterale, e questo “richiede la ricostruzione di una visione condivisa della nostra natura inerente, che include obblighi e norme morali che possano essere conosciuti attraverso la ragione umana e siano rispettati”.

In essenza, “non possiamo separare ciò che è buono da ciò che è vero e che è profondamente radicato nella natura umana”, e “la dignità umana deve essere il principio guida anche nello sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale”.

Il tema dell’intelligenza artificiale è cruciale per la Santa Sede, che ha chiesto anche una autorità mondiale sull’intelligenza artificiale alle Nazioni Unite. Secondo l’arcivescovo Balestrero, gli avanzamenti nel campo della AI dovrebbero “rispettare i diritti umani fondamentali e desiderare di servire, e non di competere con, il nostro potenziale umano”, e allo stesso tempo “dovrebbero promuovere, non danneggiare, le relazioni personali, la fraternità, il pensiero critico e la capacità di discernimento”.

La Santa Sede mette in luce che il rispetto per la dignità umana richiede che rifiutiamo “ogni tentativo di ridurre l’unicità della persona umana a un algoritmi o un gruppo di dati, e che non permettiamo a sistemi sofisticati di decidere in maniera autonoma del destino degli esseri umani”.

La Santa Sede punta anche il dito con gli attuali tentativi di “introdurre i cosiddetti nuovi diritti” che “non sono sempre consistenti con ciò che è davvero buono per la persona umana”, e portano ad un colonialismo ideologico che “mette a rischio l’identità umana e crea divisioni tra culture, società e Stati”, piuttosto che “sviluppare l’unità e la pace”.

Per questo, i principi della fraternità umana e della solidarietà “dovrebbero tornare al cuore del nostro lavoro”, considerando che “la fraternità è stato un valore centrale del sistema multilaterale sin dalla fondazione delle Nazioni Unite”, a partire dal preambolo della Carta fondativa ONU che riconosce che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.

Ne consegue che “la fraternità universale è una condizione essenziale per la piena realizzazione dei diritti umani nel mondo di oggi”.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Cardinale Parolin: eliminare il debito dei Paesi poveri

Il 27 febbraio, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha partecipato al conferimento del premio “Economia e Società” della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, andato alla docente cilena Carolina Montero Orphnanopulos, per un testo intitolato “Vulnerabilità”. La giuria presieduta dal cardinale Reinhard Marx ha anche assegnato borse di studio ai giovani ricercatori under 35 Sebastian Panreck, dell’ateneo tedesco di Münster, e Andrea Roncella, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Nel suo intervento, il Cardinale Parolin è partito dall’idea della categoria della vulnerabilità, categoria interdisciplinare sperimentata anche da Dio che si fa carne con Gesù e vive nella vulnerabilità umana.

È proprio nel mistero dell’incarnazione, dice il Segretario di Stato, che la vulnerabilità “intesa comunemente come debolezza diventa l’apertura costitutiva dell’essere umano”. Secondo il Segretario di Stato vaticano, “prendere coscienza della nostra condizione esistenziale vulnerabile rende sensibili verso gli altri e consente di entrare in empatia con il loro dolore”, arrivando così ad “assicurare assistenza e conforto a quanti sono emarginati nella nostra società”, perché “nel farci prossimi ai nostri fratelli ritroveremo noi stessi, riscopriremo la nostra umanità più autentica”.

Il cardinale Parolin dunque denuncia che “la ricerca del profitto a ogni costo è all’origine delle speculazioni finanziarie, del commercio delle armi, dell’inquinamento ambientale e di conseguenza delle ingiustizie sociali che provocano disuguaglianza ed emarginazione”, come si può notare analizzando i “meccanismi strutturali degli odierni sistemi economici”.

In contrasto, si è chiamati a “compiere gesti concreti di fraterna solidarietà” per “rispondere al grido  dei poveri” e diffondere “un cultura della cura”.

Il cardinale chiede dunque una “moratoria sul debito internazionale”, in nome di una solidarietà che cambi “le strutture economiche” oggi alla base di indigenza, esclusione e indipendenza, superando “la logica dello sfruttamento” e creando “nuovi modelli di sviluppi, nei quali i poveri siano parte integrante del tessuto sociale”.

Il cardinale Parolin ha anche affrontato il tema dell’intelligenza artificiale, tema dell’anno per la diplomazia della Santa Sede cui il Papa ha dedicato il tema del Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace 2024. Secondo il Cardinale, nel mondo contemporaneo dominato dalla tecnica “siamo esposti al rischio di diventare inconsapevolmente apatici ed acritici e consumatori”, e l’Intelligenza Artificiale “potrebbe amplificare le disuguaglianze esistenti, perpetuando pregiudizi presenti negli attuali dati utilizzati per addestrare gli algoritmi”, con il rischio di perpetuare “decisioni ingiuste o discriminatorie in settori come l’occupazione, i sistemi di finanziamento, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la giustizia, l’immigrazione e le relazioni internazionali”

Ucraina, il cardinale Parolin cerca prospettive di negoziato

Parlando lo scorso 28 febbraio all’inaugurazione di un nuovo reparto dell’Istituto Dermatologico dell’Immacolata, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, si è soffermato su diversi temi.

Dopo aver rassicurato sulla salute del Papa, descrivendo un “episodio influenzale”, il Cardinale si è anche soffermato sullo scenario internazionale, affrontando anche il tema della morte del dissidente russo Alexei Navalny. “Sarebbe importante – ha detto il Segretario di Stato - chiarire che cosa è veramente successo. Questo servirebbe a assicurare anche chi evidentemente dà una certa interpretazione alla morte”.

Affrontando la questione dell’Ucraina, il Cardinale Parolin ha detto che si sta lavorando ora per “agevolare questo meccanismo” delineato durante la visita del Cardinale Matteo Zuppi a Kyiv e Mosca per il ritorno dei bambini e dei ragazzi in Ucraina. Il Cardinale Zuppi, ha detto Parolin, “disse a suo tempo che questo poteva promuovere dei percorsi di pace. Per il momento mi sembra che ci sia solo questo, che non ci siano altre prospettive di negoziato e questo è molto triste”.

Il cardinale ha anche chiesto un dialogo “serio” e “l’ascolto di quelle che sono le esigenze espresse da parte degli agricoltori” per superare la cosiddetta “protesta dei trattori”.

Inoltre, il Segretario di Stato ha affrontato la “precaria situazione in Burkina Faso”, dove 15 cristiani sono stati uccisi durante la celebrazione. Il terrorismo che ha “preso il controllo di diversi territori in Burkina Faso” è “preoccupante” secondo il Cardinale. Sembrava, ha aggiunto, che “l’esercito stesse lavorando per riportare il controllo dello Stato ma purtroppo - ha osservato il segretario di Stato - non è così e continuano questi episodi che sono veramente deplorevoli”.

Parolin, spiragli sul Medio Oriente

Il 29 febbraio, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha parlato a margine della Cattedra dell’Accoglienza a Sacrofano, e ha parlato anche della situazione in Medio Oriente. “Mi pare – ha detto - che in Medio Oriente c’è qualche spiraglio, nel senso che abbiamo visto la diplomazia sta lavorando per ottenere la tregua e quindi anche l’accesso degli aiuti umanitari, che mi pare che è il punto più delicato questo, da quanto sentivo direttamente da fonti locali, l’approvvigionamento proprio del cibo, delle medicine e delle cure mediche”.

La situazione è comunque “non semplice”, ma c’è “qualche attività, qualche movimento”.

                                                           FOCUS EUROPA

La visita a Bruxelles del vescovo austriaco Zsifkovics

Il vescovo di Eisenstadt Ägidius Zsifkovics ha visitato la scorsa settimana Bruxelles, dove ha avutp una serie di incontri con alti rappresentanti delle istituzioni europee, facilitate dalla Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE), all’interno della quale il vescovo è il delegato della Conferenza Episcopale Austriaca.

Il viaggio ha avuto luogo dal 19 al 21 febbraio. Zsifkovics è stato ricevuto tra gli altri da Johannes Hahn, Commissario dell’Unione Europea sul Budget e l’Amministrazione, e il parlamentare europeo Othmar Karas, primo vicepresidente del Parlamento Europeo e Parlamentare responsabile per l’articolo 17 del Trattato Europeo, che regola il dialogo dell’Unione con le religione.

Il vescovo di Eistenstadt si è anche incontrato con l’europarlamentare austriaco Lukas Mandl e il nunzio apostolico presso l’Unione Europea, l’arcivescovo Noel Treanor, discutendo con tutti le questioni più pressanti delle prossime elezioni europee. Zsifkovics ha parlato della necessità di ritornare alle radici Cristiane dell’Unione Europea e ha enfatizzato la promozione di una pace giusta e dei valori europei di libertà, solidarietà, democrazia e diritti umani.

Durante la sua permanenza a Bruxelles, il vescovo ha anche visitato la COMECE, dove ha incontrato padre Manuel Barrios Prieto, Segretario generale, e un gruppo di consulenti, ed è stato ricevuto anche dalla Conferenza delle Chiese Europee.

                                                           FOCUS AFRICA

Africa, il Cardinale Ambongo attacca l’accordo minerario tra Rwanda e UE

Il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, ha puntato il dito nella sua omelia del 24 febbraio scorso contro l’accordo di cooperazione mineraria sostenibile siglato tra Rwanda e Unione Europea, un accordo che verterebbe, a detta del porporato, su “risorse saccheggiate nel nostro Paese”.

L’omelia del cardinale ha avuto luogo durante la Messa in omaggio alle vittime della guerra nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo e per il ritorno della pace nel Paese. Il cardinale Ambongo ha affermato: “Non è questo giudicare due cose simili con parzialità, secondo regole diverse? […] Denunciare l’aggressore senza fermare il ciclo di aggressione e finanziare la guerra attraverso tali accordi è una strategia diversiva”.

L’accordo tra UE e Rwanda è stato firmato lo scorso 19 febbraio. L’accordo avrebbe il compito di promuovere lo sfruttamento sostenibile dei minerali da parte del Rwanda, perché – sottolinea l’UE - “il Paese è uno dei principali attori globali nel settore minerario del tantalio. Produce anche stagno, tungsteno, oro e niobio e dispone di riserve di litio e terre rare”, e così la partnership potrà contribuire “a garantire un approvvigionamento sostenibile di materie prime”, in particolare di materie prime critiche, “che è una precondizione essenziale per raggiungere obiettivi di energia verde e pulita”.

Secondo la Repubblica Democratica del Congo, però, questi minerali sono stati invece saccheggiati dal territorio congolese con gruppi armati finanziati dal Rwanda, come l’M23, un movimento di guerriglia che agisce nel Nord Kivu e che sta assediando da inizio febbraio la cittadina di Sake, che si trova vicino alla capitale Goa.

Il Cardinale Ambongo ha denunciato che “aggressori e multinazionali si alleano per prendere il controllo delle ricchezze del Congo, a scapito e in disprezzo della dignità dei pacifici cittadini congolesi, creati a immagine e somiglianza di Dio”, e si è chiesto fino a che punto “si spinge la banalizzazione della vita umana”.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Messico, i vescovi aperti al dialogo con i cartelli della droga

Quattro vescovi cattolici si sono incontrati a metà febbraio con capi dei cartelli della droga nello Stato di Guerrero nel tentativo di negoziare un possibile accordo di pace.

L’intervento dei vescovi non ha portato ad un accordo di pace, ma comunque ha portato ad un accordo che il cartello avrebbe cessato gli attacchi contro i trasporti pubblici, spesso portati avanti per rispondere a rifiuti di estorsione.

L’azione dei vescovi, in maniera sorprendente, è stata appoggiata dal presidente messicano Andrés Manuel López Obrador.

Padre José Filiberto Velázquez, interno agli accordi di pace, ha detto ai media messicani lo scorso 22 febbraio che i due cartelli più grandi di Guerrero – Los Tlacos e La Familia Michoacana – sono arrivati ad una tregua, ma la Chiesa non ha comunque partecipato ai negoziati finali.

Finora i vescovi sono intervenuti come interlocutori nella crisi, e dunque la partecipazione attiva a dei colloqui con i cartelli è una assoluta novità in Messico, e riflette la deteriorante situazione di sicurezza nella nazione.