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Diplomazia pontificia, l’arcivescovo Gallagher in Giordania

Il “ministro degli Esteri” vaticano in Giordania per i trenta anni di relazioni diplomatiche. È l’inizio di una agenda particolarmente fitta

Gallagher, Abdullah | L'incontro tra l'arcivescovo Paul Richard Gallagher e il Re di Giordania Abdullah II | Casa Reale Hashemita Gallagher, Abdullah | L'incontro tra l'arcivescovo Paul Richard Gallagher e il Re di Giordania Abdullah II | Casa Reale Hashemita

La scorsa settimana, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha viaggiato in Giordania per celebrare i trenta anni di relazioni diplomatiche. Ma è stata anche una occasione per avere il polso della situazione in Medio Oriente, con una vista particolare sulla Terrasanta, considerando che la dinastia hashemita è tradizionalmente custode dei Luoghi Santi, e un segno di vicinanza per le Chiese che si trovano lì.

Il viaggio ad Amman è il primo di una serie di tre di particolari importanza per l’arcivescovo Gallagher, il quale sarà la prossima settimana in Montenegro e poi, ad inizio aprile, in Vietnam, in un viaggio che dovrebbe preparare quello successivo del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, accelerando le procedure per arrivare a piene relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Hanoi – si è, al momento, al passo appena precedente, ovvero la nomina di un rappresentante pontificio residente nella capitale del Vietnam.

Le parole di Papa Francesco sulla necessità di una via negoziale sull’Ucraina, e in particolare sul fatto che l’Ucraina dovrebbe avere il coraggio di “alzare bandiera bianca”, sono state chiarite dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in una intervista al Corriere della Sera. Le parole del Papa andavano contestualizzate nell’intervista – e anche a partire dalle domande dell’intervistatore – ma di certo non sono state molto pesate, e sono rimaste spontanee ed aperte a fraintendimenti. L'11 marzo, l'arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kyiv, è stato convocato dal Ministero degli Affari Esteri. In un comunicato stampa diffuso in rete, il ministero ha espresso il suo disappunto e ha ricordato che l'unica pace accettabile è quella formulata dall'Ucraina. 

In vista delle elezioni europee, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha lanciato un appello a tutti i votanti.

                                                           FOCUS GIORDANIA

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Gallagher in Giordania: l’incontro con il Re

Dall’11 al 14 marzo, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha fatto visita in Giordania in una serie di appuntamenti che lo hanno visto incontrare il re di Giordania, incontrare gli Ordinari di Terrasanta e fare visita alle realtà caritative del territorio. Nell'occasione, l'arcivescovo Gallagher ha anche fatto visita al luogo del Battesimo di Gesù sul fiume giordano, e ha avuto un incontro con Philippe Lazzarini, coordinatore dell'UNRWA, con il quale ha parlato della situazione sul territorio. 

L’11 marzo, l’arcivescovo Gallagher è stato ricevuto da Re Abdullah II. All’incontro partecipava anche il Principe Ghazi Ibn Muhammad, consulente capo del re per gli affari religiosi e culturali e suo inviato personale.

Secondo un comunicato ufficiale della Corte Reale, il re ha inviato i suoi saluti a Papa Francesco, mettendo in luce le relazioni fortemente radicate tra Giordania e Santa Sede.

Durante l’incontro, si è parlato dei pericolosi sviluppi a Gaza. Il re ha reiterato l’importanza di imporre un cessate il fuoco e garantire la diffusione di aiuto sufficiente attraverso tutti i mezzi possibili.

Re Abdullah ha sottolineato la necessità di fermare le violazioni di Israele e gli attacchi dei coloni contro i siti sacri cristiani e islamici a Gerusalemme, perché questo potrebbe portare un clima esplosivo nella regione.

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Il re ha chiesto unità tra le Chiese di Gerusalemme in supporto della salvaguardia dello status quo storico e legale.

Per chi non ne fosse a conoscenza, lo status quo  Si riferisce alla gestione dei Luoghi Sacri in Terrasanta, con particolare riferimento alla gestione dei santuari della Basilica del Santo Sepolcro, della Basilica della Natività a Betlemme e della tomba della Vergine Maria e Gerusalemme. La vita di questi santuari è inseparabile dalla situazione politica della Terrasanta, situazione che ha portato lentamente allo status quo odierno. Durante il 17esimo e 18esimo secolo, infatti, la Chiesa Greco Ortodossa e le Chiese cattolica sono sempre stati in lotta per la gestione di una serie di santuari, e in particolare per quelli del Santo Sepolcro, della Tomba di Maria e della grotta della natività”.

Al termine di questo periodo, si è arrivati alla situazione esistente, con una dichiarazione ufficiale del 1852, che determina i soggetti proprietari dei luoghi santi e dei luoghi all’interno dei santuari, estende tempi e durate delle funzioni, dei movimenti e dei percorsi all’interno dei santuari, in un regolamento che coinvolge le comunità Cattoliche o di rito latino, Greche, Armene, Copte e Siriache.

Da parte sua l’arcivescovo Gallagher ha lodato il ruolo della Giordania nella salvaguardia dei luoghi santi di Gerusalemme, che sono sotto la custodia hashemita, ed ha espresso l’interesse vaticano nel supportare la risposta umanitaria a Gaza e gli sforzi per fornire aiuti umanitari e medici alla striscia.

Gallagher in Giordania, l’incontro con la Hashemite Charity Organization

L’11 marzo, incontrando la Jordan Hashemite Charity Organization – una ONG di beneficenza di Amman – il “ministro degli Esteri” vaticano ha sottolineato che Papa Francesco “si preoccupa costantemente della popolazione di Gaza ed è in contatto pressoché quotidiano con i cristiani che vivono nella parrocchia della Santa Famiglia”.

L’arcivescovo Gallagher ha ribadito gli appelli che il Papa “lancia dallo scorso ottobre: c’è urgente bisogno di un cessate il fuoco immediato a Gaza e in tutta la regione”. Gallagher ha anche sottolineato il “generoso sostegno” di Re Abdullah e di tutto il popolo giordano “per i loro fratelli e sorelle palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza, dove la situazione umanitaria è inaccettabile, a dir poco catastrofica”.

L’arcivescovo ha lodato il lavoro fatto dall’organizzazione per trasportare aiuti umanitari, un lavoro descritto come “un atto di grande valore cristiano”, e ha ricordato che ogni volta che ci si trova di fronte a un conflitto armato, la Santa Sede “non esita a ribadire che il principio di umanità, scolpito nel cuore di tutti gli uomini e di tutti i popoli, comprende il dovere di proteggere i civili dalle conseguenze di tali conflitti”.

Eppure, ha aggiunto il “ministro degli Esteri” della Santa Sede “la tutela della dignità di ogni persona, degli ospedali, delle scuole e dei luoghi di culto garantita dal diritto internazionale umanitario” è troppo spesso “violata dalle parti belligeranti in nome di esigenze militari”, risultando in una grave “offesa al valore della vita umana”.

Gallagher ha dunque esortato a fornire aiuti umanitari “tempestivamente e senza ostacoli alla popolazione civile colpita”, ricordando come la Chiesa cattolica in Giordania sia stata coinvolta sin dall’inizio della crisi scoppiata dopo gli attacchi terroristici contro Israele del 7 ottobre attraverso l’impegno del Catholic Relief Service e della Caritas locale, alla quale il Papa ha destinato una cifra di 50 mila euro attraverso la nunziatura apostolica.

Gallagher ha affermato che i pensieri e le preghiere sono “con le vittime e le loro famiglie”, e ha invitato a non dimenticare i 600 rifugiati cristiani, cattolici e greco ortodossi, che vivono nella parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza.

Il ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati ha anche auspicato che “gli ostaggi israeliani possano essere rilasciati immediatamente e restituiti ai loro cari che li attendono con ansia”, e allo stesso tempo che “la popolazione civile palestinese possa avere accesso sicuro agli aiuti umanitari”.

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Gallagher in Giordania, la Messa con il Patriarca di Gerusalemme

L’arcivescovo Gallagher ha anche celebrato Messa insieme al Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, e agli ordinari cattolici di Terrasanta. La Messa è stata celebrata l’11 marzo nella chiesa latina di Santa Maria di Nazareth ad Amman. Nell’omelia, Gallagher ha ricordato che in alcuni Paesi “i cristiani non possono pregare nella propria lingua, in altri non possono costruire chiese, in altri non hanno la libertà di partecipare alla vita politica e sociale, in altri subiscono vere e violente persecuzioni”. Allo stesso modo, però – ha affermato il presule – “Gesù ci consola dicendo: ‘Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli’.” L’arcivescovo ha anche auspicato ancora una volta il cessate il fuoco tra Israele e Palestina.

Gallagher ha anche portato i saluti del Papa ai rifugiati cristiani da Palestina, Iraq e Siria, e ha messo in luce che la Santa Sede considera le relazioni diplomatiche come un mezzo per supportare la Chiesa cattolica, necessario per difendere e promuovere la vita umana, basata sui valori di giustizia, verità, libertà e amore.

Il presule ha detto ai fedeli: “Voi portate testimonianza del fatto che essere pochi in numero non significa essere meno come cristiani. Al contrario. Se siamo pochi in numero, significa che dobbiamo mostrare in maniera più autentica e consistente che siamo testimoni della buona novella attraverso le nostre azioni e le nostre vite”.

Gallagher in Giordania, la visita a Madaba

Il 12 marzo, nel secondo giorno della sua visita ufficiale, l’arcivescovo Gallagher si è recato a Madaba, dove ha visitato il Centro Giordano della Caritas nel governatorato del luogo. L’arcivescovo era accompagnato dal nunzio in Giordania, l’arcivescovo Giovanni Pietro Dal Toso.

Durante la visita, Gallagher è stato aggiornato riguardo i diversi servizi forniti dalla comunità locale, e si è anche potuto incontrare con un numero di famiglie di rifugiati siriani al centro.

L’arcivescovo Gallagher ha quindi fatto visita al Giardino della Misericordia, che si trova al quartiere della Chiesa Greco Cattolica di Madaba, dove ha appreso dei laboratori specializzati principalmente in mosaici attraverso i quali Caritas Giordania definisce progetti per addestrare un numero di rifugiati e di giordani. Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede ha anche incontrato famiglie di rifugiati dall’Iraq, ascoltando le loro testimonianze.

                                                           FOCUS UCRAINA

Il Cardinale Parolin spiega le parole di Papa Francesco

Dopo la diffusione delle parole di Papa Francesco in una intervista alla Radio Svizzera Italiana, e dopo il chiarimento della Sala Stampa della Santa Sede, anche il Cardinale Pietro Parolin, in una intervista concessa al Corriere della Sera il 12 marzo, ha voluto spiegare le parole del Papa. In particolare, Papa Francesco aveva parlato del “coraggio di alzare bandiera bianca” riferito all’Ucraina e alla necessità di arrivare ad una pace negoziata.

Nell’intervista, il Cardinale Parolin ha sottolineato che sono entrambe le parti in conflitto, e cioè Russia e Ucraina, a dover creare le condizioni per il negoziato, così come è ovvio che “la prima condizione” sia di “mettere fine all’aggressione”, e dunque “a cessare il fuoco debbano essere innanzitutto gli aggressori”.

“Non bisogna – ha detto il Cardinale Parolin - mai dimenticare il contesto e, in questo caso, la domanda che è stata rivolta al Papa, il quale, in risposta, ha parlato del negoziato e, in particolare, del coraggio del negoziato, che non è mai una resa. La Santa Sede persegue questa linea e continua a chiedere il ‘cessate il fuoco’ — e a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori — e quindi l’apertura di trattative. Il Santo Padre spiega che negoziare non è debolezza, ma è forza. Non è resa, ma è coraggio. E ci dice che dobbiamo avere una maggiore considerazione per la vita umana, per le centinaia di migliaia di vite umane che sono state sacrificate in questa guerra nel cuore dell’Europa. Sono parole che valgono per l’Ucraina come per la Terra Santa e per gli altri conflitti che insanguinano il mondo”.

Il capo della diplomazia della Santa Sede ha anche sottolineato che “resta sempre la possibilità di arrivare ad una soluzione diplomatica”, perché “la guerra scatenata contro l’Ucraina non è l’effetto di una calamità naturale incontrollabile ma della sola libertà umana, e la stessa volontà umana che ha causato questa tragedia ha anche la possibilità e la responsabilità di intraprendere passi per mettervi fine e aprire la strada a una soluzione diplomatica”.

Il cardinale Parolin ha anche sottolineato che “la Santa Sede è preoccupata per il rischio di un allargamento della guerra. L’innalzamento del livello del conflitto, l’esplodere di nuovi scontri armati, la corsa al riarmo sono segnali drammatici e inquietanti in questo senso”. E questo perché “l’allargamento della guerra significa nuove sofferenze, nuovi lutti, nuove vittime, nuove distruzioni, che si aggiungono a quelli che il popolo ucraino, soprattutto bambini, donne, anziani e civili, vive nella propria carne, pagando il prezzo troppo caro di questa guerra ingiusta”.

Il Cardinale Parolin ha anche paragonato la situazione in Ucraina con il conflitto israelo-palestinese, sottolineando come “le due situazioni hanno certamente in comune il fatto che si sono pericolosamente allargate oltre ogni limite accettabile, che non si riesce a risolverle, che hanno dei riflessi in diversi Paesi, e che non possono trovare una soluzione senza un negoziato serio. Mi preoccupa l’odio che stanno generando. Quando mai si potranno rimarginare ferite così profonde?”

Parolin parla anche del rischio di una “fatale deriva nucleare”, che “non è assente” e “basta vedere la regolarità con la quale certi rappresentanti governativi ricorrono a tale minaccia”.

“Non posso che sperare – ha aggiunto il porporato -  che si tratti di una propaganda strategica e non di un “avvertimento” di un fatto realmente possibile. Quanto alla ‘paura di fondo’ della Santa Sede, credo che essa sia piuttosto quella che i vari attori di questa tragica situazione arrivino a chiudersi ancora di più nei propri interessi, non facendo ciò che possono per arrivare a una pace giusta e stabile”.

                                                           FOCUS EUROPA

Verso le elezioni UE 2024

In una dichiarazione diffusa lo scorso 13 marzo, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea ha chiesto un voto responsabile che promuova i valori cristiani e il progetto europeo in vista delle elezioni del Parlamento Europeo che si terranno dal 6 al 9 giungo 2024.

“Sappiamo – hanno scritto i vescovi – che l’Unione Europea non è perfetta, e che molte delle sue proposte politiche e giuridiche non sono in linea con i valori cristiani e con le aspettative di molti dei suoi cittadini, ma crediamo che siamo chiamati a contribuire e migliorarlo con gli strumenti che la democrazia ci offre”.

Secondo i vescovi dell’Unione Europea, è “nostra responsabilità fare la migliore scelta possibile alle prossime elezioni”, considerando anche il momento difficile e incerto che stanno vivendo l’Europa e il mondo. I vescovi riaffermano il loro appoggio al progetto europeo, in particolare di una “Europa unita nella diversità, forte, democratica, libera, pacifica, prospera e giusta della quale ci sentiamo proprietari”.

Inoltre, il messaggio si rivolge ai giovani, e in particolare a quanti voteranno per la prima volta, perché esercitino il loro voto e costruiscano così un’Europa che assicuri loro un futuro e renda giustizia alle loro autentiche aspirazioni”, e ai giovani che si impegnano in politica perché si preparino “bene, sia intellettualmente che moralmente, per contribuire al bene comune in uno spirito di servizio alla comunità”. Il comunicato è stato firmato da tutti i Vescovi delegati dagli Episcopati dell'Ue all'Assemblea della COMECE.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Siria, l’appello del Cardinale Zenari a non dimenticare la  crisi

La Siria è entrata lo scorso 15 marzo nel 14esimo anno di guerra, eppure sembra essere un conflito dimenticato. Lo denuncia il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, in una intervista concessa al Sir.

Il cardinale denuncia che la possibilità di una soluzione politica “è stata dimenticata”, lamentando che si tratta di “una guerra interna, non contro altri Stati, ma che deve fare i conti con altri Paesi che vi si sono inseriti. Oggi in territorio siriano si muovono cinque eserciti stranieri, tra i più potenti al mondo, alle volte in collisione tra loro e ciascuno con il proprio interesse da difendere”.

Il nunzio ha notato che oggi in Siria “16,7 milioni di persone necessitano ora di assistenza umanitaria. Parliamo di quasi tre quarti della popolazione, il numero più alto di persone bisognose dall’inizio della crisi. Un aumento del 9% rispetto all’anno precedente”. La povertà si tocca con mano, la popolazione non ha medicine, e la gente emigra (circa 500 persone al giorno lasciano la Siria, secondo statistiche delle Nazioni Unite).

A lasciare il Paese sono soprattutto giovani professionisti, nota il Cardinale, e “la lingua più studiata oggi in Siria è il tedesco, specie tra gli studenti di medicina, perché ancora prima della laurea, chi conosce il tedesco ha la possibilità di trovare lavoro in Germania. La fuga dei cervelli è un’altra bomba che sta colpendo la Siria”.

Il conflitto a Gaza non fa che peggiorare la crisi e – afferma il Cardinale Zenari – “sul fronte militare la situazione è complicata. Il Governo non vuole scottarsi le dita con questo incendio anche perché non ha la forza di tenere a bada questi cinque eserciti stranieri che operano sul suo territorio”.

Il nunzio ricorda anche il progetto Ospedali Aperti, gestito dalla ong italiana AVSI, che

coordina le cure nell’Ospedale Italiano e in quello Francese a Damasco, e nell’Ospedale St. Louis ad Aleppo. A questi tre ospedali si sono aggiunti ora cinque ambulatori, e si prevede di aprirne altri. “Gli ultimi dati riferiti al febbraio scorso – afferma il Cardinale Zenari - parlano di circa 141mila malati poveri assistiti in questi sei anni. Appartengono tutti a diverse etnie, fedi e denominazioni. Nelle nostre strutture non facciamo nessuna distinzione. Il settore sanitario in Siria è tra i più colpiti, tantissima gente è malata. Abbiamo attivato anche le parrocchie per assistere i malati più anziani. Un fatto comprensibile visto che tanti giovani sono partiti lasciando i loro anziani qui”.

In vista dell’ottava conferenza sul futuro della Siria, che si terrà a maggio a Bruxelles, il Cardinale Zenari sottolinea che “la crisi siriana non si risolve con le elemosine”, ma “quella di Bruxelles è una  conferenza di Paesi donatori. Si parla di miliardi, 4, 5, una volta si è arrivati anche a 7. Ringraziamo tutta la comunità internazionale per questo aiuto, e tutti i benefattori che si ricordano della Siria e contribuiscono anche ai progetti delle Chiese. Siamo riconoscenti, ma così non si va da nessuna parte”.

Insomma, non basta moltiplicare gli aiuti umanitari, ma piuttosto “sbloccare il processo politico in conformità con la Risoluzione Onu 2254 (2015) del Consiglio di Sicurezza che chiede di ‘soddisfare le legittime aspirazioni del popolo siriano, ripristinare la sovranità, l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del Paese e creare le condizioni necessarie per il ritorno volontario dei rifugiati in sicurezza e dignità’”.

Al momento, “per la ricostruzione è tutto bloccato”, in un quadro che “conta oltre mezzo milione di civili morti e tra questi 29 mila sono bambini”.

Nel frattempo, due terzi dei cristiani sono emigrati, e questo esodo “sta arrecando gravi danni alla società siriana che viene così a perdere una tradizione millenaria nel campo delle scuole, della sanità, della formazione. Tuttavia abbiamo ancora tre parrocchie nella Valle dell’Oronte (Governatorato di Idlib) controllata dai ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (ex Al Nusra)”.

                                                           FOCUS ITALIA

La missione del nunzio in Italia nelle parole dell’arcivescovo Rajič

Con la nomina dell’arcivescovo Petar Rajič a nunzio in Italia, termina definitivamente l’eccezione italiana, che vedeva un nunzio della stessa nazionalità del Paese dove andava a rappresentare il Papa. Rajič era dal 2019 nunzio in Lituania, Lettonia ed Estonia, è canadese ma di origini croate, e ha rilasciato le sue prime dichiarazioni da nunzio in Italia alla rivista croata Glas Koncila.

“Non avrei mai potuto pensare – ha detto – che sarei stato preso in considerazione per la posizione di nunzio in Italia. Ecco perché per me è stata davvero una grande sorpresa quando Papa Francesco mi ha informato della sua intenzione. All'inizio sono rimasto sconcertato e poi l'ho ringraziato per la sua fiducia. Credo che il Santo Padre voglia dare a noi nunzi che veniamo da Paesi di tutto il mondo la possibilità di fare esperienze diverse delle Chiese locali presso le quali siamo inviati come suoi rappresentanti, cioè emissari della Santa Sede, affinché abbiamo una visione più ampia e aperta dei bisogni della Chiesa nel mondo”.

L’arcivescovo ha anche parlato del suo particolare legame con il Beato Cardinale Stepinac. “Dopo aver letto la sua biografia nel magnifico libro di padre Aleksa Benigar intitolato ‘Stepinac - Cardinale croato’, ho cominciato a pensare più seriamente alla possibilità di una vocazione sacerdotale e allo stesso tempo a pregare il nostro beato per la sua intercessione presso Dio nella scelta della vocazione della vita. Sono rimasto così colpito dalla sua vita santa, dal coraggio e dalla devozione a Dio, alla Chiesa e al popolo croato che ho voluto avere almeno una frazione delle sue virtù. E dopo una preghiera persistente, sono profondamente convinto che, grazie alla sua mediazione con Dio, ho sentito abbastanza forza e fede per rispondere alla chiamata di Dio”.

Il nunzio ha anche sottolineato che, nel mondo odierno, “assistiamo sempre più alla minaccia della libertà religiosa, soprattutto nel mondo occidentale, che da diversi anni attraversa sistematicamente una rivoluzione culturale. Questa rivoluzione nega sempre più Dio, la Rivelazione e la tradizione della Chiesa e li sostituisce con nuove leggi e forme di vita sociale che non hanno nulla a che fare con il cristianesimo. Si avvicina il momento, ed è già giunto, in cui i cristiani dovranno risvegliarsi dal letargo, dalla tiepidezza e dall'inattività nella religione, ma anche nell'attività socio-politica, per preservare l'eredità cristiana e i valori su cui si fonda la civiltà occidentale”.

Il Cardinale Parolin a Parma

Il 12 marzo, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato a Parma, dove nella cattedrale ha aperto la seconda edizione dell’iniziativa “Basilica e Agorà”. Il tema della serata era “Educazione del cuore. Educazione alla pace”.

Il Cardinale Parolin ha notato che l’impegno educativo “è sempre stato al centro delle attenzioni e dell’interesse della Chiesa, educatrice perché madre”, e ha rimarcato che l’educazione del cuore è un “luogo spirituale in cui ciascuno può vedere se stesso, le sue relazioni”, mentre l’educatore “non è un dispensatore di regole, ma testimone di una umanità matura e bella” e “costruttore di relazioni e processi”.

E ancora: l’educatore è capace di “autorità”, e sa educare al senso della vita, alla dignità e alla scoperta della propria unicità e valore, con la consapevolezza che è un “falso mito” il fatto che l’educazione sia asettica.

Nell’attuale contesto internazionale, ha detto Parolin, si può partire dal pacificare il proprio cuore, “espellendo in noi le radici della violenza”, senza indietreggiare dal compito educativo. L’educazione alla pace comporta, in fondo, alcuni passaggi “impegnativi”, come quello dall’indifferenza a un noi condiviso.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a New York, un evento in partnership con Caritas Internationalis

Il prossimo 19 marzo, durante la 68esima commissione sullo Stato delle Donne ai Quartieri Generali delle Nazioni Unite di New York, la Missione della Santa Sede e Caritas Internationalis organizzano un side event – cioè un evento a latere della commissione – focalizzato sul ruolo dei leader religiosi e delle organizzazioni religiose nel promuovere la leadership delle donne.

L’evento avrà come titolo “Contesti Fragili, Donne Forti”, e si basa sull’idea che non è possibile cercare un mondo più sostenibile e giusto senza la leadership e l’abilità delle donne.

La Santa Sede a Ginevra, il rapporto sul cambiamento climatico

Il 13 marzo, si è tenuto a Ginevra il Dialogo Interattivo sul Rapporto dell’Alto Commissario sul Cambiamento Climatico nell’ambito della 55esima Sessione Regolare del Consiglio dei Diritti Umani.

Intervenendo a nome della Santa Sede, l’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra, ha notato nel 2023 oltre 333 milioni di persone hanno affrontato “livelli acuti di insicurezza alimentare”, e secondo le proiezioni saranno 600 milioni già a partire dal 2030. Secondo la Santa Sede “il cambiamento climatico è causa principale dell’attuale crescita senza precedenti della fame globale”, e dunque “sostenere i diritti correlati al cibo e a un ambiente sano sia la pietra miliare delle politiche economiche e climatiche”.

La Santa Sede – aggiunge l’arcivescovo Balestrero – è “fermamente convinta che dare la colpa del cambiamento climatico e dell’insicurezza alimentare ai poveri o agli alti tassi di nascita è fuorviante, falso e inaccettabile”.

Prima di tutto, “i bambini sono una risorsa, non un problema”. Le emissioni pro capite delle nazioni più ricche, d’altronde, sono “significativamente più alte di quelle delle nazioni più povere”, che sono responsabili a malapena del 10 per cento delle emissioni tossiche e che però compongono quasi la metà della popolazione mondiale.

Tuttavia, denuncia la Santa Sede, gli “effetti avversi del cambiamento climatico colpiscono in maniera sproporzionata i poveri ed esacerbano i problemi esistenti di fame e malnutrizione”.

L’arcivescovo Balestrero sottolinea che è “decisa l’azione umana per affrontare il cambiamento climatico”, in quanto questo è causato “primariamente dall’attività umana”, e per questo si dovrebbero applicare “misure di mitigazione che affrontano le profonde ingiustizie”, così come sistemi di sicurezza sociale che “coprono i rischi e l’impatto climatico”.