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Violenza ad Haiti, l'impegno del volontariato per la popolazione

Le chiese aperte per accogliere chi ha bisogno di tutto

Flavia Maurello , AVSI |  | AVSI Flavia Maurello , AVSI | | AVSI

“Prosegue l’escalation di violenza ad Haiti, con bande armate che compiono omicidi e atti di violenza sessuale". Lo ha detto la coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite, Ulrika Richardson, ai giornalisti in una conferenza stampa virtuale dalla capitale haitiana, Port-au-Prince.

Attualmente sono più di 5.000.000 le persone bisognose di assistenza, poco meno della metà della popolazione totale. La maggiore criticità è quella dell’insicurezza alimentare, per cui si riscontra un aumento importante dei casi di malnutrizione soprattutto tra i bambini e le donne incinte. Gli atti di violenza a cui è sottoposta quotidianamente la popolazione sono un’altra delle questioni nodali. Nel 2023 erano state segnalate più di 8.400 persone uccise, ferite o rapite, più del doppio rispetto al 2022.

I bambini costituiscono la maggior parte della popolazione bisognosa, circa 3.000.000 e l’escalation delle violenze sta compromettendo il loro accesso all’istruzione, senza contare che molti di questi facevano affidamento al sostegno dell’alimentazione scolastica e si trovano così privati anche di questo apporto alimentare, come ha raccontato Flavia Maurello, direttrice di AVSI ad Haiti, raggiunta telefonicamente:

“Le principali vittime della condizione in cui versa Haiti sono i bambini e le donne incinte. Ci sono interi mesi in cui i bambini non vanno a scuola, e questo incide sullo sviluppo del Paese. Ci sono poi le donne incinte che non riescono ad accedere agli ospedali, molte di loro arrivano al nono mese di gravidanza senza aver mai incontrato un medico. La situazione sanitaria è anch’essa disastrosa. La non cura dei politici ha reso ingestibile la situazione nei quartieri in cui si lavora. Non vi è più la pulizia dei canali, vi sono cumuli di spazzatura alti come montagne, case completamente allagate, e questo ha portato al ritorno dell’epidemia di colera”.

Per quale motivo è sorta questa instabilità?

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“Soprattutto nella capitale  c’è molta instabilità per mano delle bande armate fomentate da alcuni politici, che hanno dapprima attaccato le prigioni governative liberando i prigionieri, ed in seguito hanno attaccato e saccheggiato tutte le zone della città. Dietro di loro, però, c’è qualcuno; anche gli attacchi alle prigioni sono stati pagati: ci sono interessi socioeconomici di vari gruppi nel Paese. Basta vedere anche il processo per l’assassinio dell’ex presidente. Ci sono gruppi che non vogliono più Ariel Henry perché evidentemente non fa più i loro interessi”.

Domenica 17 marzo Papa Francesco a conclusione della recita dell'Angelus ha chiesto un impegno per la ricerca del bene comune: è possibile?

“In questo momento la ricerca del bene comune è difficile da trovare; sicuramente ci sono molti interessi, ma questo governo di transizione non incontra il benestare degli altri gruppi, che sono nel Paese. Gli interessi sono tanti ed in questo momento è difficile sbilanciarsi: la Chiesa continua a chiamare a raccolta soprattutto per arrivare ad una soluzione di pace e di mediazione. Sarebbe, altresì, interessante capire se si riesce a fare questo governo di transizione la Chiesa avrebbe un ruolo come osservatore per una mediazione di pace. In questo momento AVSI continua a lavorare intorno alle comunità più vulnerabili della capitale, ma anche nelle zone di provincia, dove il nostro lavoro non si è mai fermato, continuando a portare assistenza alle popolazioni più vulnerabili con servizi di base”.

Infine ha sottolineato che AVSI è presente nel Paese centramericano dal 1999, collaborando con organizzazioni locali per combattere la violenza e creando luoghi sicuri dove ricevere assistenza e protezione, e per prevenire la malnutrizione, puntando su attività di cura e di sensibilizzazione che coinvolgano l’intera comunità, ma lavora anche in risposta alle continue emergenze umanitarie: “Come AVSI teniamo aperto il nostro ufficio, ma nella capitale non riusciamo a svolgere attività, mentre nelle aree periferiche del Paese i progetti stanno andando avanti. A Port-au-Prince lavoriamo nelle bidonvilles, che in questo momento sono teatro di violenza: non riusciamo ad assicurare un primo soccorso e i servizi che siamo soliti garantire. La preoccupazione principale è per il nostro staff che vive in queste zone. Ci sono persone che non riescono ad entrare a casa, altri che l’hanno persa, altri ancora che si sono rifugiati nelle chiese. Continuiamo ad aprire l’ufficio perché lo staff ce lo chiede e perché stare insieme ci conforta”.