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Frontiere di Pace, da un parrocchia di Como alla gente in Ucraina

La testimonianza del coordinatore dell’associazione ‘#Frontieredipace’, Giambattista Mosa #Ucraina

L'impegno di Frontiere di Pace |  | Frontiere di Pace
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L'impegno di Frontiere di Pace | | Frontiere di Pace

Il conflitto, deflagrato il 24 febbraio 2022, continua a essere caratterizzato da bombardamenti indiscriminati nelle aree civili che non risparmiano scuole, ospedali, centri comunitari, abitazioni. L’economia di base è pressoché ferma e la vita di ogni giorno dipende quasi totalmente dagli aiuti umanitari. Però gli aiuti alla popolazione ucraina non si ferma e continua attraverso i viaggi di molte associazioni, come quelli organizzati dai volontari  del gruppo ‘Frontiere di pace’, legato alla parrocchia di Santa Maria Assunta di Maccio in Villa Guardia, in provincia di Como, con l’obiettivo di portare cibo e solidarietà alla popolazione ucraina attraverso la presenza diretta, sul campo, mettendoci il corpo. Per raccogliere i bisogni reali della popolazione si appoggiano a p. Ihor Boyko, rettore del seminario greco cattolico di Lviv.

A conclusione dell’ultima missione al coordinatore dell’associazione ‘Frontiere di pace’, Giambattista Mosa, chiediamo di raccontarci la situazione in Ucraina: “La situazione in Ucraina è in lento peggioramento da un punto di vista strettamente legato ai rapporti di forza sul campo, ma credo che questo sia ormai palese a tutti. Ciò che posso aggiungere è la grande speranza che la gente incontrata da noi, ci consegna, di poter resistere all'invasione delle forze armate russe, mantenendo i loro villaggi e città libere dall'occupazione”.

Perché ‘Frontiere di pace’?

“La pace è un valore immenso, senza la quale manca tutto. Noi lo vediamo ad ogni missione. La gente chiede pace. La pace però è qualcosa da costruire senza ingenuità nelle condizioni storico concrete in cui la gente si trova a vivere. Questo ci hanno insegnato le persone che incontriamo durante le nostre missioni. La pace sta alla "frontiera", nelle situazioni di discontinuità tra popoli e culture, "confini, frontiere" storicamente determinati, ma sempre mutevoli e negoziabili, soprattutto confini e discontinuità dell'ingiustizia e della violenza. Proviamo a pensare alla pace dentro queste complessità senza ingenuità, la pace sulla frontiera, cercando di coniugare pace e giustizia. Soprattutto, pensare alla frontiere non esclusivamente come luogo della differenza e discontinuità, ma anche della comunicazione e della vicinanza, del contatto, dello scambio, qualcosa di permeabile. Il nostro modo concreto di pensare la pace è praticare la solidarietà,  tramite le nostre missioni umanitarie indirizzate alle vittime, a tutte le vittime della guerra da noi raggiungibili”.

Quale è il vostro ‘metodo’?

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“L’associazione svolge missioni umanitarie e di pace ‘sul campo’, nelle situazioni di grave marginalità, povertà ed oppressione in cui popoli e gruppi umani si trovano a sopravvivere. Operiamo soprattutto nelle zone di conflitto ed assenza di pace. Missioni umanitarie perché ci preoccupiamo di fornire direttamente beni di prima necessità (cibo, medicinali, vestiti ed attrezzature varie, ecc.), indispensabili alle persone che vivono in situazioni di emergenza e conflitto. Progettiamo anche interventi post emergenza e microprogetti di sviluppo (‘Un tetto per Kharkiv’, biblioteca di Izjum…).

Missioni di pace perché ci mettiamo il ‘corpo’, noi stessi, ovvero facciamo esperienza diretta, sul “campo” delle persone che incontriamo, cercando di trasmettere solidarietà e vicinanza, per spezzare l’esclusione, e l’isolamento che le persone in aree di conflitto sono costrette a subire. Ci mettiamo in atteggiamento empatico e di ascolto, incorporando sensazioni, fatiche, speranze, desideri, ideali ed emozioni. Raccogliamo le testimonianze, facciamo parlare le vittime, riportando alle nostre comunità le sensazioni ed emozioni che abbiamo incorporato, raccontando le vittime con le loro parole, nel loro contesto e situazione. Il nostro è un punto di vista interno vicino all’esperienza delle persone che incontriamo sul ‘campo’.

Pensiamo la pace ed il dialogo a partire dal punto di vista aderente all’esperienza delle vittime e alla nostra esperienza incorporata. Progettiamo la pace alla frontiera, sui confini di discontinuità, leggendo il confine non solo come divisione e separazione immutabile ma, permeabile alle relazioni tra popoli, dentro una visione di rispetto per le specificità storiche, culturali e identitarie di ogni popolo, nel rispetto di una pace giusta e praticabile. Promuoviamo il dialogo e l’incontro.

Infine evidenzio soltanto il valore dell’ascolto: le persone che incontriamo chiedono di essere ascoltate, chiedono di raccontare la loro storia. Noi iniziamo sempre mettendoci in ascolto, un ascolto umile e attento. Solo ascoltando le vittime possiamo ‘comprendere’ la situazione che stanno vivendo, solo su questo ascolto è possibile  pensare alla pace”.

In quale modo portate sollievo alla popolazione?

“Noi vogliamo essere concreti. Le nostre missioni umanitarie, portano cibo, medicinali, igiene, vestiti direttamente a chi ne ha bisogno, senza intermediari. Ascoltiamo ciò che la gente racconta e ne raccogliamo le storie;  portando la nostra testimonianza  e sensibilizzando le nostre comunità, le scuole, i gruppi... Costruiamo rapporti di amicizia, solidarietà e vicinanza con le comunità destinatarie delle nostre missioni umanitarie”.

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In cosa consistono le missioni umanitarie e di pace?

“Le missioni consistono nel trasportare tramite furgoni e bilici, il materiale che generosamente le nostre comunità ci donano (cibo, vestiti, farmaci, igiene…). Trasportiamo e portiamo questi beni, che danno sollievo alla popolazione civile, direttamente dove la gente ne ha bisogno. Le nostre destinazioni sono la chiesa greco cattolica di san Nikola taumaturgo a Kharkiv, di san Demetrio a Kharkiv e il monastero greco cattolico dei padri Basiliani di Kherson. Ci accompagna e ci guida sempre nelle nostre missioni il rettore del seminario greco cattolico dello Spirito Santo, padre Ihor Boyko.

Ci accompagna anche suor Oleksia delle suore di san Giuseppe; hanno una piccola sede a Kharkiv. Con lei andiamo nei villaggi dell’oblast di Kharkiv (Izjum) e dell’Oblast di Donietsk; ci spingiamo fino a Kramatorsk, e Kostantinvka. Facciamo microprogetti con varie realtà (ospedale di Izjum, Ospedale di Dryzisvka, comunità di padre Pietro a Izjum…). Tutto ciò costituisce le nostre missioni umanitarie e di pace, aiuto materiale e sostegno alla speranza di un futuro di pace e libertà delle comunità che incontriamo”.

E’ possibile ricostruire un futuro di riconciliazione?

“La riconciliazione è qualcosa che si può fare in due. Non dipende solo dagli ucraini. Prevede un cammino lungo, doloroso e faticoso, ma necessità della volontà di entrambi. Una signora, durante l’ultima missione nello scorso marzo mi disse: ‘E’ molto difficile perdonare, tutto questo male che ci hanno fatto e ci stanno facendo…, forse con il tempo…, gli ucraini hanno un grande cuore…’. Il perdono è possibile, ma emerge dall’ascolto, dal riconoscere le sofferenze e le speranze delle persone, delle vittime;  da qui, forse in futuro, sarà possibile la riconciliazione, che è qualcosa da costruire e volere insieme”.